Obbligo di aborto: deriva da combattere con l’amore per donne e bambini
L’aborto si va tramutando da delitto a obbligo, vedi il caso delle zone cuscinetto con cui si nega l’offerta di ogni alternativa alle donne. L’esperienza di 40 Giorni per la Vita. Dalla diretta di Riccardo Cascioli con Livia Tossici Bolt e Maria Sole Martucci.

Da delitto a facoltà, a diritto e, addirittura, obbligo. Si può riassumere così la parabola dell’aborto nella nostra epoca, come mostra in modo emblematico il Regno Unito, dove negli ultimi anni diverse persone pro vita sono state condannate per la loro semplice, silenziosa presenza in una “zona cuscinetto”. L’ultima in ordine di tempo è Livia Tossici Bolt, italiana d’origine, condannata ad aprile di quest’anno dal Tribunale di Poole per fatti risalenti al 2023, quando si rifiutò di spostarsi dalla zona cuscinetto attorno a una struttura per aborti di Bournemouth dove teneva un cartello con la scritta “sono qui per parlare, se vuoi” (vedi qui l’intervista concessa a Patricia Gooding-Williams per la Bussola). Una violazione estrema della libertà, questa, figlia di una mentalità che si sta diffondendo anche in Italia, come mostrano i recenti fatti di Modena e i relativi attacchi subiti dai volontari della campagna internazionale 40 Days for Life (40 Giorni per la Vita).
Di questo si è parlato nella diretta di ieri dei Venerdì della Bussola, intitolata Obbligo di aborto, con Riccardo Cascioli che ha avuto come ospiti la stessa Livia Tossici Bolt e Maria Sole Martucci, referente per la comunicazione della 40 Giorni per la Vita di Modena.
Alla domanda del direttore che le chiedeva cosa l’avesse spinta a quella testimonianza silenziosa che si è tradotta in una condanna a due anni di libertà condizionale e al pagamento di 20 mila sterline di spese legali, Livia ha risposto: «L’amore». Non è per nulla scontato che le donne che si recano nelle strutture abortive abbiano già preso «una decisione definitiva», piuttosto vivono spesso un «tormento interiore»: «Per testimonianze dirette sappiamo che cercano un aiuto fino all’ultimo momento, fino al momento in cui entrano in una clinica per aborti». Da qui la scelta di Livia di stare nei pressi di tali strutture, così da poter aiutare le donne che cercano un’alternativa all’aborto.
La coordinatrice della sezione di Bournemouth di 40 Days for Life ha spiegato che il suo impegno nel movimento per la vita britannico è iniziato grazie all’incontro con una donna molto attiva della sua parrocchia, promotrice di varie iniziative pro vita e impegnata a pregare, anche da sola per lunghi anni, fuori dalla clinica per aborti della sua città. Questo ricorda anche «l’importanza della Chiesa in questa lotta per la vita, per la dignità umana. La Chiesa deve parlare di più».
A proposito dei 40 Giorni per la Vita, campagna che si svolge due volte l’anno, nella diretta c’è stato modo di ricordare che l’iniziativa segue un modello comune in tutte le città del mondo in cui si svolge: un modello che è ben lontano da certe rappresentazioni tipiche della stampa mainstream, inclini a dipingere come disturbatori e molestatori i pro life che vegliano nei pressi delle cliniche per aborti. In realtà, i partecipanti a 40 Giorni per la Vita pregano per la fine dell’aborto e s’impegnano con una dichiarazione scritta a tenere una condotta pacifica, a non rispondere a provocazioni, a offrire aiuto alle donne che lo chiedono, dando loro volantini con tutte le informazioni e i numeri utili. Oltre ad aiutare le donne in gravidanza, ai volontari capita «molto frequentemente», come spiega Maria Sole Martucci, di offrire indicazioni a «mamme che vogliono guarire dalla sindrome post-aborto», indirizzandole ai gruppi che svolgono questo preciso apostolato (come la Vigna di Rachele).
Sebbene in Italia non ci siano ad oggi le zone cuscinetto, imposte per legge nel Regno Unito, c’è già chi – specie a sinistra – le chiede, com’è appunto avvenuto a Modena, prima città italiana dove si è tenuta la 40 Giorni per la Vita secondo il suo formato ufficiale. La questione è seria perché riguarda direttamente, come ricorda Maria Sole, «la libertà di espressione, la libertà di pensiero, la libertà di coscienza, la libertà dalla paura». Il perché si tratti anche, e tanto, di libertà dalla paura è presto detto: «Queste mamme sono molte volte indotte all’aborto dalla mancanza di risorse economiche o dalla paura di perdere il proprio impiego, di perdere il compagno, quindi noi siamo lì per ricreare un ambiente di accoglienza perché sennò la donna rimane sola». Le difficoltà e le incognite, in ogni situazione, sono normali, così come deve tornare ad essere normale affrontarle, chiedendo e offrendo aiuto a seconda dei casi, anziché cedere alla tentazione di pensare che sopprimere il nascituro sia la “soluzione”. «Stiamo cercando di far riscoprire una naturalezza nei confronti del rapporto con l’altro sesso e delle gravidanze che consenta un ragionamento un po’ più lucido, un po’ più tranquillo», spiega Maria Sole, ricordando anche che tra le tante alternative all’aborto ci sono le culle per la vita e l’adozione.
Le zone cuscinetto, invece, sono una scure contro la vita, poiché cancellano la libertà di espressione, quindi la possibilità di offrire alternative. Esse sono un po’ la punta dell’iceberg della crisi generale del Regno Unito in materia. Una crisi particolarmente avvertita nelle università, dove, spiega Livia, «ci sono studenti che hanno paura di esprimere la propria voce, non soltanto in campo pro vita ma in generale», perché temono di mettere a repentaglio i propri studi e le possibilità lavorative.
Nello specifico delle zone cuscinetto, esse «hanno soppresso il diritto delle donne di ricevere informazione, anche all’ultimo momento, se vogliono. Certamente, l’informazione sulle alternative, non la trovano dentro i centri per aborti», ha aggiunto la scienziata italo-britannica, che ha anche ripercorso gli aspetti più assurdi della sua vicenda giudiziaria, come il fatto che né i vigili né i giudici sono stati in grado di dirle quale dei divieti della buffer zone avrebbe violato; la sua colpa in definitiva sarebbe stata quella di essere una nota leader pro vita, capace di arrecare “danno” – con la sua semplice presenza nei paraggi – a utenti e personale del centro per aborti.
Richiamando quanto spiegato in tribunale, Livia ha detto che quando si accosta a una donna sola o a una coppia per offrire loro aiuto non è per qualche suo particolare merito o coraggio, ma per un’ispirazione interiore che crede davvero provenire dallo Spirito Santo. Un’ispirazione seguita, che fin dal primo volantino consegnato ha restituito il sorriso a tante donne e coppie in difficoltà, le quali cercavano semplicemente una speranza a cui aggrapparsi.
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Per informazioni sulla 40 Giorni per la Vita, inclusa l’eventuale organizzazione dell’iniziativa nella propria città, si può consultare il sito ufficiale https://www.40daysforlife.com/en/
«La presenza davanti alle cliniche per aborti è per la libertà di tutti»
«Nel Regno Unito la libertà d'espressione è a rischio, ma essere stata portata in tribunale è stata un'occasione per testimoniare la mia fede, grazie anche alle preghiere di tanti che mi hanno sostenuta». Parla alla Bussola Livia Tossici Bolt, la scienziata italo-britannica, ultima condannata per la presenza nei pressi di una clinica per aborti.
Il 30 maggio Livia Tossici Bolt sarà in diretta streaming alle 14 per il Venerdì della Bussola.
A Modena prove di tirannia: gli abortisti vogliono le zone cuscinetto
In corso, a Modena, 40 Giorni per la Vita: i volontari pregano davanti al Policlinico e offrono informazioni alle donne in cerca di un’alternativa all’aborto. Una presenza inaccettabile per politici e gruppi abortisti, che vogliono importare in Italia il sistema totalitario delle zone cuscinetto britanniche.
- Francia, nuove misure contro i nascituri, di Fabrizio Cannone
«L’aborto e la disperazione. Poi ho incontrato la misericordia»
L’aborto ai tempi dell’università, il tremendo senso di colpa, una ferita che la tormenta per anni. Nel frattempo la sua fede cresce e si aggrappa al Signore, fino a un ritiro con la Vigna di Rachele. La Bussola racconta la storia di Maria, oggi rinata.
«Io, veterano di guerra britannico, sfido il "dovere" di aborto»
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«Io, pro-vita, arrestata perché pregavo in silenzio»
Il 6 dicembre 2022 è stata arrestata a Birmingham perché pregava, nella sua mente, davanti a una clinica per aborti, quel giorno chiusa. Andrà a processo per aver violato l’ordine che di recente ha istituito una zona cuscinetto attorno alla clinica. «Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito oltre cento donne», ma ora il divieto «ci impedisce di essere lì nel momento in cui hanno più bisogno di noi». La Nuova Bussola intervista Isabel Vaughan-Spruce.
- VIDEO: C'È GIÀ LA POLIZIA DEL PENSIERO E NESSUNO SE NE PREOCCUPA, di Riccardo Cascioli
Come rinascere dopo l'aborto, il "lutto proibito"
"Ci siamo trovati con persone che dopo aver vissuto un aborto hanno tentato di chiudere questa vicenda, di risanarla, senza però trovare il tempo e lo spazio necessari. Non si tratta solo di una ferita psicologica, è una profonda ferita spirituale che va guarita, con l'aiuto di Gesù". Intervista a Monika Rodman, responsabile in Italia della Vigna di Rachele, un apostolato che organizza periodicamente ritiri di tre giorni per favorire la guarigione interiore di uomini e donne che portano dentro di sé il dolore di un aborto, aiutandoli a riconciliarsi con il figlio perduto.