Nuova sorpresa di Trump: l'economia Usa riprende a crescere
Negli Usa non si verifica la recessione che gli esperti avevano previsto. La politica di Trump sta evidentemente ridando fiducia ai consumatori. L'Europa ne tenga conto, in fase di trattative.

Ed anche oggi, la crisi degli Stati Uniti inizia domani. L’annuncio di nuove tariffe di Trump, nei confronti dell’Ue e di altri partner commerciali in Asia e America latina, avrebbe dovuto alzare l’inflazione e dare inizio a una recessione. Però a quasi quattro mesi dal “Liberation day” (il 2 aprile, quando il presidente elencò i dazi per tutti i paesi del mondo) e con una Casa Bianca che ripropone, dalla settimana scorsa, tariffe ancor più alte, l’economia americana, non solo non entra in recessione, ma ricomincia a crescere.
Una lunga analisi sul Wall Street Journal, a firma di Rachel Wolfe, dimostra, con dati e interviste ai diretti interessati, che, dopo un periodo di alcuni mesi di timidezza: «Il mercato azionario sta raggiungendo livelli record. L'indice di fiducia dei consumatori dell'Università del Michigan, che ad aprile era sceso al livello più basso degli ultimi tre anni, ha ricominciato a salire. Le vendite al dettaglio sono aumentate più di quanto previsto dagli economisti e l'inflazione alle stelle non si è concretizzata, almeno per ora».
Ai tempi di Joe Biden il coro quasi unanime degli economisti premiava la politica del presidente democratico. Ma nessuno si sapeva spiegare come mai i consumatori e gli investitori, in carne ed ossa, fossero sempre così pessimisti. Nei primi mesi di Trump si aspettavano un crollo, invece si ritrovano con una crescita. Il Wall Street Journal risporta il parere di Jonathan Millar, economista senior statunitense presso Barclays che ammette: «Siamo stati sorpresi ancora una volta dai consumatori». Aveva previsto che l’economia statunitense sarebbe entrata in recessione anche quest’anno, ma ora ha afferma che continuerà a crescere, “anche se a un ritmo lento”.
Prosegue l’analisi: «In un sondaggio condotto a luglio su 1.267 proprietari di piccole imprese statunitensi dalla piattaforma di marketing digitale Constant Contact, il 44% degli intervistati ha dichiarato che la domanda di servizi e prodotti è superiore a quanto previsto a gennaio. Un terzo era estremamente ottimista sul fatto che la propria attività avrebbe registrato risultati migliori nei tre mesi successivi e poco meno di un terzo pensava che avrebbe assunto nuovi dipendenti entro tale data».
E l’occupazione? Anche se le assunzioni sono rallentate negli ultimi mesi, a giugno si registrava un tasso di disoccupazione del 4,1%, praticamente la soglia naturale. Questo si spiega con un basso numero di licenziamenti. Quindi, un altro segno di fiducia.
Non tutto sta andando a gonfie vele: «L'inflazione, sebbene in calo rispetto ai picchi raggiunti durante la pandemia, rimane ancora superiore al livello auspicato dalla Federal Reserve. L'attività manifatturiera ha registrato un calo per il quarto mese consecutivo a giugno, mentre le retate contro gli immigrati stanno frenando la spesa dei consumatori ispanici». Però non c’è crisi, non si registra una recessione e soprattutto c’è fiducia nel futuro fra i consumatori.
Risultati così, pur smentendo le previsioni più pessimistiche, non significano necessariamente che i dazi siano un toccasana per l’economia americana. I loro effetti non si vedono ancora, dal momento che non sono ancora stati imposti e anche una volta entrati in vigore, i contraccolpi potrebbero verificarsi in futuro, anche nel giro di un anno. Ma l’attuale situazione di crescita americana è semmai la dimostrazione che l’economia non è una scienza esatta. Ad influire dei consumatori non è solo la politica sul commercio internazionale (che interessa noi europei), ma anche le tasse (che Trump sta tagliando), il clima di fiducia, l’ordine pubblico e tanti altri fattori insondabili, in quanto non economici e neppure sempre razionali. E Trump sembra specializzato, ormai, nel provocare la frustrazione degli esperti, distruggendo le loro previsioni ed esponendo i limiti dei loro modelli, che si parli di elezioni, di guerra o di economia.
Quel che i governi europei devono tener conto, però, in questa delicata fase di trattative sulle tariffe con gli Usa, è di trovarsi di fronte a un paese in crescita che ha fiducia di sé. Non a un paese in crisi, pronto a piegarsi alla prima minaccia di contro-dazi. Prima la Commissione Ue e i governi europei lo capiscono, meglio sarà per la tutela dei nostri interessi.