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Non è il cavaliere bianco, però Musk ha rotto il quadro del Great Reset

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Quale ruolo giocherà il “super-genio” Elon Musk nell'America targata Trump? Sicuramente si prenderà delle rivincite contro chi l’aveva ostracizzato, come tutto il mondo di Davos. Ma ne approfitterà per accelerare i suoi progetti più estremi. Non possiamo pensare a lui come al “cavaliere bianco”, ma un ragionevole ottimismo non è fuori luogo perché sta contrastando nei fatti la narrazione del Grande Reset.
- Attacco ai giudici, Meloni stretta tra Musk e Mattarelladi Ruben Razzante

Attualità 14_11_2024 English

Elon Musk, il “super-genio”: così lo ha definito il Presidente eletto, Donald Trump, nel primo discorso alla nazione dopo la conferma della vittoria elettorale, schiacciante, sulla candidata democratica Kamala Harris. Il grande spazio dedicato a Musk, addirittura superiore a quello lasciato al vice-Presidente James D. Vance, fa pensare che il geniale ed eclettico tycoon avrà un ruolo di primissimo piano, addirittura determinante, nella costituenda seconda amministrazione Trump. 

Come inquadrare l’operato di Elon Musk degli ultimi anni, a partire dall’acquisizione del social media Twitter nell’ottobre 2022, dopo una lunga battaglia legale e sborsando l’esorbitante cifra di 44 miliardi di dollari, se non come un progressivo avvicinamento alla Casa Bianca? L’operazione è stata definita un pessimo affare da un punto di vista economico-finanziario: non ci sono dubbi, infatti, che il valore di Twitter fosse enormemente gonfiato. Eppure, l'impressione è che Musk abbia giocato bene le sue carte, ancora una volta.

Infatti, senza l’acquisizione di Twitter, ridenominato in “X”, la campagna elettorale di Donald Trump probabilmente non avrebbe avuto la possibilità di spuntarla contro un apparato tentacolare che ha giocato tutte le sue carte, con molti colpi bassi, pur di scongiurare un secondo mandato di “The Donald”. I media mainstream hanno subìto l’ennesima sconfitta e rivelato un’irrilevanza sempre più evidente. L’asse tra Elon Musk, Tucker Carlson, Robert Kennedy jr. e, ultimamente, il notissimo blogger Joe Rogan (la cui video-intervista a Trump ha raggiunto 50 milioni di visualizzazioni), ha rotto l’accerchiamento e mandato in panico l’establishment, a partire dalla dirigenza del Partito Democratico: le famiglie Clinton e Obama, infatti, sono le prime grandi sconfitte, al di là della Harris in cui non credevano neppure loro. L’America tradizionale ha vinto una prima importantissima battaglia contro il capitalismo woke, la cancel culture, la lobby LGBTQIA+, il mondo liberal di Hollywood, le grandi agenzie federali, il mondo Big-tech della Silicon Valley, il Big pharma, il complesso militare-industriale, il “partito” di Davos e l’Agenda Onu 2030 della transizione energetica e delle politiche centraliste dell’Organizzazione Mondiale della sanità.

Sarebbe ingenuo, tuttavia, illudersi che la guerra tra questi due mondi sia terminata: in realtà è appena entrata nel vivo, e non mancheranno i tentativi di “normalizzare” la svolta trumpiana, anche all’interno del partito repubblicano. Le speranze di farcela, tuttavia, sono sicuramente migliori rispetto al 2016, grazie a una vittoria senza precedenti, sia quantitativamente (voto popolare compreso) sia qualitativamente (anche nelle fasce di popolazione tradizionalmente “democratiche” come gli ispanici e i neri). Capiremo di più quando la transizione sarà ultimata e saranno stati indicati i ruoli chiave nella futura amministrazione, nella Camera, al Senato e nelle varie agenzie federali: Trump, forte dell’ampio consenso popolare, del pieno controllo del Congresso, dell’esperienza del primo mandato e consigliato da Kennedy che conosce perfettamente il mondo politico statunitense, farà sicuramente molta attenzione a scegliere persone che questa volta condividano davvero la sua agenda, a partire dalla sicurezza nazionale e dalla politica estera.

Quale ruolo giocherà il “super-genio” Elon Musk in questa guerra? Sicuramente, da buon imprenditore, il suo primo pensiero sarà mettere in sicurezza il suo impero imprenditoriale, che va da Tesla a SpaceX, da Neuralink a X, per citare solo le aziende principali; è anche probabile che vorrà prendersi delle rivincite contro chi l’aveva ostracizzato, da Bill Gates a Sam Altman di OpenAI e, più in generale, tutto il mondo di Davos; ne approfitterà sicuramente per accelerare i suoi progetti più estremi, dalle nuove frontiere dello spazio a quelle potenzialmente transumane aperte dalle applicazioni di Neuralink e da possibili accelerazioni nella cosiddetta “intelligenza artificiale”.   

Non possiamo quindi pensare a Elon Musk come il “cavaliere bianco” che salverà gli Usa e il resto del mondo a guida statunitense da tutte le folli derive degli ultimi decenni. E, tuttavia, un ragionevole ottimismo non è fuori luogo. Innanzitutto, per due motivazioni: le sue ripetute dichiarazioni a favore della natalità, con frequenti messe in guardia contro il rischio di crisi demografiche nel mondo occidentale e, ultimamente, la difesa dell’informazione libera, in un momento in cui i vertici Usa, col solito pretesto del contrasto alla cosiddetta misinformation e disinformation, stavano mettendo in discussione persino il primo emendamento. La censura dei social è stata evitata, e ciò mantiene spazi di libertà di parola essenziali per contrastare iniziative come quella del Great Reset portata avanti dalla community di Davos. La “Grande Narrazione” di Schwab non sarà più univoca e dominante, e quindi perderà molto della sua capacità di seduzione: il  Great Awakening, il Grande Risveglio, è davvero in corso.

Elon Musk potrebbe assumere un ruolo chiave con il controllo del DOGE (Department of Government Efficiency), con la possibilità cioè di tagliare fondi a realtà ritenute non in linea con la prospettiva del Make America Great Again, soprattutto nei confronti dei propri nemici. In politica estera, il focus di Musk sugli aspetti economico-imprenditoriali, in linea con la forma mentis di Donald Trump, potrebbe renderlo una sorta di “super-diplomatico” grazie alla possibilità di intrecciare relazioni imprenditoriali ai massimi livelli anche con potenze politicamente avversarie, come la Cina. In tale prospettiva, dato che le tensioni geopolitiche danneggiano gli affari, la stabilità diviene un fattore cruciale, e anche la Cina ne ha un gran bisogno, visti i suoi problemi economici e finanziari. La deterrenza militare, ovviamente, non verrà meno, per scoraggiare aggressioni e continuare a difendere i propri interessi vitali, ma la prospettiva di “esportare la democrazia nel mondo” sicuramente subirà una battuta d’arresto: la guerra sarà considerata come un’extrema ratio quando tutte le vie diplomatiche e il soft power saranno risultate inefficaci.

L’America punterà sulla propria re-industrializzazione, a partire dalla rinascita manifatturiera, e anche in questa prospettiva Musk giocherà un ruolo essenziale, perché ha dimostrato di sapere investire con successo. Non solo creando posti di lavoro ma anche ottenendo risultati che nessuno prima di lui era mai riuscito a raggiungere, come lo scorso 13 ottobre col recupero al primo tentativo sulla piattaforma di lancio del razzo Super Heavy, alto 70 metri, dopo il lancio andato a buon fine della navicella Starship: un evento storico, non a caso ben evidenziato da Trump per portare avanti la narrazione della superiorità tecnologica statunitense sul resto del mondo, Cina compresa. L’ideologia è destinata a cedere il passo al pragmatismo e alle conquiste tecnologiche, e questo renderà sicuramente imprevedibile l’evoluzione delle scelte tattiche della futura amministrazione: come ogni buon imprenditore anche Trump, aiutato da Musk, saprà raddrizzare la rotta ogni qualvolta sembrerà opportuno per raggiungere i propri obiettivi strategici. La speranza è che il big State faccia un passo indietro e si riaprano spazi di effettiva libertà economica e culturale.

Staremo a vedere, ma al momento pare lecito gioire del cambio di quadro: non perché siamo sicuri che andrà tutto bene, ci mancherebbe, ma perché con la vittoria della Harris si sarebbero chiusi ulteriormente gli spazi di libertà di parola e di azione, sia in campo economico che culturale. Se avessimo dei dubbi sulla bontà dell’esito delle elezioni sarebbe sufficiente guardare alla reazione affranta, anche in Italia, di quel mondo liberal e radical-chic sempre più lontano dalla realtà e dai problemi quotidiani delle persone comuni. Con la vittoria di Trump, non solo negli Usa ma anche in Europa e in Italia acquisteremo spazi e tempi per agire, e non dovremo sprecarli.

L’Italia della Meloni, forte del suo rapporto privilegiato con Musk, potrebbe addirittura assumere un ruolo di primo piano in Europa, per lo meno nel Mediterraneo: insomma, la svolta in corso si potrà anche qualificare come populista, ma c’è del buono in questo populismo, e sarà vitale saperlo valorizzare. L’Onu, la Commissione Europea, il World Economic Forum e le pseudo-élites tecnocratiche e globaliste se ne faranno una ragione.



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