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La sentenza

No alla Fivet post-mortem, i giudici hanno applicato la legge

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La Corte di Appello di Firenze ha confermato il divieto alla fecondazione artificiale post-mortem, rispettando l’art. 5 della legge 40/2004. Una sentenza finalmente non ideologica. Ma rimane il rischio che il caso arrivi alla Consulta e venga demolito un altro paletto di una legge nata male.

Vita e bioetica 29_12_2025

Lui è malato di tumore. Temendo che le cure possano danneggiare il proprio liquido seminale e, soprattutto, temendo di non riuscire a sopravvivere a questo brutto male, decide di congelare il proprio seme al fine di scongelarlo una volta guarito o una volta morto. Infatti, secondo quanto scritto nel proprio testamento olografo, se lui fosse morto, la moglie avrebbe potuto scongelare il seme del marito, ricorrere alla fecondazione artificiale e così diventare madre. Queste le sue parole riportate nel testamento: ricorro alla crioconservazione dei miei gameti «al fine di poter realizzare il nostro sogno di procreare un nostro bambino, anche se io venissi a mancare».

Il marito purtroppo non sopravvive e così la donna chiede che venga scongelato il suo seme. Ma c’è un problema. La legge 40/2004 vieta espressamente all’articolo 5 la fecondazione post-mortem: «Possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi».

La donna ricorre in Tribunale a Firenze nel 2021 e la sua richiesta viene respinta. Ci riprova e anche la Corte di Appello, sempre di Firenze, qualche giorno fa, dà il medesimo responso: la fecondazione post-mortem è vietata. Più nello specifico i giudici hanno dichiarato che le disposizioni del marito sono nulle «perché contrarie all’ordine pubblico». Tali disposizioni erano molto chiare: «Nel caso specifico il campione di seme maschile umano crio-conservato era stato depositato per consentire la procreazione, nell’eventualità di futura sterilità del depositante e la stessa disposizione testamentaria aveva fatto esplicito riferimento al concepimento di un figlio dopo la sua morte».

Questa indicazione del de cuius non permette la consegna del liquido seminale alla moglie per altri motivi. Infatti, in linea teorica, il marito poteva congelare il proprio seme per donarlo alla ricerca scientifica o affinché la moglie semplicemente lo conservasse per sé, ma così non ha disposto e dunque il seme deve essere distrutto. Il rischio che la donna vada all’estero con il seme del marito è infatti molto alto, appuntano i giudici. «Né si può ritenere – si legge nella sentenza – che la donna possa comunque ottenere il campione per farne un diverso utilizzo, ad esempio per destinare i gameti alla ricerca, come reliquia del defunto o altro, quand’anche lecito, in assenza di un ulteriore e specifico consenso da parte dell’interessato, deceduto, trattandosi di fini diversi da quelli per cui i gameti erano stati crioconservati».

Dunque, una volta tanto, i giudici hanno applicato la legge e non hanno applicato nessuna ideologia. Ma il rischio che accada è dietro l’angolo. Può essere infatti che la donna ricorra in Cassazione e questa potrebbe sollevare questione di legittimità costituzionale in riferimento al già citato art. 5 della legge 40 che vieta la fecondazione post-mortem. E la Consulta, come sappiamo, ama mettere mano alla legge 40 per eliminare divieti e limiti.

Il rischio è elevato a motivo proprio della ratio della legge 40, la quale ha legittimato la produzione di un bambino in provetta. Il bambino è diventato quindi un prodotto che i genitori possono commissionare alle cliniche. E dunque viene da chiedersi: perché mai non si potrebbe concepire un figlio una volta che è morto il padre? D’altronde, può accadere che il padre concepisca il figlio e poi muoia prima che questo nasca. Questo perverso ragionamento farebbe facilmente breccia in qualsiasi giudice proprio perché, come ha sancito la Consulta, i genitori hanno il diritto al figlio. E, dunque, perché vietare l’esercizio di questo diritto anche dopo che il padre è morto? La prospettiva giuridica della legge 40 mette in secondo piano il figlio, dato che è visto come oggetto del desiderio dei genitori. Un desiderio che, elevato ingiustamente a rango di diritto, non può conoscere compressione alcuna. Nemmeno quella imposta dalla morte.



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