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ORA DI DOTTRINA / 53 - IL SUPPLEMENTO

Newman e la difesa dell'interpretazione spirituale delle Scritture

Ne Lo sviluppo della dottrina cristiana, il teologo inglese sottolinea l'importanza del "senso mistico" nella lettura della Bibbia, contro il tentativo - così presente anche ai nostri giorni - di fermarsi alla sola interpretazione letterale. «L’interpretazione mistica e l’ortodossia o si mantengono insieme o insieme vengono a cadere».

Catechismo 22_01_2023

Lo sviluppo della dottrina cristiana di J. H. Newman esprime forse la prima sintesi cattolica del grande cardinale inglese, sebbene sia stata scritta quando egli era ancora ufficialmente nella chiesa anglicana. Furono le consapevolezze maturate, ed espresse in quest’opera, a fornire il decisivo punto di forza della sua adesione alla Chiesa cattolica.

Questa volta ci soffermeremo sulla sezione da lui dedicata al secondo dei sette criteri costitutivi di un autentico sviluppo: la continuità dei principi. Un principio non è una verità dogmatica espressa, ma è in qualche modo la forma di ciascuna di queste verità, il presupposto da cui sorgono le verità dogmatiche. Newman elenca nove di questi principi; oggi prenderemo in considerazione «la necessità di usare il linguaggio, per esempio quello del testo della Sacra Scrittura, in un secondo senso, il cosiddetto senso mistico». Ricorrere al senso mistico o allegorico delle Scritture non può essere considerata una semplice opzione, ma è per Newman «una legge propria dell’insegnamento cristiano».

A torto si è ritenuto che la Chiesa cattolica stesse alla Tradizione come i protestanti alla Scritture; una non ancora smaltita banalizzazione, ha portato a considerare la Chiesa cattolica distante e sospettosa nei confronti della rivelazione biblica. A dire il vero, questa visione delle cose non è solo la sintesi affrettata di un punto di vista esterno, tipico di un certo mondo protestante, ma è stato assimilato dagli stessi cattolici, che pensano di poter vivere cristianamente, etsi Scripturae non darentur.
Dramma nel dramma, ad allontanare ancora di più i fedeli dalla Sacra Pagina, espressione cara ai medievali, così zelanti e attenti ad indagare il testo sacro, ci si è messo il metodo storico-critico, che ha reso l’approccio alla Bibbia sempre più aridamente “scientifico”, ed ha relegato in soffitta la vitale e sostanziosa interpretazione allegorica o mistica.

Newman si era accorto di come l’enfasi unilaterale sul significato letterale dei testi – pur importante – altro non era che l’origine di ogni eresia ed una rottura sostanziale con quanto la Chiesa aveva fatto fin dalle origini, e continuava a fare, penetrando il senso delle Scritture oltre il loro senso letterale. Sarebbe meglio dire al di dentro del loro senso letterale, senso che rimane comunque il fondamento di quello spirituale. La pretesa di fermarsi al senso letterale della Bibbia ha condotto a decurtare e impoverire la verità rivelata. La ragione teologica del senso mistico sta nel fatto che autore primario delle Scritture è Dio stesso; pertanto il testo sacro dice più di quanto non venga messo in luce dalla sua contestualizzazione storica e letteraria.

Questo ricorso al senso mistico è anzitutto un dato: dai primi Padri della Chiesa, ai suoi Dottori, fino ai teologi ortodossi più recenti, è tutto un rifarsi a quel senso ulteriore per supportare le verità della fede. Il cardinale inglese ricorda, tra gli altri, la mariologia presente in Sant’Ireneo di Lione, il cui riferimento continuo è il libro della Genesi, dal quale sviluppa il noto parallelismo Eva-Maria (come anche quello Adamo-Gesù). I riferimenti sono molteplici ed abbracciano tutto l’arco temporale della storia della Chiesa; ad essi si può altresì sommare anche la modalità con cui la liturgia seleziona i testi delle Scritture, per riferirli alle feste liturgiche. Tanto che Newman non esita a definire questo ricorso al senso mistico delle Scritture «una legge troppo evidente per avere bisogno di essere formalmente provata».

A differenziare veramente l’approccio cattolico da quello di un certo protestantesimo non è dunque il fatto che il primo consideri le Scritture come un optional, mentre il secondo le ritenga il fondamento della fede, quanto piuttosto il tipo di comprensione del testo sacro. Il metodo storico-critico, che ha portato numerose chiarificazioni di tipo storico-linguistico, ma che si ferma all’esclusivo senso letterale, non può essere ritenuto l’organo interpretativo ultimo. Perché è il senso spirituale, colto e trasmesso nella Chiesa, ad essere il cuore della Bibbia, in quanto è lo Spirito Santo ad esserne l’autore principale.

Il cuore del cuore, il centro del senso mistico, è quello tipologico e cristologico. Ancora una volta, ci troviamo di fronte ad una evidenza per i Padri della Chiesa e per tutta la tradizione. Newman può citare a man bassa il grande teologo spagnolo Alfonso Salmerón (1515-1585), teologo del Concilio di Trento e autore di un commentario del Nuovo Testamento in sedici volumi. Secondo il teologo spagnolo – posizione che Newman fa propria –, tutte le Scritture, Antico e Nuovo Testamento, si riferiscono a Gesù Cristo, Dio fatto uomo. «Cristo è l’oggetto proprio della Scrittura canonica» scrive  Salmerón, che spiega come sia «Gesù che ogni eresia nega […]. Egli infatti come uomo è unito alla Divinità e come Dio all’umanità, ed è unito al Padre da cui è generato, e allo Spirito Santo che procede insieme da Cristo e dal padre, è unito a Maria, sua santissima Madre, alla Chiesa, alle Scritture, ai sacramenti, ai santi, agli angeli, ai beati, alla grazia divina, all’autorità e ai ministri della Chiesa, sì che giustamente si dice che ogni eresia divide il Cristo». Meravigliosa sintesi di come tutte le verità siano legate tra loro nel loro centro, Il Verbo fatto carne.

Fermarsi al senso letterale delle Scritture significa piombare in una “cecità cristologica”, la stessa che ha portato i giudei a respingere il Vangelo. Newman è sul punto decisamente categorico: «l’interpretazione mistica e l’ortodossia o si mantengono insieme o insieme vengono a cadere». È con questa consapevolezza che Benedetto XVI aveva voluto ridare spazio nel mondo cattolico all’interpretazione spirituale delle Scritture, con l’Esortazione Apostolica post-sinodale Verbum Domini, ed anche con la sua trilogia dedicata a Gesù di Nazareth.
Per troppo tempo, nella Chiesa ed in particolare nelle facoltà teologiche, si è ritenuto che l’unico approccio vero e capace di universalità fosse quello “scientifico”.

Opinione tutt’altro che assente al tempo di Newman, il quale stigmatizzava nel suo Essay le posizioni del teologo inglese John Hales (1584-1656), che sosteneva, contro la Chiesa romana, «il significato letterale, palese e incontrovertibile della Scrittura, senza aggiunti o complementi ottenuti per via d’interpretazione». Hales non esitava a ritenere che «gli interpreti del nostro tempo, per la loro conoscenza delle lingue originali, la loro accuratezza nello studiare le circostanze e la coerenza del testo e nel confrontare tra loro i luoghi simili della Scrittura, hanno generalmente superato i più eccellenti tra gli antichi».

Hales relativizzava così tutta la tradizione interpretativa della Bibbia, intorno alla quale si erano svolte le più importanti controversie dottrinali di ogni epoca della Chiesa, da quella trinitaria e cristologica dei primi secoli, a quella sacramentale ed ecclesiologica dei tempi moderni. Per Newman, non c’è alcun dubbio a riguardo: la Chiesa nel suo insieme testimonia della bontà e necessità dell’interpretazione mistica o spirituale delle Scritture. Le conclusioni scientifiche – o presunte tali – cui si può giungere adottando il metodo storico-critico non sono certo da rigettare. Da respingere è invece la posizione che ritiene che sia questo l’unico e l’ultimo riferimento per l’interpretazione dei testi sacri.