Nell'epoca dei social la par condicio è anacronistica
Ascolta la versione audio dell'articolo
Un tempo la campagna elettorale si svolgeva in tv, oggi basta un tweet a mostrare l'inapplicabilità di una normativa sulla propaganda politica risalente al 2000 che non ha retto all'avanzata dell'algoritmo.
C’era una volta la propaganda elettorale che si svolgeva prevalentemente in tv, con telegiornali e talk show presi d’assalto dai leader politici e dai candidati, che puntavano a catturare il consenso con promesse mirabolanti e impegni solenni. Soprattutto negli ultimi giorni di campagna elettorale, le televisioni diventavano terreno di scontro, addirittura di risse tra candidati premier ma anche tra candidati di seconda fascia, perché i siti web o i social ancora non esistevano o, se esistevano, non spostavano voti o erano residuali nei meccanismi di formazione delle opinioni.
Oggi il panorama mediatico è completamente cambiato, un tweet con milioni di follower può rivelarsi decisamente più incisivo di un’apparizione televisiva e dunque occorrerebbe una disciplina diversa della propaganda politica rispetto a quella introdotta nel 2000 con la legge sulla par condicio.
La maggior parte dei contenuti politici viene veicolata attraverso piattaforme online, dove l'algoritmo gioca un ruolo cruciale nel determinare quali contenuti vengono visualizzati dagli utenti.
Questa evoluzione ha creato una disparità nel modo in cui la legge sulla par condicio viene applicata. Mentre i tradizionali mezzi di comunicazione sono soggetti a rigide regole di parità di trattamento, Internet e i social media sono in gran parte privi di regolamentazione, il che lascia spazio a distorsioni e manipolazioni che minano l'equità del processo di formazione delle opinioni politiche.
Ciclicamente, in prossimità di un’elezione, si torna a parlare dell’anacronismo e dell’inattualità di quella normativa, approvata da una maggioranza di sinistra per contenere all’epoca i rischi di sovraesposizione televisiva di Silvio Berlusconi, che possedeva 3 tv private e, quando era al governo, controllava anche le reti pubbliche, ma che oggi non copre in alcun modo le debordanti esternazioni di gran parte degli attori politici. La Rete da questo punto di vista è una vera giungla.
Se in materia di violazioni della privacy, di diffamazione, di cyberbullismo il diritto si è evoluto e cerca in qualche modo di porre un argine agli eccessi dei leoni da tastiera, nel campo della propaganda elettorale regna l’anarchia assoluta e anche il giorno delle elezioni ci sono leader politici che usano i social per scrivere post propagandistici violando il silenzio elettorale, che invece sui media tradizionali viene fatto rispettare in maniera ferrea. Una sperequazione evidente, che merita di essere superata.
In queste ore lo scontro tra maggioranza e opposizione è salito alle stelle, perché l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), per tentare di porre qualche paletto, ha approvato una bozza di regolamento in materia in cui ci sono alcune novità come l'introduzione di un meccanismo per valutare non solo dal punto di vista "quantitativo", ma anche "qualitativo", le presenze televisive delle forze politiche. Sembrerebbe che le nuove regole introdotte per le Europee riguardino anche le fasce orarie della programmazione televisiva.
Tali regole potrebbero diventare così complesse da essere difficili da applicare, con una moltiplicazione dei contenziosi. Oggi in Commissione parlamentare di Vigilanza si discuterà proprio di questo. Oggetto del contendere sono gli emendamenti presentati da Fratelli d'Italia, Lega e Noi Moderati, senza Forza Italia, che mirano a modificare alcune norme della bozza messa a punto dalla presidente della bicamerale Barbara Floridia, sulla base della delibera approvata dall'Agcom per le emittenti private. Poi stasera si dovrebbe procedere con il voto su un testo frutto di compromesso, oppure su quello modificato dalla maggioranza. Forza Italia non ha però firmato gli emendamenti degli altri partiti di governo e la scelta – secondo esponenti dell'opposizione – sarebbe legata al fatto che la Lega ha una rappresentanza "più pesante" a livello governativo rispetto agli alleati e quindi sarebbe avvantaggiata da un'informazione istituzionale più ampia.
Le norme sulle fasce orarie, inoltre, non sarebbero gradite alle emittenti, che le troverebbero anche di difficile applicazione. In ogni modo uno degli emendamenti della maggioranza propone di sopprimere questo criterio, che l'Agcom ha specificato di aver inserito in ossequio alle sentenze in materia, e l'eventuale sua approvazione porrebbe il tema di una modifica della delibera dell'Autorità, a meno di accettare la singolare situazione di una normativa differente per la Rai e per le tv private.
In altre parole, l’Agcom si sta impegnando per arginare gli effetti perversi dell’anacronismo di una normativa che andava cambiata già molti anni fa. Ciascun partito, visto che alle europee si vota con il sistema proporzionale, cerca di portare acqua al suo mulino e di modificare le regole in funzione dei suoi interessi e quindi regna il caos. Non resta che sperare che la campagna elettorale per le elezioni dell’8 e 9 giugno sia l’ultima governata da questa norma sulla par condicio ferma ad un panorama mediatico che non c’è più.
Al voto con una par condicio vecchia e da rivedere
Nessun partito ha battuto i pugni sul tavolo nei quattro anni e mezzo di legislatura per provare a riformare la legge sulla par condicio, una normativa fatta nel 2000 dal centrosinistra per limitare la sovraesposizione di Berlusconi e oggi assolutamente inadeguata a regolamentare la comunicazione politica. L'allarme del garante con le elezioni alle porte.
Non c'è più il dominio Tv. Riformate la par condicio
Nella sua relazione annuale, il presidente di Agcom (autorità garante nelle comunicazioni), Angelo Marcello Cardani, ricorda che la legge della par condicio è ormai datata. Venne approvata nel 2000, quando era ancora la Tv a dominare i media. Internet e i social obbligano il legislatore a rivedere tutta la materia e aggiornare gli strumenti.
Il Web trasforma la par condicio in una legge inutile
Agcom si spacca sull'applicazione della par condicio nella campagna referendaria. Ormai soprattutto le nuove generazioni navigano assiduamente in Rete e non sono più influenzabili attraverso giornali e mezzi radiotelevisivi. Chi crede di controllare il consenso irreggimentando questi ultimi, va incontro ad amare sorprese.