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SIRIA

Mosca si paga (col gas) l'appoggio ad Assad

Mosca ha appoggiato il regime di Bashar al Assad in Siria e scongiurato un intervento internazionale. Dunque si accaparra i benefit dell'operazione, mettendo le mani sul nuovo enorme giacimento siriano nel Mediterraneo.

Esteri 03_01_2014
Piattaforma estrattiva marittima

Mosca mette le mani sulle propaggini settentrionali del mega-giacimento di gas rilevato nel 2009 dagli israeliani sotto le acque del Mediterraneo Orientale ma non si può certo dire che non se lo sia guadagnato. L’accordo firmato la settimana scorsa a Damasco concede alla società russa Soyuzneftegaz l’esclusiva per 25 anni dell’esplorazione e sfruttamento del primo giacimento off-shore di gas e petrolio siriano. Un accordo quasi scontato sia perché a causa del conflitto in atto da quasi tre anni Damasco non ha denaro da investire in ricerca energetiche off-shore sia perché con le sanzioni internazionali in atto gli unici partner possibili per il regime di Bashar Assad erano russi, iraniani e cinesi.

Mosca comincia quindi a incassare i benefit di una gestione della crisi siriana che finora ha visto il successo di Vladimir Putin, riuscito a scongiurare, con l’accordo sul disarmo chimico del regime, un attacco internazionale che avrebbe potuto essere fatale per Bashar Assad. Damasco del resto ha debiti non solo politici e morali con Mosca che oltre a fornire armi ed equipaggiamenti alle forze governative stampa persino le banconote di dinari siriani e vanta crediti per miliardi nei confronti della Siria.

Inevitabile quindi che ai russi andassero compensazioni economiche consistenti legate allo sfruttamento dei nuovi giacimenti di gas e petrolio la cui precisa ubicazione non è ancora nota. Soyuzneftegaz, di proprietà dell’ex ministro dell’Energia (in carica nei primi anni ’90) Yury Shafranik e già attiva nello sfruttamento del greggio nel sud dell’Iraq, ha ottenuto una concessione che copre un’area vasta beh 2.190 chilometri quadrati al largo dei porti di Banias e Tartus ma investirà. I costi di esplorazione, valutati circa 90 milioni di dollari, saranno tutti a carico della compagnia russa che si sobbarcherà anche gli investimenti per le infrastrutture necessarie all’estrazione di gas e petrolio.

Soyuzneftegaz dovrebbe in ogni caso andare sul sicuro dal momento che tutti gli studi valutano che i giacimenti si estendano lungo le acque israeliane, cipriote, greche e libanesi fino a toccare quelle di fronte alle coste siriane e turche. Gerusalemme si è già accordata con Nicosia per lo sfruttamento congiunto delle risorse ma ha problemi nel definire il confine delle aree marittime di sfruttamento con i libanesi e non è escluso che in futuro contenziosi scoppino anche tra Siria e Libano e tra Turchia e Siria.

Se alcuni analisti valutano che la gestione del mega giacimento favorirà la risoluzione delle crisi in Medio Oriente, di certo la ricchezza determinata dallo sfruttamento di queste risorse energetiche potrebbe fornire un importante supporto finanziario alla ricostruzione post bellica della Siria o, in caso di prolungamento della guerra, una rilevante risorsa finanziaria nelle mani del regime. Il conflitto che ha provocato finora 130 mila vittime e le sanzioni internazionali hanno ridotto la produzione di gas siriano a 16,7 milioni di metri cubi al giorno contro i 30 milioni di prima della guerra.

Ancor peggio è andata la produzione di greggio scesa del 95%, scesa da 380 mila barili al giorno a 20mila. Nonostante le riserve stimate nel Paese raggiungano i 2,4 miliardi di barili la gran parte dei pozzi petroliferi si trova nelle regioni orientali e settentrionali in mano ai ribelli o interessate da aspri combattimenti. Una situazione che ha costretto Damasco a importare petrolio anche ricorrendo a traffici clandestini come le triangolazioni rilevate recentemente da un’inchiesta dell’agenzia britannica Reuters che ha trovato le prove di forniture di greggio iracheno per 17 milioni di barili trasportato da petroliere iraniane registrate sotto la bandiera della Tanzania e gestiti da società di comodo in Egitto e Libano.

I giacimenti off-shore garantiranno massima autonomia e controllo al regime perché sono fuori dalla portata dei ribelli e perché la fascia costiera inclusi i porti e la raffineria di Banias rientrano nell’area abitata da popolazione alawita fedele a Bashar Assad. Forse anche queste valutazioni di valenza energetica, politica e militare sono state pese in esame dall’ultimo rapporto della Cia che smentisce la litania con cui Barack Obama e i principali leader europei hanno ripetuto per due anni che i giorni di Assad erano contati.

Il report dell’intelligence valuta che la "guerra civile potrebbe durare altri dieci anni o anche di più", con Assad "non vincitore ma in grado di sopravvivere" senza controllare "tutta la Siria ma di certo un'area al confine con il Libano e la costa del Mediterraneo". Secondo la Cia il resto del Paese potrebbe dividersi in tante "enclaves" controllate dalle diverse milizie, rivali e divise dalla maggiore o minore radicalizzazione.

A cambiare i rapporti di forza a favore di Assad, secondo il rapporto reso noto dal Wall Street Journal, sono stati soprattutto gli aiuti militari e i rinforzi inviati in Siria da Iran ed Hezbollah libanesi. Contributi che di certo hanno influito come appare evidente in questi giorni nell’offensiva dei governativi nell’area di Aleppo ma senza il peso politico internazionale e gli aiuti di Mosca oggi la Siria sarebbe probabilmente già un Emirato in mano alle milizie salafite e qaediste.