«Merito della diplomazia vaticana se il Libano non collassa»
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Mentre in Libano si vota per le muncipalità, la Bussola intervista il vescovo di Beirut monsignor Essayan: «Se l'IDF non si è ancora spinto ad occupare altro territorio libanese è merito della diplomazia vaticana. La speranza qui ha il volto di Rony, che è tornato a vivere nel suo paese completamente raso al suolo».

Iniziate il 4 maggio, sono in corso nel Libano le elezioni municipali per il rinnovo delle amministrazioni locali. Tra intimidazioni, scontri, denunce di brogli e richieste di ricalcoli, regione per regione, città per città i collegi elettorali stanno eleggendo i loro rappresentanti; l'ultima regione ad essere interessata sarà il sud, che andrà alle urne il 24 maggio. Nonostante il clima di apparente e relativa normalità, occorre ricordare che proprio al sud cinque diverse località lungo il confine con Israele sono occupate da altrettante postazioni militari dell'esercito israeliano.
Secondo i termini dell'accordo stipulato il 27 novembre 2024 tra Libano e Stato Ebraico, garante la comunità internazionale, in primis Francia, Stati Uniti e Arabia Saudita, lsraele avrebbe dovuto ritirarsi dal Paese dei cedri entro il 26 gennaio scorso, ma così non è stato. Come da accordi, Hezbollah ha in gran parte smantellato la sua presenza militare nell'area del confine, lasciandone l'onere della sorveglianza all'esercito regolare libanese. Anziché ritirarsi dalle cinque postazioni militari, IDF continua invece a portare quotidianamente attacchi via aria e via terra volti ad «eliminare qualunque traccia residuale di Hezbollah» che provocano morti e feriti quasi ogni giorno.
Secondo stime ufficiali dal 27 novembre 2024, data della firma degli accordi e del relativo cessate il fuoco, a metà maggio 2025, 160 persone sono state uccise in Libano da IDF e 380 ferite. Inoltre, buona parte dell'area del confine è ridotta a un cumulo di macerie, le zone agricole inquinate dalle bombe al fosforo sono irrecuperabili, le vie di comunicazione interrotte. La capitale Beirut, che voterà il 18 maggio, è soggetta a continui sorvoli di droni israeliani nonché a sporadici bombardamenti nella dahiye, la vasta periferia sud già feudo di Hezbollah. E' difficile immaginare lo svolgimento di regolari elezioni in simili circostanze; in un Paese la cui sovranità territoriale è così pesantemente intaccata la credibilità delle istituzioni democratiche viene inevitabilmente meno.
La Bussola ne ha parlato con Monsignor César Essayan, religioso libanese appartenente all'Ordine dei Francescani Conventuali, Vescovo cattolico latino di Beirut dal 2016. Monsignor Essayan è a capo del Vicariato Apostolico (così si chiamano le Diocesi in terra di missione) dei Latini, la cui giurisdizione si estende su tutto il Libano. Il prelato ci riceve presso la sede del Vicariato a Jeita, nella regione del Keserwan, a nord di Beirut, dove la tornata elettorale ha avuto luogo il 4 maggio.
Eccellenza, a suo avviso queste elezioni hanno un qualche valore? Porteranno ad un miglioramento per il Libano?
Beh, il fatto che ci siano è comunque una cosa buona, che crea un certo movimento nel Paese, sono un segno di vitalità.
Nelle regioni in cui si sono già tenute si sono registrati tafferugli, scontri, brogli reali o presunti.
Sa come si dice? I partiti musulmani inducono gli elettori a votarli con la minaccia, quelli cristiani con il denaro. E' vero che i problemi del Paese sono altri. Prima di tutto abbiamo bisogno di riconciliarci con l'identità libanese: quella del vivere insieme, dell'ospitalità, dell'accoglienza. Il Libano ha sempre avuto la capacità di salvaguardare l'identità di tutti coloro che vivono nel Paese: cattolici, ortodossi, sciiti, sunniti, drusi, armeni. Tutti. Il Libano non è la Svizzera: dividerlo in cantoni, come qualcuno vorrebbe, significherebbe snaturarlo. L'identità del Libano è mista, le famiglie sono miste. Senza riconoscere questa identità comune non ci sarà mai pace: chi usa la propria identità per prevaricare quelle altrui al fine di appropriarsi di una fetta più grossa di potere non fa che creare divisione.
Può fare un esempio?
I Paesi occidentali che strumentalizzano i cristiani libanesi in funzione anti Hezbollah: questo non è stare dalla parte del Libano, ma indebolirlo. Ciò che fa più male è vedere come pochi Paesi reagiscono davanti alle violazioni dei diritti umani, ad esempio davanti a ciò che succede a Gaza, e anche qui.
Chi sta dalla parte del Libano?
Nessuno! Il Libano è stato lasciato da solo. Le posso dare un'opinione strettamente personale?
Prego.
Certamente è difficile che Israele abbandoni i villaggi del sud come Maroun al Ras, sono troppo importanti a livello strategico; ma se IDF non si è ancora spinto ad occupare altro territorio libanese e si è fermato al sud a mio avviso è merito solo dell'incessante diplomazia vaticana. Naturalmente non ne ho la certezza perché le trattative diplomatiche sono segrete, ma una prova di ciò sono le frequenti visite al sud del Nunzio Apostolico in Libano, Monsignor Paolo Borgia. Ha insistito per celebrare le Sante Messe di Natale e Pasqua al Sud, in chiese semidistrutte; i suoi viaggi nella regione sono continui. A mio parere questi sono chiari segnali per Israele, per il Libano e per la Chiesa stessa, come a dire: l'occhio della Santa Sede è costantemente sul Libano, e in particolare sulla regione del sud.
Quando ha visitato il sud l'ultima volta?
Il 27 marzo scorso. Ho appunto accompagnato Monsignor Borgia a visitare i villaggi di confine, vicini alla Blue Line. Non è facile arrivarci: persino il Nunzio, massimo rappresentante della Santa Sede nel Paese, deve chiedere il permesso al corpo di peacekeeping di Unifil per entrare nella regione.
Che situazione ha trovato?
Distruzione, rovine, accanimento gratuito verso le proprietà degli abitanti dei villaggi, le case, le chiese, le moschee, gli oggetti sacri. Ho provato desolazione e tristezza oltremisura. Come non piangere davanti alle statue decapitate della Vergine e dei Santi, come non sentirsi morire davanti alle rovine delle chiese, che sono la Casa di Colui che è solo Amore e Servizio? In questa devastazione, tanti religiosi e religiose stanno facendo un lavoro straordinario di resistenza umana e cristiana. Nel villaggio di montagna di Aïn-Ebel alcuni dei circa mille e duecento abitanti hanno deciso di restare nelle loro case nonostante la scarsità di carburante, alimenti e beni di prima necessità e nonostante il terrore dei raid israeliani, che nella regione non accennano a cessare. A fianco di chi è rimasto c'è suor Maya Beaino, direttrice del Collegio delle Suore del Sacro Cuore, che eroicamente tiene aperti la scuola, il convento e una cappella dove tutti sono invitati a fermarsi per pregare, cristiani e musulmani.
Cosa l'ha più colpita in quella desolazione?
Un incontro a Yaroun, un villaggio misto cristiano e musulmano a quasi ottocento metri sul livello del mare che domina la Blue Line, totalmente raso al suolo, spopolato e circondato da sentinelle israeliane. In mezzo al paese abbiamo incontrato una persona che da sola ha deciso di rientrare e che attualmente è l'unico abitante del posto. Si chiama Rony, è un giovane che è tornato a vivere nella sua piccola casa senza vetri alle finestre, senza acqua, senza elettricità, senza niente. Quando gli ho chiesto cosa facesse lì da solo, mi ha risposto che fa la guardia al villaggio, e in particolare a quel che resta della chiesa, completamente distrutta. Vuole dare un segnale di speranza ai suoi compaesani, per incoraggiarli a tornare, a fermarsi, a ricostruire la chiesa e le case. Tutti se ne sono andati da Yaroun, anche il parroco ha dovuto lasciare il villaggio, e questo ragazzo se ne sta da solo a fare la guardia alle macerie. Immagini la scena: una sentinella che in mezzo alle macerie fa la guardia al paese davanti alla sentinella israeliana, come a dire io ci sono, il villaggio non è abbandonato del tutto, la guerra e la violenza non possono distruggere la nostra appartenenza, la nostra identità. L'ho trovato un segno potentissimo di speranza.