Meno della metà degli americani ritiene importante la fede
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La ricerca di Gallup ci informa che solo per il 49% degli americani la religione è una parte importante della loro vita. Nel 2015 era il 66%. In dieci anni c’è stata una perdita di 15 punti percentuali. Una enormità.
Qualche settimana fa avevamo illustrato i risultati di un’indagine demoscopica sulla religiosità degli americani realizzata dal Public Religion Research Institute in cui si evidenziava un aumento di atei e agnostici e un abbandono da parte dei fedeli dalle chiese tradizionali e in particolare da quella cattolica.
Questo orientamento secolarizzante è stato confermato da un’altra ricerca ancor più recente realizzata da Gallup, agenzia specializzata in sondaggi. La ricerca ci informa che solo per il 49% degli americani la religione è una parte importante della loro vita. Nel 2015 era il 66%. In dieci anni c’è stata una perdita di 15 punti percentuali. Una enormità. Tanto è vero che Gallup tiene a precisare che «dal 2007, solo 14 degli oltre 160 paesi inclusi nel sondaggio mondiale hanno registrato, in un arco di tempo di 10 anni, cali di oltre 15 punti percentuali relativamente all’importanza della religione». Insomma una eccezione significativa quella degli States. Il calo è incidente soprattutto tra chi professa un culto cristiano, dato che la religione cristiana è la prevalente negli USA. E in merito ai cattolici, un sondaggio promosso da Leadership Roundtable ci informa che «solo il 38% dei cattolici statunitensi partecipa alla messa almeno una volta alla settimana».
Altro dato rilevante è l’importanza della religione a livello mondiale e il posizionamento degli USA in riferimento a tale dato. Nel 2025 per l’83% delle persone di tutto il mondo la religione è un aspetto importante della loro vita. Da sottolineare due dati. Il primo: questa percentuale è rimasta sostanzialmente invariata dal 2007. Il secondo: l’importanza della religione è colata a picco nel 2020, anno del Covid (76%). Invece di aggrapparsi più a Dio, il Covid, così pare, ha fatto perdere fiducia in Dio.
Se invece andiamo a vedere i 38 Paesi dell’OCSE, ossia i Paesi con economie sviluppate, scopriamo che nel 2025 non solo la religione è importante per meno della metà della media globale – 36% contro 83% - ma tale dato è in calo dal 2007, quando segnava un 41%. E allora, dato che la media globale, come abbiamo visto, è sostanzialmente costante nel tempo e dato che la religiosità nei Paesi OCSE è in calo, ciò significa che vi sono altri Paesi, quelli in via di sviluppo, in cui la religiosità nel tempo è in crescita. Papa Francesco ci invitava ad andare nelle periferie del mondo per portare Dio, ma lì Dio è ben più presente che nel centro del mondo.
Gli Stati Uniti in materia di religiosità, come abbiamo già notato, si attestano ad un 49%: sotto all’83% della media globale, ma sopra al 36% dei Paesi industrializzati. Il sondaggio poi aggiunge che «sono sempre meno gli americani che si identificano con una religione» e che «la frequenza e l'appartenenza alla chiesa sono in calo». Dunque negli States vi è anche un calo di persone praticanti e appartenenti a tutte le fedi, ma costoro, rivela Gallup, sono comunque più devote rispetto ai fedeli della maggior parte dei Paesi con economie simili alla loro.
Quindi questi dati ci potrebbero dire che, grazie al benessere, laddove il corpo vive meglio, l’anima vive peggio. Infatti i Paesi con economie più sviluppate pare non abbiano bisogno di Dio. Ricchezza, benessere e sviluppo tecnologico tengono lontano Dio, buono solo – qualcuno potrebbe dire – come consolazione per i derelitti del sud del mondo, come oppio per coloro i quali non vogliono sentire la sofferenza generata da un’esistenza piena di stenti.
Questa interpretazione non regge perché, se parliamo di sofferenza psicologica, l’Occidente è al primo posto per assunzione di farmaci contro la depressione e disturbi simili e inoltre questa categoria di farmaci è in testa alla spesa sanitaria occidentale. Siamo noi occidentali che, nel rispetto del principio oppioide della religione, dovremmo ricorrere all’anestetico Dio più spesso degli abitanti del sud del pianeta.
Il calo della religiosità negli States e in modo ancor più marcato, come media, nei Paesi OCSE, si spiega non tanto in termini economici – sebbene il dio Denaro possa distrarre molti dal vero Dio – bensì in termini culturali, con una precisazione che riguarda proprio gli USA. Partiamo dalla precisazione. Come evidenziato dai sondaggi di Public Religion Research e di Leadership Roundtable il crollo di fiducia verso le chiese cristiane e in specie verso quella cattolica è da addebitarsi per buona parte agli scandali legati agli abusi sessuali del clero.
Scandali scoppiati agli inizi degli anni Duemila e la cui eco è arrivata sino ai giorni nostri. Una sfiducia che colpisce maggiormente la Chiesa istituzionale (vescovi e Roma) e meno quella locale (la propria parrocchia). A riprova della correttezza di questa valutazione riportiamo questo dato: per i cattolici a stelle e strisce la priorità della Chiesa non è l’insegnamento della dottrina e nemmeno l’aiuto ai poveri o l’attenzione all’educazione dei giovani, bensì la trasparenza e l’assunzione di responsabilità in caso di scandali.
Sul piano culturale, invece, c’è da evidenziare che la sensibilità diffusa che va dalla Russia al Canada e dalla Polonia agli States è caratterizzata da un insieme di fattori che rigettano in radice qualsiasi tensione soprannaturale, fattori che si possono ridurre a due: l’Io versus Dio e la materia versus lo spirito. Sul primo punto è innegabile riconoscere che la nostra è un’anticultura radicata nell’Io che esclude l’altro – e Dio è l’Altro per eccellenza - o lo contempla solo se utile all’Io – e il Dio cristiano, al contrario, obbliga e si sottrae a logiche utilitariste. Il radicamento nell’Io porta ad una morale soggettiva: l’unico dio artefice del bene e del male è il soggetto stesso. Al bando la religione perchè vuole imporre a livello universale la propria etica.
Sul secondo punto, è di piena evidenza registrare che la nostra è un’anticultura nemica della metafisica, quindi dell’anima e di Dio, e amica dell’immanenza, della materia, dell’appagamento dei sensi, di ogni desiderio vocato a diventare diritto. Sul piano spaziale questa prospettiva si condensa in un sguardo rivolto verso il basso e non verso l’alto. Sul piano cronologico, invece, si condensa in uno sguardo che si spinge solo al limite temporale della nostra vita su questa Terra e non approda all’eternità: tutto qui si consuma e il tutto riceve senso solo dal medesimo qui. Tra l’altro ciò significa che non c’è giudizio dopo la nostra morte e quindi perché impensierirsi? Perché studiare attentamente le nostre azioni in vista di un esame finale? L’abbandono di Dio è necessario per vivere come si vuole e non come si deve.
E dunque il calo di consensi verso Dio corrisponde ad un aumento di consensi verso il proprio esasperato individualismo e verso il benessere materiale. Ma più ci allontaniamo dalla luce più cresce il buio dentro di noi. Sazi e disperati questi Occidentali, avrebbe commentato il cardinal Biffi.
La speranza di un cambiamento da dove potrà venire? A dar retta al sondaggio di Leadership Roundtable e in relazione alla sola Chiesa cattolica statunitense, il cambiamento potrebbe venire dai giovani. Infatti scopriamo che costoro, sebbene siano i meno numerosi dal punto di vista percentuale, sono i più convinti, i più attivi, più impegnati e i più assidui nell’accostarsi ai sacramenti e alla preghiera. Non sono più gli anziani a credere con maggiore convinzione come accadeva vent’anni fa, bensì i giovani.

