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CANONIZZAZIONE

Mariam e Marie le prime due sante della Palestina

Domani saranno proclamate sante due donne palestinesi, Marie Alphonsine Ghattas, di Gersualemme, e Mariam Baouardy, della Galilea. A rendere l'evento ancor più significativo è il fatto che una delle due, Marie, è la fondatrice delle Suore del Rosario, l'unica congregazione religiosa autoctona della Terra Santa.

Editoriali 16_05_2015
Cristiani palestinesi

Per la prima volta nell'era moderna, domani saranno proclamate sante due donne palestinesi, Marie Alphonsine Ghattas, di Gersualemme, e Mariam Baouardy, della Galilea. Assieme a loro, saliranno all'onore degli altari anche Jeanne Emilie de Villeneuve, fondatrice delle Suore dell'Immacolata Concezione di Castres, e suor Maria Cristina dell'Immacolata Concezione, fondatrice delle Suore Vittime espiatrici di Gesù Sacramento. 

Come ricordava su Avvenire del 15 maggio Giorgio Bernardelli, «a rendere l'evento ancor più significativo è il fatto che una delle due, Marie Alphonsine Ghattas, è la fondatrice delle Suore del Rosario, l'unica congregazione religiosa autoctona della Terra Santa, presenza preziosissima in tante parrocchie latine del Medio Oriente». L'attuale superiora generale, madre Ines, ha sottolineato che la canonizzazione della fondatrice significa «che è il turno della donna nel mondo. Può fare qualsiasi cosa, può diventare santa e insegnare al mondo la santità». Solo dopo la morte di suor Marie Alphonsine, avvenuta nel 1927, furono scoperti i suoi diari dove aveva meticolosamente annotato ciò che la Vergine, in numerose apparizioni, le aveva rivelato. Emblematica è anche la storia di suor Mariam Baouardy. Nata nei pressi di Nazaret nel 1846, riuscì a scampare a un matrimonio combinato quando aveva solo tredici anni. Sopravvisse anche a un tentato omicidio, quando un musulmano le tagliò la gola dopo che lei s'era rifiutata di convertirsi all'islam. Svegliatasi in una grotta, disse di aver visto al suo capezzale una donna, la Vergine.  

Proprio su questo punto s’è soffermato, durante il briefing in Sala stampa vaticana, padre Rifat Bader, direttore del Catholic Center for Studies and Media di Amman: «Santa Maria di Gesù Crocifisso (Mariam Baouardy, ndr) ha sofferto anche lei a causa dell'estremismo e di un’aggressione alla sua persona, poiché aveva rifiutato di cambiare la sua religione. Ed ecco che lei oggi intercede per ogni persona che viene uccisa per la sua fede; ci richiama con forza a rispettare le differenze di religione, di razza, e a considerare ogni uomo come creatura di Dio, creata a sua immagine e somiglianza».Non è un caso che il patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Fouad Twal, abbia detto che «Mariam e Marie Alphonsine in questa terra straziata dalla violenza dimostrano che la santità è possibile». Mons. Twal ha aggiunto che «se la Terra Santa oggi, straziata da violenza e divisioni, talvolta ci sembra sfigurata, le nostre due sante vengono a restituirgli il suo carattere sacro. Come se Mariam e Marie Alphonsine, con il loro esempio, ci dicessero: sì, la Terra Santa può essere feconda e può dare frutti di santità». Simboli di una terra martoriata, con i cristiani costretti a fuggire dalle regioni da loro sempre abitate. A testimoniare il dramma che da mesi si vive nella piana di Ninive in particolare, e nel vicino Oriente più in generale, ci ha pensato un gruppo di suore, davanti alla Commissione Affari esteri del Congresso degli Stati Uniti: «Noi non vogliamo nulla di più che tornare alle nostre vite; noi non vogliamo nulla di più che andare a casa», ha detto suor Diana, una domenicana di Santa Caterina di Siena a Mosul, nell'ambito dell'audizione che per titolo aveva "Antiche comunità sotto attacco: la guerra dell'Isis alle minoranze religiose". Suor Diana ha chiarito che «lo Stato islamico ha detto ai cristiani che loro devono convertirsi all'islam, pagare un tributo o andarsene con nulla di più che i loro vestiti addosso». Triste copione che da più d’un anno, ormai, gli jihadisti al soldo del Califfo Al Baghdadi vanno riproponendo nell’area da loro conquistata e controllata.

Il martirio dei cristiani è stato più volte evocato dal Papa nel corso dei suoi discorsi (ufficiali o improvvisati a braccio). La denuncia dell'orrore sempre si accompagnava all'auspicio affinché la comunità internazionale, finora inerte al di là di frasi rituali e costernazioni di facciata, facesse qualcosa. Il 6 aprile scorso, Lunedì dell'Angelo, al Regina Coeli Francesco disse che da parte di tutti deve continuare il cammino spirituale di preghiera intensa, di partecipazione concreta e di aiuto tangibile in difesa e protezione dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, perseguitati, esiliati, uccisi, decapitati per il solo fatto di essere cristiani. «Loro sono i nostri martiri di oggi, e sono tanti, possiamo dire che sono più numerosi che nei primi secoli». Da qui, la speranza in un rapido intervento della comunità internazionale, chiamata a non assistere muta e inerte di fronte a tale inaccettabile crimine, che costituisce una preoccupante deriva dei diritti umani più elementari. Qualche giorno dopo, scrivendo al Patriarca della chiesa ortodossa Tewahedo d'Etiopia, Abuna Matthias, appreso delle ventotto esecuzioni praticate da miliziani legati allo Stato islamico sulle coste libiche, il Pontefice sottolineava che «non fa alcuna differenza che le vittime siano cattolici, copti, ortodossi o protestanti. Il loro sangue è uno medesimo nella loro confessione di Cristo! Il sangue dei nostri fratelli e delle nostre sorelle cristiani è una testimonianza che grida per farsi sentire da tutti coloro che sanno ancora distinguere tra bene e male. E questo grido deve essere ascoltato soprattutto da coloro che hanno nelle mani il destino dei popoli». 

A Santa Marta, parlando a braccio, Francesco era stato ancor più duro nel comporre il martirologio odierno. Sempre il 21 aprile aveva così esordito nella sua omelia mattutina: «Oggi vorrei ricordare che la storia della chiesa, la vera storia della chiesa, è la storia dei santi e dei martiri. Perseguitati i martiri, tanti uccisi, da quelli che credevano di dare gloria a Dio, da quelli che credevano di avere la verità. Quanti Stefani ci sono nel mondo! Pensiamo ai nostri fratelli sgozzati sulla spiaggia della Libia; pensiamo a quel ragazzino bruciato vivo dai compagni perché cristiano; pensiamo a quei migranti che in alto mare sono buttati in mare dagli altri, perché cristiani; pensiamo a quegli etiopi, assassinati perché cristiani, e tanti altri. Tanti altri che noi non sappiamo, che soffrono nelle carceri, perché cristiani».