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NIGERIA

Manichini mozzati, l'effetto Shari’a investe la moda

Ai commercianti è arrivato l’ordine di mettere nelle vetrine dei negozi solo manichini privi di testa e non svestiti perché mostrare le forme del petto e del sedere è contrario agli insegnamenti della legge coranica. Succede nel Kano, uno degli Stati nigeriani, dove la Shari’a sta condizionando la vita quotidiana. 

Esteri 22_08_2021

Ai commercianti è arrivato l’ordine di mettere nelle vetrine dei negozi solo manichini privi di testa. I manichini decapitati inoltre d’ora in poi non dovranno mai essere esposti “nudi”.

Non si tratta di uno dei primi decreti dei talebani in Afghanistan. Succede in Nigeria e non sono neanche gli integralisti Boko Haram o dell’Iswap, lo Stato islamico della provincia dell’Africa occidentale, a imporre nei territori da loro controllati manichini vestiti e senza testa. La decisione è della polizia religiosa di Kano, uno dei 12 stati del nord a maggioranza islamica della federazione nigeriana. “Con la testa sembrano esseri umani” spiega il comandante della polizia islamica, Haruna Ibn-Sina, e, per giustificare il divieto di lasciare in vetrina dei manichini svestiti, dice: “Mostrare le forme del petto e del sedere è contrario agli insegnamenti della Shari’a, la legge coranica”.

L’anno scorso la polizia religiosa, che nel Kano si chiama hisbah e che, non essendo autorizzata a portare armi, dallo scorso anno viene addestrata alle arti marziali, ha rasato a zero degli uomini con tagli di capelli ritenuti non appropriati, ha inflitto punizioni a quelli che indossavano pantaloni a vita bassa e ha messo al bando un certo ballo, arrivato dal Sudafrica e diventato di moda, alla fine del quale i partecipanti si lasciano cadere teatralmente a terra. Ha anche proibito, però a quanto pare con scarso successo, di chiamare Black Friday (Venerdì Nero) i saldi, perché il venerdì è il giorno sacro per l’Islam. Da qualche tempo succede inoltre che agenti dell’hisbah fermino e distruggano dei camion, di proprietà di non musulmani, che trasportano bevande alcoliche, proibite dall’Islam, e compiano irruzioni nei bar accusando i proprietari di “azioni corrotte”. 

La Nigeria è una federazione di 36 stati, i suoi abitanti sono per metà musulmani, concentrati nel nord, e per metà cristiani. La costituzione del 1999, anno che mise fine a un lungo, drammatico periodo di colpi di stato e dittature, prevede che in tutto il territorio nazionale si applichi la common law britannica, ma ammette che in materia civile possano essere applicati il diritto consuetudinario e quello islamico, a condizione che le parti contendenti acconsentano.

In pratica le corti consuetudinarie e quelle islamiche hanno facoltà di giudicare controversie riguardanti il diritto di famiglia e di successione. I 12 stati del nord invece, uno dopo l’altro, hanno deciso, violando la costituzione, di applicare la shari’a a ogni aspetto della vita sociale e famigliare. I vescovi cristiani e altre componenti della società nigeriana invano hanno protestato, a più riprese, invocando il rispetto dell’articolo 10 della costituzione che dichiara la Nigeria stato aconfessionale;  hanno denunciato come incostituzionali le discriminazioni religiose e sessuali che l’introduzione della shari’a comporta; e si sono appellati all’incostituzionalità delle pene corporali.

Il 23 marzo 2000 nello stato di Zamfara veniva eseguita la prima amputazione della mano a un ladro islamico e da allora le pene corporali inflitte sono state numerose. Suscitarono sdegno nel mondo occidentale le ingiuste accuse di adulterio rivolte a due donne, Safiya Hussaini, nel 2001, e Amina Lawall, nel 2002, entrambe condannate a morte per lapidazione, poi assolte grazie alle pressioni internazionali. Il 2002 è stato anche l’anno della rivolta popolare contro la scelta della capitale nigeriana Abuja per la finale del concorso di bellezza Miss Mondo. A innescare le proteste prima a Kaduna, capitale dell’omonimo stato, e poi ad Abuja era stato un giornalista che, parlando delle finaliste, aveva scritto che Maometto stesso avrebbe voluto prenderne una in moglie. Folle inferocite di fedeli avevano tentato di dar fuoco alla sede del suo giornale e poi in entrambe le città avevano incendiato e distrutto automobili, negozi e chiese; armate di machete, spranghe, asce e armi da fuoco avevano aperto una caccia ai cristiani. I disordini durati tre giorni si erano conclusi con più di 100 morti e 500 feriti e con il trasferimento della finale di Miss Mondo a Londra.   

La maggior parte della popolazione islamica, anche quella moderata o addirittura non praticante che non condivide il rigore integralista, ha approvato il progetto di estendere l’influenza dell’islam. Le minoranze cristiane residenti nel nord si sono dovute adattare alla progressiva islamizzazione che le ha indebolite politicamente ed economicamente. Il governo centrale, pur condannando ufficialmente le iniziative dei governi locali, non ha mai preso provvedimenti concreti per contrastarle. 

Dunque i manichini con la testa hanno i giorni contati nel Kano. Solo qualche musulmano giovane si è detto contrario, ma non al punto di volersi opporre alle disposizioni dell’hisbah. Contati rischiano di essere anche i giorni di Sheikh Abduljabbar Kabar, un giovane religioso musulmano sotto processo per blasfemia. Rischia la pena di morte. Potrebbe evitarla se fosse accolta la richiesta di trasferire il giudizio del suo caso a un tribunale secolare come è successo all’inizio dell’anno nel caso di un ragazzino di 13 anni, condannato a dieci anni di carcere per aver fatto commenti offensivi su Allah e assolto in appello, e di Yahaya Aminu-Sharif, un cantante condannato a morte per i versi delle sue canzoni, irriguardosi verso il profeta Maometto, la cui condanna è stata sospesa per vizi procedurali. Dovrà essere giudicato da un altro tribunale, ma intanto casa sua è stata bruciata per protesta e deve vivere nascosto. Quanto al ragazzino tredicenne, i giudici islamici non si arrendono, hanno detto che intendono presentare ricorso.