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Ora di dottrina / 135 – La trascrizione

L’unione ipostatica (II parte) – Il testo del video

Al Concilio di Calcedonia (451) si condannò il monofisismo, che riteneva che in Cristo fosse presente una sola natura. Un’eresia evolutasi in forme simili nei secoli successivi. Gli errori cristologici odierni e i chiarimenti della CDF nel 1972 e, con la Dominus Iesus, nel 2000.

Catechismo 27_10_2024

Continuiamo la nostra catechesi sul grande mistero dell’unione ipostatica, cioè delle due nature – la natura divina e la natura umana – nell’unica persona divina del Verbo. Stiamo parlando in sostanza del grande mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio, del grande mistero di Gesù Cristo, Dio fatto uomo, Dio fatto carne.

La scorsa volta abbiamo dato uno sguardo ai primi tre concili ecumenici, cioè Nicea (325), Costantinopoli (381), Efeso (431). Per fare una sintesi rapidissima, nel Concilio di Nicea I si proclama la divinità di Cristo, affermando la sua consustanzialità con il Padre, cioè il fatto di essere della stessa sostanza del Padre. Nel Concilio di Costantinopoli I, abbiamo visto che l’altro tema era affermarne anche la natura umana, la vera natura umana. E nel terzo concilio ecumenico, il Concilio di Efeso, abbiamo visto che si precisa ulteriormente questo dogma, affermando che le due nature sono non confuse ma unite, da cui l’unione ipostatica, con quello che comporta. Abbiamo accennato allo scontro tra Nestorio e san Cirillo di Alessandria, ossia il grande scontro su Maria Madre di Dio, sulla Theotókos, verità che Nestorio negava per affermare, a modo suo, la distinzione delle due nature; ma in realtà, come riconobbero san Cirillo e gli altri padri di Efeso, questa distinzione non equivale alla separazione delle due nature, perché c’è una reale unione delle due nature nell’unica persona di Cristo.

Facciamo un salto in avanti e passiamo al quarto concilio ecumenico, il Concilio di Calcedonia (451), tenutosi appena vent’anni dopo il Concilio di Efeso. Qual era il tema caldo da affrontare a Calcedonia? Era il grande problema dei cosiddetti monofisiti. Anche qui, come già vi avevo fatto notare riguardo alla crisi con Nestorio, parliamo di un personaggio importante, Eutiche, archimandrita – in sostanza, l’abate – di un grande monastero di Costantinopoli, che era molto amico di san Cirillo, il “campione” del Concilio di Efeso.

Eutiche, che stimava fortemente Cirillo e conosceva l’argomento e le tesi di Cirillo in funzione antinestoriana, ritiene che in qualche modo le argomentazioni, gli scritti di san Cirillo approvati dal Concilio di Efeso portino a sostenere un’unica natura in Cristo, l’unica natura divina. Eutiche prende come riferimento un’espressione in greco, che effettivamente si trova negli scritti di san Cirillo, ossia μία φύσις (mia physis), una natura. Senonché, nel contesto delle opere di Cirillo, questa espressione – mia physis – era intesa come l’unico essere, ciò che noi, in modo più corretto, chiamiamo “unità della persona divina”. Ricordiamo il contesto antinestoriano. Questa espressione di Cirillo viene in qualche modo estrapolata dal suo contesto e utilizzata da Eutiche per dire che in realtà Cirillo intendeva affermare una sola natura. E dunque Eutiche come poteva conciliare questo con i concili di Nicea, Costantinopoli e anche Efeso? Egli sostenne che nell’Incarnazione sarebbe avvenuta una sorta di fusione delle due nature o, meglio, la natura umana sarebbe stata in qualche modo assorbita nella natura divina. Perché Eutiche arriva a dire questo? Perché solo questo assorbimento avrebbe garantito, secondo lui, una reale unità di Cristo. Vediamo di nuovo quindi come Eutiche non intendeva, per così dire, “fare l’eretico”, ma intendeva spiegare e difendere a suo modo, in un modo che in realtà è errato, il mistero di Cristo proclamato nei tre dogmi precedenti, addirittura rifacendosi a un grande Padre della Chiesa, come san Cirillo di Alessandria. La sua preoccupazione era difendere la tesi di Cirillo dell’unità della persona di Cristo, ma lo faceva in un modo del tutto sbagliato. Cioè, questa unità non è più difesa nell’unica persona del Verbo, ma in una sorta di assorbimento della natura umana in quella divina.

Il Concilio di Calcedonia rigetta l’impostazione di Eutiche e afferma: «Uno e medesimo Cristo Signore Unigenito da riconoscersi in due nature [qui la dizione è chiara: due nature, dyo physis, non mia physis], senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili». Ciò significa che non sono due nature giustapposte, ma indivise, inseparabili, non sono confuse; non c’è un assorbimento dell’una ai danni dell’altra. Prosegue il Concilio: «non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata anzi salvaguardata la proprietà di ciascuna natura e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi. Egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio, Unigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù Cristo, come un tempo hanno insegnato i profeti e poi lo stesso Gesù Cristo, infine come ci ha trasmesso il Simbolo dei Padri» (Denzinger, 302 ). Vedete che è un testo chiarissimo nella dottrina, ma che dice anche apertamente che questo è il modo e l’ermeneutica corretta per leggere i Profeti, il Vangelo e quanto ci hanno voluto trasmettere i Padri nel loro Simbolo.

Un altro testo importante che ha preparato in qualche modo il Concilio di Calcedonia è il famoso Tomus ad Flavianum di papa san Leone Magno, che si trova sempre nel Denzinger, ai numeri 290-295. Il Tomus è tutta una confutazione della posizione di Eutiche e un’affermazione del dogma della fede.

Dopo una “pausa” di circa un secolo, si giunge al Concilio di Costantinopoli II (553). Un concilio che è stato molto discusso; anche la sua ecumenicità è stata molto discussa. Gli ho dedicato un articolo dei supplementi della domenica, a cui vi rimando. A noi qui interessa sottolineare che, in fondo, questo concilio intende proporre una sintesi dei quattro concili precedenti (Nicea I, Costantinopoli I, Efeso, Calcedonia). È una bella sintesi quella fatta dal concilio, con una precisazione, cioè che la natura umana di Cristo non ha una ipostasi propria: in sostanza, a fare da “supporto” della natura umana non c’è una persona umana, ma una persona divina. Perché questa precisazione? Per indicare un punto preziosissimo, ossia che la natura umana ha un nesso ontologico con Dio. È molto prezioso questo chiarimento per tutto un filone che si è espresso in modo più o meno esplicito e che continua a inquinare le acque della teologia cattolica, anche recente. Questa precisazione del Concilio di Costantinopoli II ci dice che la natura umana è unita al Verbo non per adozione, per assunzione, ma ontologicamente, cioè è la natura umana del Verbo incarnato, è la natura umana di Dio. Non mi soffermo oltre, perché qui non c’è qualcosa di particolarmente nuovo, se non appunto questa sintesi molto bella e significativa dei concili precedenti, dunque una visione d’insieme del dogma cristologico.

Passiamo, con un salto di oltre un secolo, al Concilio di Costantinopoli III (680-681). In questo concilio abbiamo un revival in qualche modo del monofisismo. Ricordiamo che il tema monofisita era il tema del Concilio di Calcedonia (451), cioè un concilio di oltre due secoli prima. Al Concilio di Costantinopoli III troviamo sostanzialmente l’eresia del monofisismo in una nuova versione. Questo ci deve aiutare a capire qualche cosa di importante, cogliendone il senso storico: non è che le eresie, purtroppo, una volta condannate da un concilio, da un decreto, da un’enciclica, spariscono perché sono state condannate dalla Chiesa. Esse, spesso e volentieri, permangono, mutano in qualche modo il loro aspetto per non essere facilmente riconosciute, ma sopravvivono anche alle condanne. E non sopravvivono alle condanne all’esterno della Chiesa, come nel caso di uno scisma, ma all’interno della Chiesa. Tant’è che due secoli dopo la condanna di Calcedonia – e dunque la condanna dell’eresia da parte dei padri d’Oriente e dei padri d’Occidente, da parte di san Leone Magno – ritroviamo che in fondo questa eresia emerge nuovamente, si rifà viva, in una nuova versione, con un restyling. Qual è questa nuova versione? È quella del cosiddetto monotelismo o monoenergismo.

Monotelismo significa “una sola volontà”. Monoenergismo significa “una sola operazione”. Di che cosa si tratta? Si tratta dell’affermazione secondo la quale in Cristo, pur essendoci due nature, o, se si preferisce, pur non essendoci una sola natura, ci sarebbe però una sola volontà e dunque una sola operazione intellettuale e volitiva, che sarebbe quella o della natura divina o della natura umana. Nel caso del monotelismo, è quella della natura divina. In sostanza, i monoteliti affermano che, pur sussistendo la duplice natura e in particolare la natura umana, in realtà gli atti del Verbo incarnato non sono atti pienamente umani, perché la volontà sarebbe l’unica volontà divina, dunque – possiamo dire – l’unica volontà non umana. Ora, qui ci troviamo in una situazione particolare, perché apparentemente questa posizione sembra mantenere due nature, ma in realtà se io dico che c’è un’unica volontà, che è quella divina, vuol dire che non c’è una volontà umana; ma se non c’è una volontà umana vuol dire che non c’è una natura umana integra. Immaginate un essere umano senza una volontà: non è un uomo.

Di nuovo, vedete, c’è il problema del comprendere l’unità della persona articolata con le due nature complete. A portare avanti questa prospettiva, che chiaramente ha uno sfondo monofisita, perché se non c’è una volontà umana vuol dire che la natura umana è stata in qualche modo assorbita in quella divina, sono nientemeno che il patriarca di Costantinopoli, Sergio, e il patriarca di Alessandria, Ciro. Quindi, di nuovo due personaggi di tutto rispetto. A complicare ulteriormente la questione, c’è anche una lettera che papa Onorio indirizzò al patriarca Sergio, nella quale Onorio ebbe l’infelice idea di parlare di una sola volontà. Gli apologeti contemporanei di papa Onorio ritenevano che egli, con questa espressione, intendesse in realtà salvaguardare l’unità della persona divina, ma di fatto utilizzò un’espressione che era proprio l’espressione amata e voluta da Sergio e Ciro. Soprattutto nello scontro tra Sergio e san Sofronio, il tema era proprio se si potesse parlare di una o due volontà. Ho dedicato a questo tema un articolo, a cui vi rimando.

Fatto sta che questa uscita improvvida di papa Onorio, qualunque cosa egli volesse dire, venne condannata successivamente da due papi e tre concili. A noi importa che l’unicità della persona di Cristo, che i concili hanno affermato, non significa l’unicità della volontà, perché altrimenti la natura umana sarebbe imperfetta: ricordiamo che ciò che non è assunto non è salvato. Nella prospettiva monotelita, proprio la volontà umana, che è quella che ha provocato la caduta – infatti, è la volontà umana che sceglie pro o contro Dio, sceglie il bene o il male –, non sarebbe stata assunta dal Verbo e dunque non sarebbe stata sanata.

Con questo abbiamo un po’ concluso la carrellata dei primi grandi concili, i primi sei concili ecumenici che hanno affrontato tutti questi temi cristologici.

Facciamo un salto e veniamo alla contemporaneità. Uno potrebbe dire che il discorso cristologico è stato risolto, è pacifico, non ci sono più problemi… purtroppo non è così. C’è un documento del 1972 dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede, riguardo proprio ad alcuni errori sulla fede nel Figlio di Dio fatto uomo. Che cosa dice questo testo? È chiaro che se la CDF, nel 1972, se ne esce con una dichiarazione sui misteri dell’Incarnazione e della Santissima Trinità, rispetto ad alcuni errori recenti, significa che il problema c’era, eccome, nell’ambito teologico e non solo di nicchia.

Uno degli errori recenti, che viene evidenziato, sulla fede nel Figlio di Dio fatto uomo è il seguente: «Sono chiaramente opposte a questa fede le opinioni secondo cui non sarebbe rivelato e noto che il Figlio di Dio sussiste ab æterno nel mistero di Dio, distinto dal Padre e dallo Spirito Santo; inoltre, le opinioni secondo cui sarebbe da abbandonare la nozione di unica persona di Gesù Cristo, nata prima dei secoli dal Padre secondo la natura divina e nel tempo da Maria Vergine secondo la natura umana; e infine l’affermazione secondo cui l’umanità di Gesù Cristo esisterebbe, non come assunta nella persona eterna del Figlio di Dio, ma piuttosto in se stessa come persona umana, e di conseguenza che il mistero di Gesù Cristo consisterebbe nel fatto che Dio che si rivela sarebbe sommamente presente nella persona umana di Gesù».

Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante. C’è tutta una corrente che in modo esplicito o come un torrente carsico spinge, nella propria predicazione, nelle proprie pubblicazioni, nei propri discorsi, anche talvolta semplicemente con un lessico problematico, nella linea che in sostanza Gesù è Dio, sarebbe Dio, ma solo nel senso che, in Lui, Dio è pienamente presente, Dio pienamente agisce, Dio pienamente parla. Non invece secondo quell’accezione forte che abbiamo visto dichiarata, insegnata solennemente dai concili ecumenici che abbiamo trattato.

Vedete come c’è un problema chiaramente legato alla percezione, alla comprensione del mistero di Cristo: non è la stessa cosa dire che Cristo è il Verbo eterno del Padre che ha assunto la natura umana e dire che, nella persona di Cristo, Dio è presente, punto. È un problema sottile, ma di cui troviamo un riverbero enorme anche nella comprensione e nell’espressione liturgica della preghiera della Chiesa. Cioè, Gesù Cristo è Dio fatto carne e tutte le espressioni della fede devono concorrere a sottolineare questa verità e dunque con tutti quei gesti, tutte quelle espressioni che indicano la sua natura divina, la sua maestà divina, la sua signoria divina. Invece, l’altra versione, condannata appunto dal documento della CDF del 1972, vorrebbe che pur essendo presente – in Gesù Cristo – pienamente Dio, tuttavia non ci sarebbe un’unione ontologica tra Cristo e Dio o, meglio, si sostiene che Cristo non è Dio. Questa deriva è facilmente favorita o espressa da tutte quelle espressioni che invece tendono a sottolineare sempre e solo, in modo unilaterale, la dimensione umana, quasi a esorcizzare le manifestazioni che esprimono che Gesù Cristo è Dio. Questo è un fatto molto sottile, ma molto importante. Noi non affermiamo la presenza di Dio nella persona di Gesù Cristo: noi affermiamo la persona divina nella carne, cioè noi affermiamo che Gesù Cristo è Dio, che ha assunto la natura umana nella sua completezza. È completamente diverso. La nostra non è una cristologia “dal basso”, è una cristologia dall’alto: questo alto che certamente si incarna nel basso e che, di nuovo, riporta questo basso in alto, nell’ascensione, come vedremo.

Un altro testo che vi voglio citare, ancora più attuale, è la famosa dichiarazione del 2000, anno giubilare: la Dominus Iesus. C’è tutta una sezione, la seconda, che mette in luce alcune problematiche contemporanee proprio riguardo al mistero del Verbo. In particolare, il documento, al n. 10, prende di mira due “separazioni”, che nascono evidentemente da una cattiva comprensione dell’insegnamento dei concili che abbiamo appena visto. La prima è la separazione tra il Verbo e Gesù Cristo. Cito la Dominus Iesus, che qui a sua volta cita la Redemptoris missio di Giovanni Paolo II: «È contrario alla fede cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo [...]: Gesù è il Verbo incarnato, persona una e indivisibile [...]. Cristo non è altro che Gesù di Nazareth, e questi è il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti».

Dunque, prima separazione indebita. Ma questa separazione normalmente è affermata per supportare una seconda separazione che viene citata poco più avanti: «È pure contrario alla fede cattolica introdurre una separazione tra l'azione salvifica del Logos in quanto tale e quella del Verbo fatto carne. Con l'Incarnazione, tutte le azioni salvifiche del Verbo di Dio si fanno sempre in unità con la natura umana che Egli ha assunto per la salvezza di tutti gli uomini. L'unico soggetto che opera nelle due nature, umana e divina, è l'unica persona del Verbo». Qui c’è un vocabolario che ormai dovrebbe essere familiare. «Pertanto non è compatibile con la dottrina della Chiesa la teoria che attribuisce un’attività salvifica al Logos come tale nella sua divinità, che si eserciterebbe “oltre” e “al di là” dell’umanità di Cristo, anche dopo l'Incarnazione».

Questo è il punto che a noi preme sottolineare. Questa teorizzazione di una separazione tra il Verbo e Gesù Cristo è il sostegno di quest’altra separazione, quella tra l’azione salvifica del Logos, ossia Dio, e quella del Verbo incarnato. Secondo alcuni, secondo una teologia che continua a serpeggiare e di cui si sente l’eco (e anche di più, purtroppo), in sostanza Dio, il Logos, opererebbe in modo più universale rispetto al Verbo incarnato. Cioè, detto in modo più concreto: quello che Gesù Cristo ha detto e insegnato, in questa prospettiva teologica sarebbe solo una parte; ci sarebbe infatti un’azione più ampia, che è quella del Verbo. L’azione di salvezza e l’insegnamento del Verbo sarebbero più ampi rispetto a quelli di Gesù Cristo, e quelli di Gesù Cristo sarebbero solo una parte. Comprendete l’insidia. Cioè, l’insidia nasce dal fatto che il cristianesimo radicato nella persona del Verbo incarnato e dunque nella rivelazione che il Verbo incarnato ci ha fatto, in quella rivelazione che Egli ha operato nella sua natura umana, sarebbe solo una parte e, dunque, esisterebbe – potremmo dire – un “cristianesimo più universale, più ampio”, che certamente non nega questa parte, ma che la amplifica. Si comprende che questo discorso all’interno di un dibattito interreligioso diventa estremamente pericoloso, perché potrebbe sostenere un’azione del Logos più ampia di quella di Gesù Cristo, “a favore” di chi non aderisce a Gesù Cristo. Questa, in realtà, è una nuova versione di quella divisione che secoli addietro si sosteneva più o meno esplicitamente e che in sostanza negava il dogma dell’unione ipostatica. Non c’è una separazione tra il Verbo eterno e il Verbo incarnato, tra il Logos eterno e Gesù Cristo, così come non c’è alcuna separazione tra l’economia salvifica del Logos e l’economia salvifica di Gesù Cristo.



Ora di dottrina / 135 – Il video

L’unione ipostatica (II parte)

27_10_2024 Luisella Scrosati

Al Concilio di Calcedonia (451) si condannò il monofisismo, che riteneva che in Cristo fosse presente una sola natura. Un’eresia evolutasi in forme simili nei secoli successivi. Gli errori cristologici odierni e i chiarimenti della CDF nel 1972 e, con la Dominus Iesus, nel 2000.

Ora di dottrina / 134 – La trascrizione

L’unione ipostatica – Il testo del video

20_10_2024 Luisella Scrosati

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