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LA VERA EMERGENZA

L'obbligo vaccinale è un'ipoteca sul futuro dell'Italia

Mentre ci si attende dal Consiglio dei ministri odierno un ulteriore irrigidimento delle misure anti-Covid, con nuove categorie di lavoratori obbligate al vaccino, è incredibile che nessun politico prenda in considerazione i gravi rischi a cui i paesi come l'Italia vanno incontro. Non conoscendo neanche le aziende produttrici le conseguenze nel tempo, la vaccinazione di massa espone i paesi che la fanno a un rischio strategico di portata mai vista fino ad oggi. Se anche solo il 10% dei vaccinati avesse conseguenze gravi nel lungo periodo, avremmo milioni di persone inabili, con un impatto sociale, economico e sanitario di proporzioni mai viste.
- NON VACCINATI AL CONFINO, DALLA SICILIA ALLA SARDEGNA, di Ermes Dovico

Attualità 05_01_2022

Dopo quasi un anno l’assurda contrapposizione tra “pro vax” e “no vax”, che ha portato a una spaccatura sociale senza precedenti e a una deriva autoritaria tesa a calpestare i diritti dell’individuo e dei lavoratori utilizzando l’arma del “ricatto di Stato”, sembra giunta al culmine con l’applicazione di restrizioni alle libertà e al diritto al lavoro che non hanno eguali nella storia recente dell’Italia e dell’Europa. E si attende dal Consiglio dei ministri convocato per oggi un ulteriore irrigidimento delle misure.

Politica e media, invece di alimentare un dibattito costruttivo che tenga conto della posta in gioco, si limitano in gran parte a sostenere uno scontro sulle vaccinazioni Covid che contribuisce a esacerbare le tensioni sociali e l’emarginazione di chiunque abbia dubbi o esprima scetticismo circa le inoculazioni di massa dei cosiddetti vaccini che proprio in questa fase stanno mostrando i loro limiti. A conferma che su questo tema si sta navigando a vista in termini scientifici ma con un insensato pugno di ferro nei confronti dei cittadini, basta osservare che gli esperti fautori della terza e domani quarta dose sono gli stessi che fino a pochi mesi or sono sostenevano senza dubbi di sorta che con le prime due dosi avremmo ottenuto l’immunità a vita dal Covid-19. O che non era necessario vaccinare i bambini: tesi subito ribaltata appena i produttori hanno chiesto e ottenuto il via libera a inoculare anche i più piccoli.    

Del resto la comunità scientifica è divisa sull’efficacia e sulla salubrità di queste terapie geniche e tra chi esprime dubbi vi sono i più autorevoli scienziati della medicina mondiali e italiani, molti dei quali auditi negli ultimi mesi alla Camera e al Senato proprio su questo tema. Nelle ultime ore anche il professor Giulio Tarro, uno dei virologi italiani più affermati in ambito internazionale, in un’intervista ha criticato “l’opera di mistificazione della realtà” che i numeri ben dimostrano. “Il 21 dicembre facendo una proporzione fra numero di tamponi e soggetti positivi abbiamo riscontrato un tasso di positività del 3,5% con 30mila nuovi casi. Il 21 dicembre dell’anno precedente la stessa proporzione era del 12%. Quindi l’emergenza non c’è, mi pare ovvio. C’è una notevole riduzione del tasso di positività rispetto ad un anno fa, e in più la variante che sta circolando oggi è la stessa che circolava in Africa quando da noi era estate, senza conseguenze gravi. Sono stati gli stessi africani a smentire gli allarmismi occidentali, dicendo che si stava esagerando nel dipingere la variante sudafricana come devastante”.

In questo contesto, con le terapie intensive occupate al 15 per cento (e quindi per fortuna ben lontane dalla “sofferenza” del passato), decessi e ricoveri ben più limitati rispetto all’inverno scorso, ridurre il dibattito alla guerra tra pro vax e no vax è un esercizio più utile alla propaganda e agli interessi commerciali farmaceutici che a far fronte in modo razionale al Covid evitando pericolose scommesse al buio.
Difficile non accorgersi che il boom di positivi in Italia è esploso quando anche i vaccinati hanno dovuto farsi un tampone (in Danimarca il 92 per cento dei positivi è vaccinato) mentre i non vaccinati sono stati obbligati negli ultimi mesi a dimostrare ogni 48 ore di essere sani effettuando un tampone per prendere un treno, andare al lavoro o in un albergo.

Ma soprattutto non si può dimenticare che i cosiddetti vaccini restano sperimentali e termineranno i test (trials) alla fine del 2023 e nel 2024. Lo ha spiegato molto bene il professor Giovanni Frajese, endrocrinologo responsabile del Laboratorio di Scienze Tecniche Mediche Applicate dell’Università del “Foro Italico” di Roma, in un confronto televisivo con il viceministro della Sanità Pierpaolo Sileri. Anche nelle ultime ore Frajese ha definito assurdo l’obbligo vaccinale cui sembra voler tendere parte delle forze di governo e lo stesso premier Mario Draghi esprimendo forti critiche al dogma dei vaccini sperimentali.  

Mentre i governi chiedono ai cittadini di fidarsi ciecamente “della scienza”, i contratti tra le società farmaceutiche e gli Stati membri dell'Ue restano segretati mentre si continua a imporre la firma con cui si afferma di vaccinarsi di propria spontanea volontà persino alle categorie che hanno già, per legge, l’obbligo di sottoporsi a inoculazione come sanitari, personale militare, di polizia e della scuola. Settori che possono venire considerati i “pilastri” dello Stato e che sarebbero i primi a risultare esposti a eventuali gravi effetti negativi dei cosiddetti vaccini.

Certo appare esecrabile il “ricatto di Stato” a queste categorie e presto forse a tutti i lavoratori (o tutti i cittadini) italiani, obbligati a vaccinarsi per poter accedere al luogo di lavoro come, dal 10 gennaio, lo saranno tutti coloro che intendono accedere a mezzi di trasporto (incluso chi vive sulle isole, di fatto costretto a non potersi muovere) o avere una vita sociale.
Un ricatto ancor più ignobile perché colpisce il diritto alla sopravvivenza delle famiglie e penalizza ancora una volta i redditi più bassi che non possono permettersi la sospensione dal lavoro, ma l’aspetto forse più inaudito è che nessuno prenda in considerazione il rischio di minare la futura stabilità della società e della Nazione.

In un contesto di sperimentazione di vaccini di tipologia mai utilizzata in precedenza e di cui le stesse aziende produttrici non sono in grado di valutare le conseguenze nel tempo (né di assumersene la responsabilità), inocularli a gran parte della popolazione espone l’Italia, e tutto l’Occidente che utilizza quei tipi di vaccini, a un rischio strategico di portata mai vista fino ad oggi.
Se nei prossimi mesi o anni dovessero emergere complicazioni gravi e inabilitanti in percentuali significative delle popolazioni vaccinate l’impatto sanitario, sociale ed economico avrebbe dimensioni mai viste e insostenibili anche per le nazioni più ricche.

Se in Italia, dove la popolazione vaccinata sfiota i 50 milioni di persone, si registrassero entro alcuni anni effetti indesiderati gravi nel 10% delle persone che hanno ricevuto il vaccino, rischieremmo di avere 5 milioni di invalidi da assistere. Un numero insostenibile che determinerebbe conseguenze gravissime anche sul piano economico e demografico: per farsi un’idea del rischio catastrofico e suicida a cui ci stiamo esponendo basta ampliare un simile scenario a tutta l’Europa, agli Stati Uniti e all’Occidente nel suo complesso.
Come abbiamo già scritto, pur rifuggendo da teorie complottiste, appare evidente che nessun leader e nessun governo dovrebbero correre un rischio simile e non si può non notare quanto appaia incredibile che simili valutazioni non vengano neppure prese in considerazione nel dibattito politico, scientifico e mediatico.

Non si tratta di negare il valore dei cosiddetti vaccini nel ridurre gli impatti gravi del Covid, che miete vittime quasi esclusivamente nella popolazione anziana e già affetta da diverse patologie. Occorrerebbe però usare la massima cautela per il rischio che ciò che oggi appare una risposta (non l’unica con la possibilità delle cure e l’apparente affievolirsi dell’aggressività del virus) al Covid possa domani rivelarsi un problema ben più grave della malattia che ha cercato di ostacolare e la cui mortalità resta al di sotto dell’1 per cento.

Per ridurre tale rischio occorrerebbe puntare decisamente sulle cure, potenziare l’assistenza a domicilio dei malati per non rischiare più di intasare gli ospedali e incoraggiare la vaccinazione solo dei cittadini più anziani e fragili, maggiormente esposti agli effetti del Covid e che hanno una speranza di vita residua limitata. Uno Stato che tuteli la salute pubblica e la sicurezza nazionale ha il dovere di preservare il resto della popolazione e soprattutto i più giovani, dai rischi potenzialmente devastanti di una simile scommessa al buio.