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L'inno d'Italia e il servilismo "democratico"

«Il nero che ha cantato l'Inno nazionale alla finale di Coppa Italia non ha solo sbagliato, ma è stato strumento della strategia della sinistra. La stessa per cui al Festival di Sanremo si presentarono tutti con la coccarda arcobaleno, facendo dire a un noto politologo che, fossero stati ai tempi del Führer, avrebbero avuto la fascia con la svastica. Ci mancava solo di vedere i giocatori in ginocchio».

Attualità 19_06_2020

Ma che cosa vanno blaterando di eccellenza della moda italiana nel mondo se la moda la fa la sinistra americana, che là si chiamano Democratici e pure qua. Basta vedere come vanno vestiti i nostri giovani. L’ultimo grido è la beatificazione del negro (opps: nero) americano (a quelli africani ha già pensato il papa), che sale sul podio su cui stava fino a ieri la c.d. comunità Lgbt (comunità? bah, non risulta che si amino molto tra loro).

Ovviamente, la gente di spettacolo, che in genere è stata sui banchi di scuola meno di Greta Thurnberg, si adegua immediatamente. Come è noto, a un Festival di Sanremo si presentarono con la coccarda arcobaleno, facendo dire a un noto politologo che, fossero stati ai tempi del Führer, avrebbero avuto la fascia con la svastica. Adesso ai «democratici» di tutto il mondo, italiani in primis, tocca piegare il ginocchio e stare genuflessi la bellezza di quasi dieci minuti, che se hai più di cinquant’anni (quanti ne hanno Nancy Pelosi e la Boldrini? boh) qualcuno deve aiutarti a risorgere. I napoletani, si sa, sono fantasiosi, e napoletano era quel Renato Carosone che inventò il tormentone post-bellico Tu vuo’ fa’ l’americano. Così, con vero spreco di inventiva, hanno copiato la cerimonia del SuperBowl statunitense, con un cantante famoso che intona, senza accompagnamento di orchestra, l’inno nazionale. Suggestivo, certo. Ma l’inno americano è una marcia lenta, mentre quello italiano ha il ritmo dell’assalto dei bersaglieri a Porta Pia. Allora, per ovviare alla mancanza di solennità, l’hanno fatto cantare a un rapper afroamericano (visto? l’ho detto giusto) vestito come quello di A-Team. Ora, visto che il c.d. Inno di Mameli è del 1847, il povero cantante (nato a, mi dicono, Los Angeles), ha dovuto mandare a memoria strofe ottocentesche che, tutte, non le sanno nemmeno gli italiani. Così, si è impappinato. Per forza: già è difficile distinguere tra «stringiamoci a corte» e il più corretto «stringiamci a coorte». Sempre che uno sappia che cosa è una coorte. E poi: «perché non siam uni, perché siam divisi» e «ogn’uom di Ferruccio ha il core e la mano». E chi è ‘sto Ferruccio? De Bortoli? No, è nato dopo. «Già l’aquila d’Austria le penne ha perdute»: e poi si lamentano se il cancelliere non ci vuole come turisti. Il bello è che tutte le Nazioni si sono rivolte ai loro migliori musicisti per l’inno. Noi italiani, che siamo i padri della musica seria (tutto il vocabolario internazionale musicale è italiano), ci ritroviamo con tal Mameli e tal Novaro. Il primo non ebbe tempo di fare un bis perché morì sparato mentre cercava di mettere Mazzini al posto del Papa. Del secondo non si conosce altro. Non solo. Un autorevole storico sospettò che il ventenne Mameli scippò il testo a un suo insegnate barnabita. Niente di strano, visto che a quel tempo non esisteva il diritto d’autore. Infatti, anche la musica della Marsigliese è di un italiano, GiovanBattista Viotti, musicista di corte di Maria Antonietta (devo l’informazione al vaticanista Giuseppe Rusconi). Ma torniamo al nostro inno, che i  giallo-rossi hanno sdoganato dopo aver giubilato il «fascista» Salvini. Ma se ne sono accorti che un verso dice: «i bimbi d’Italia si chiaman Balilla»? Be’, se non se sono accorti loro, figuriamoci codesto Sergio Sylvestre (perché la ipsilon? come Sylvester Stallone? boh) a cui è toccato cantare «le porga la chioma» a tempo di blues. Ma lasciatelo in pace, mi sarei  impappinato  anch’io con un inno del genere. Ma ha vinto il Napoli, insomma, fategli cantare Funiculi’ funicula’, che è trionfale e conosciuta in tutto il mondo (a differenza del Mameli-Novaro). E poi, ora che ci penso: ma non avevamo Bocelli? Ah, già, non è l’ultimo grido. Infatti, dato il gran finale a pugno chiuso alla blackpower, si sono dimenticati di fare inginocchiare i giocatori. Per otto minuti e rotti, naturalmente.