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L'Europa di Draghi: molta "Unione" e poco "europea"

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Nella visione politica dell'ex premier prevalgono accentramento e transizione green. A scapito della vera forza del nostro continente: la sua identità.

Editoriali 17_02_2024
IMAGOECONOMICA - ANDREA PANEGROSSI

Mario Draghi, dopo la fine del suo mandato alla presidenza del consiglio del nostro Paese, ha conservato molti incarichi di prestigio e di potere, compreso quello di consulente della Commissione europea. E proprio di Europa egli ha parlato due giorni fa, in un discorso in occasione del ritiro di un premio alla National Association for Business Economics (NABE). Si è trattato di un discorso economico ma non solo. Qual è la visione politica di Europa che Mario Draghi ha esposto in queto discorso?

Egli sembra avere in mente una Europa che coincida con l’Unione europea. Che affidi agli Stati un compito dirigistico con le politiche di bilancio dato che non hanno più in mano la leva monetaria. Che però spinga verso una maggiore unificazione dato che gli Stati europei sono troppo piccoli nel mercato globale. Che unifichi le politiche delle banche centrali. Che continui sulla strada della transizione ecologica. Che dia vita ad un coordinamento delle politiche di difesa, essendo l’Europa il punto di riferimento per l’Ucraina nella sua guerra con la Russia. Infine, Draghi vuole un’Europa che mantenga vivi i propri “valori liberali” e i “nostri valori comuni”.

In altre parole, sembra che Draghi voglia un’Europa più accentrata, più forte e competitiva, più potente militarmente, più rispondente alle esigenze del momento come la guerra a Mosca e la transizione green. Ci si chiede se, in questo modo, essa non dimostri invece di essere meno autonoma e più dipendente da altri attori geopolitici più forti di essa, quelli che vogliono il Grande Reset cui è finalizzata la transizione ambientale e che “abbaiavano” ai confini della Russia. Certamente una simile prospettiva permetterà di garantire in Europa i “nostri valori comuni”, basta però intendersi su quali essi siano. Se si tratta di “valori liberali” nel senso di demolizione delle identità naturali e collettive, allora ancora una volta l’Europa non dimostrerebbe autonomia e indipendenza ma soggezione a centri di potere globale più grandi di lei che proprio questi valori ideologici vorrebbero imporre. Se l’Europa dovesse diventare più forte per perseguire questi obiettivi sarebbe forse sì più forte ma meno grande. Come sappiamo forte non vuol dire grande. Già ora l’Europa è “provincia”, nella linea di Draghi lo diventerebbe ancora di più. Una provincia più forte ma non meno provincia.

La situazione attuale dell’Unione Europea è di crisi e debolezza. Perfino i suoi confini non sono più chiari. Ci sono i confini mediterraneo e balcanico che si sono fatti estremamente problematici. Sul confine orientale è nata una nuova cortina di ferro tra Mosca e Kiev. Il trattato di Schengen si sta sbriciolando, con Stati che apertamente non lo applicano più cavillando su alcuni punti del testo e con altri che ne prospettano la revisione. Le migrazioni mettono a repentaglio i confini esterni ma anche quelli interni. L’insofferenza dei popoli per l’attuale governo ideologico europeo è evidente, le ultime elezioni in alcuni Paesi lo hanno dimostrato e le previsioni sulle prossime elezioni sembrano confermarlo: si parla dello spostamento di almeno un centinaio di seggi.

Ma l’attuale debolezza dell’Europa non deriva proprio da quelle stesse politiche che ora Draghi vuole potenziare? Sappiamo che l’Unione è un “ircocervo”, un miscuglio di esigenze contrastanti, come quella di avere un Parlamento che non legifera. Sappiamo che è un’organizzazione a cui si accede per cooptazione, che ha una propria “religione civile” di tipo laicista e antifamilista che impone agli Stati e che implementa tramite i progetti Erasmus. Sappiamo che dipinge negativamente gli Stati che non si allineano ai suoi dettami e che pone condizioni ideologiche all’ingresso. Sappiamo anche che l’adesione convinta degli europei all’Europa è bassa e che se alle prossime elezioni ci sarà un aumento di presenza alle urne sarà per avere meno Europa. L’Europa di Draghi si allunga su questa debolezza reale e non potrà cambiarla perché l’ha prodotta.

Più forte, più accentrata, più dirigista, più militarizzata … non vuol dire più grande. In passato era stata coniata l’espressione “Magna Europa” per indicare non tanto la forza materiale ma la grandezza spirituale e civile dell’Europa nata dalla Cristianità. Ora questa espressione indica quanto è stato rifiutato ed è andato perduto. Quando Draghi parla di “valori comuni” non certo si riferisce a questo, mentre è proprio questo che va recuperato, anche dal punto di vista civile. L’Europa deve riscoprirsi come una “comunità organica” di famiglie, municipi, popoli e nazioni. Deve valorizzare e non combattere le relazioni naturali, a cominciare dalla famiglia, riprendere a sviluppare l’economia reale, correggere l’indifferentismo religioso, evitare la laicità che diventa laicismo, riallacciare i rapporti tra famiglia e lavoro, abbandonare il principio della libertà come autodeterminazione, liberarsi dalle politiche ideologiche imposte da un Super Stato con sede a Bruxelles. Se non è così dell’Unione europea conviene fare a meno.



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