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AL SISI

L'Egitto risponde all'uccisione dei cristiani

Dopo il brutale assassinio di 21 egiziani copti, il presidente Al Sisi risponde bombardando l'Isis in Libia e chiedendo un'azione internazionale. Da un punto di vista religioso, si tratta di un'azione importante: uno Stato arabo risponde, con la forza, all'assassinio di suoi cittadini cristiani.

Esteri 17_02_2015
F-16 egiziano in volo

A farsi promotore di un intervento contro lo Stato Islamico in Libia è soprattutto un altro leader arabo. E’ il generale Al Sisi, presidente e uomo forte dell’Egitto post-islamico, che ha ordinato i primi raid aerei contro le postazioni degli jihadisti nel paese vicino. Ed è sempre lui che ora sta chiedendo a gran voce un intervento internazionale. Ma quel che è ancor più importante, nel contesto egiziano, soprattutto, è che l’intervento militare avviene dichiaratamente come risposta all’assassinio, da parte degli jihadisti, di 21 cittadini egiziani copti.

In diverse altre occasioni, i cristiani copti erano stati assassinati in Libia, da estremisti islamici salafiti. Per esempio, nel dicembre del 2012 era stata colpita una chiesa nella città costiera di Dafniya e due fedeli erano morti. Nel febbraio e marzo del 2013 sono state attaccate altre due chiese da gruppi armati. Nel marzo del 2013, un grande gruppo di 50 cittadini egiziani copti veniva rapito da miliziani salafiti, sottoposto a orrende torture. Usati come ostaggi, le loro accuse sono state addirittura formalizzate: detenzione illegale di letteratura religiosa e di immagini di Papa Benedetto XVI. I copti erano stati poi riconsegnati all’Egitto dopo una trattativa serrata fra salafiti, autorità libiche (esplicitamente complici) e governo egiziano. Nell’ottobre del 2013, altri due cristiani egiziani sono stati aggrediti e uccisi dai salafiti perché rifiutavano di convertirsi all’islam. La storia recente libica, dalla guerra civile ad oggi, è dunque costellata di violenze contro i cristiani egiziani. Cosa è cambiato?

L’Isis ha sicuramente aggiunto una marcia in più nella violenza contro i cristiani copti, sia nei numeri che nel metodo. Ha fotografato l’esecuzione di massa di 21 ostaggi e l’ha pubblicata su Dabiq, il suo giornale di propaganda. Ad una esecuzione in pubblico, che non è stata preceduta da alcuna possibilità di negoziato o di compromesso, l’Egitto ha dovuto alzare il tiro. Si aggiunga poi che l’Egitto ha già cercato di intervenire militarmente in Libia, in appoggio ai militari di Haftar e contro le milizie radicali islamiche. L’Isis ha dunque fornito un pretesto in più per far alzare in volo gli aerei egiziani. Ma, al di là di questi motivi, anche l’aspetto religioso non va trascurato affatto. Gli incidenti in cui i cristiani restavano vittime della violenza dei radicali islamici libici avvenivano quando in Egitto comandava Mohammed Morsi (dei Fratelli Musulmani), o durante i difficili mesi della transizione di potere da Morsi ad Al Sisi, quando il governo era di fatto vacante e controllato dall’esercito.

Al Sisi ha voluto lanciare un segnale chiaro di cambiamento. Un attacco ai cittadini egiziani non può essere tollerato e ottiene una risposta militare. Anche se i cittadini in questione sono cristiani e non musulmani. Nella nuova Costituzione egiziana, un caso quasi unico (assieme a quello della Tunisia) di nuova carta suprema in cui la sharia non ha un ruolo preminente, si legge anche, nell’articolo 53: “Tutti i cittadini sono uguali innanzi alla legge, hanno pari diritti, libertà e doveri generali, non è ammessa discriminazione in base alla religione, al credo, al sesso, all’origine, alla discendenza, al colore, alla lingua […] o qualsiasi altra ragione”.  Non solo, ma lo stesso articolo prosegue affermando che “la discriminazione e l’incitamento all’odio sono un reato, perseguito dalla legge”. L’articolo 64 dichiara esplicitamente che “La libertà di credo è assoluta. La libertà di praticare la religione e la costruzione di luoghi di culto per gli adepti delle tre religioni monoteistiche è un diritto previsto dalla legge”.

Il discorso tenuto dal generale Al Sisi subito dopo gli attentati di Parigi è una dichiarazione di guerra all’Isis e al radicalismo islamico in senso lato: “Mi rivolgo ai leader religiosi perché dobbiamo riflettere a fondo su cosa stiamo affrontando, è inconcepibile che il pensiero da noi considerato più sacro debba portare l’intero mondo musulmano ad essere fonte di pericolo, morte e distruzione per il resto del mondo. È impossibile! (…) Allah Onnipotente sia testimone della necessità di non rimanere intrappolati in questa mentalità. Dovete uscire da voi stessi, riuscire a guardarvi dal di fuori e riflettere in maniera illuminata ci serve una rivoluzione religiosa e voi, gli imam, ne siete responsabili davanti ad Allah, l’intero mondo aspetta le vostre mosse perché i musulmani vengono distrutti dalle vostre stesse mani”.

L’intervento armato in Libia e la richiesta di un’azione internazionale sono tutti segni tangibili che Al Sisi intende fare sul serio. Ovviamente non occorre abbandonarsi al plauso incondizionato, né si dovrebbe staccare un assegno in bianco per il generale. Furono altri generali come lui, Nasser, Sadat e Moubarack, a far crescere il bubbone dei Fratelli Musulmani e poi di Al Qaeda (con Al Zawahiri), vuoi come reazione alla loro politica repressiva “laica”, vuoi perché scesero a compromessi, soprattutto da Sadat in avanti, con le più radicali correnti dell’islam sunnita. Lo fecero per conservare il potere, ma spianarono la via all’islamizzazione della società egiziana. Oggi Al Sisi usa il pugno duro contro i Fratelli Musulmani, la magistratura ha ribadito la condanna a morte di quasi 200 appartenenti al movimento radicale, più alla Nasser che alla Sadat. Non è detto che, per reazione o per successivo compromesso, non contribuisca anche lui all’esplosione di un nuovo fenomeno islamista nel suo paese. Per ora, comunque, la cronaca parla chiaro: aerei da guerra di un paese arabo si sono levati in volo per rispondere all’uccisione di 21 cristiani. Non è cosa da poco.