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Leggere Staglianò per capire l'allergia alla Corredentrice

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Punta unilateralmente sulla «dissimilitudine» tra Maria e Cristo il presidente della Pontificia Accademia di Teologia, che ha il merito di portare alla luce il giro mentale alla base della Nota sui titoli mariani. Meglio evitare che qualcuno prenda sul serio le grandi cose che ha fatto in lei l'Onnipotente.
- Dossier su Maria Corredentrice

Editoriali 15_11_2025
ALESSANDRO AMORUSO - IMAGOECONOMICA

Bisogna essere particolarmente grati a mons. Antonio Staglianò, presidente della Pontificia Academia Theologica, perché ha il merito di aver portato alla luce quanto nella Nota dottrinale Mater populi fidelis era rimasto sullo sfondo. E in fondo. È infatti solamente al § 74 che ritroviamo la vera anima del documento, allorché viene riportata l’Udienza di Francesco (24 marzo 2021), nella quale il Papa affermava che Maria «è più discepola che Madre».

In quella udienza, Francesco andò oltre, ritenendo che l’essere umile ancella «è il ruolo che Maria ha occupato per tutta la sua vita terrena e che conserva per sempre: essere l’umile ancella del Signore, niente di più». Quel «niente di più» solleva più di un problema. Così come l’affermazione successiva, secondo cui tutti i titoli che i Padri, i Santi, la Liturgia hanno attribuito alla SS. Vergine non sarebbero altro che «espressioni d’amore come un figlio alla mamma – alcune volte esagerate».

Mons. Staglianò, in un recente articolo su L’Osservatore Romano, con un incedere più articolato e complesso, si muove sulla stessa tonalità di incomprensione del mistero di Maria. «L’analogia per similitudine – ci spiega – porta istintivamente […] alla nascita del “parallelismo salvifico”», che ha la colpa di minimizzare la dissimilitudine: «in questo processo, la differenza abissale — Cristo agisce come Dio e Uomo, fonte prima e autonoma della grazia; Maria agisce come creatura, redenta e trasformata, canale derivato e subordinato — viene appiattita. La dissimilitudine diventa un’appendice, una nota a piè di pagina».

È dunque giunto il momento di gettarsi alle spalle il titolo di Corredentrice, frutto di una «analogia mal applicata» e «capolinea» di questo approccio, che avrebbe condotto ad un parallelismo tra Cristo e Maria nell’opera della salvezza, e aprirsi ad una «Analogia Ribaltata», che parte dall’irriducibile e irrinunciabile dissimilitudine tra Cristo e Maria e porta alla conclusione che «la similitudine di Maria non sta nel “redimere con” Lui, ma nell’essere la creatura plasmata dalla Redenzione in modo così totale da diventare il segno più trasparente della sua efficacia». E così «abbandonare “Corredentrice” non è una perdita, ma un guadagno di profondità. Alla luce dell’Analogia Ribaltata, Maria cessa di essere un “quasi-Cristo” in un pericoloso parallelismo salvifico. Diventa invece l’Icona della dissimilitudine creaturale di fronte a Dio». Al netto di tante altisonanti parole, Maria non è altro che creatura: santa, obbediente, umile, ma «niente di più» che creatura, come voleva Francesco, seppellendo quell’«alta più che creatura» di dantesca memoria.

La prima domanda che bisognerebbe rivolgere a mons. Staglianò è perché mai il titolo di Corredentrice favorirebbe una similitudine dimentica della dissimilitudine. Nel termine Co-Redemptrix, il prefisso “co” sta per cum, ed indica dunque un’associazione all’opera di un altro, senza istituire alcun parallelismo, né affermare una perfetta uguaglianza. E con questo valore è sempre stato inteso dei testi del Magistero, dei Santi e dei teologi. Che cosa dovremmo pensare della lettera ai Colossesi, dove san Paolo afferma che i cristiani sono, letteralmente, con-sepolti con Cristo nel battesimo e con-resuscitati per la fede (cf. Col 2, 12)? L’Apostolo ha forse dimenticato la dissimilitudine e oscurato l’unicità di Cristo, utilizzando il prefisso συν- (= cum, co-)? O ancora l’Apostolo intendeva forse annullare la differenza con Cristo, quando parlava di sè e degli altri apostoli come «collaboratori» di Dio (cf 1Cor 3, 9; letteralmente συν-εργός, cooperatore, coadiutore)?

Ma la critica all’articolo di Staglianò intende essere più radicale, perché si comprende che non è semplicemente il titolo di Corredentrice a dare fastidio, ma la dottrina che esso racchiude. Egli, affermando la dissimilitudo tra Cristo e Maria, non esclude una parte attiva della Madonna, ma non ne coglie la peculiarità; e per comprenderla, bisogna ricordare l’unicità, la singolarità della sua persona. Se è assolutamente vero che ella non ha una natura divina, e dunque non ha quella grazia che deriva dall’unione ipostatica, caratteristica unica e incomunicabile del Verbo incarnato, è altrettanto vero che è stata elevata ad un ordine superiore a quello di ogni essere spirituale, uomini o angeli. In pratica, mons. Staglianò non si avvede che la dissimilitudo “maior” tra Cristo e Maria è solo una parte del discorso, perché vi è anche una dissimilitudo “minor”: Maria Santissima, come Immacolata Madre di Dio, è elevata all’ordine ipostatico (che non significa che ella goda dell’unione ipostatica); e questo la pone incommensurabilmente al di sopra di ogni creatura, di ogni santo e di ogni angelo.

La Madonna non è semplicemente una “grande santa”, ma è l’Immacolata Madre di Dio, piena di grazia, i cui meriti, nell’associazione all’opera redentiva del Signore, particolarmente sul Calvario, hanno un valore quasi-infinito; perché a soffrire sul Calvario non è semplicemente una donna e una madre, ma l’Immacolata Madre di Dio. La Madonna appartiene ad un ordine singolare, inferiore a quello dell’unione ipostatica del Figlio, ma superiore ad ogni ordine naturale (creazione) e soprannaturale (grazia santificante e gloria), in virtù del suo rapporto unico con il Verbo incarnato. È proprio perché appartiene all’ordine ipostatico, in virtù della maternità divina, che ella può a pieno titolo esser chiamata Corredentrice; una collaborazione non indipendente e parallela a quella di Cristo, ma appunto una co-redenzione da Lui suscitata ed esercitata congiuntamente a Lui.

Questo ordine singolare a cui la Madre di Dio è stata elevata, non è opera sua, ma lo ha ricevuto dalla sovrabbondanza dell’Amore trinitario. Il fatto che la Madonna partecipi in modo singolare all’opera della Redenzione del Figlio, per cui giustamente la chiamiamo Corredentrice, non toglie nulla all’unicità del Redentore, appunto perché quella di Maria è una redenzione partecipata, dono singolare di Dio e non suo merito; ma una partecipazione unica, per il fatto che Dio, nella sua sapiente benevolenza, l’ha voluta così, elevata al di sopra di ogni altra creatura esistente, in un ordine che entra nella sfera divina, preparando in tal modo una nuova compagna al nuovo Adamo nell’opera della ricapitolazione.

È proprio per questa sua singolarità che ella non solo è propriamente Corredentrice, ma è anche veramente Mediatrice di tutte le grazie. Allorché san Tommaso fonda l’essere mediatore di Cristo nella sua umanità (cf. Summa Theologiæ, III, q. 26, a. 2), mostra le due caratteristiche del mediatore: distare «da Dio per la natura, e dagli uomini per la dignità della grazia e della gloria» e unire «tra loro Dio e gli uomini». Queste caratteristiche che appartengono per natura all’Uomo-Dio, sono attribuibili, per analogia partecipativa e come dono divino, anche alla Madre del Verbo incarnato. Perché anch'ella dista da Dio per la natura, ossia la sua umanità, ma anche dagli uomini in virtù del privilegio di essere stata elevata all’ordine ipostatico, in quanto Madre di una Persona che possiede sia la natura divina che la natura umana. E nello stesso tempo, ella unisce queste due “polarità”, perché veramente donna e veramente congiunta alla divinità, pur senza possedere la natura divina. Ancora una volta, ella è quello che è per la sua unione singolare con il Verbo incarnato e dunque costitutivamente dipendente da Lui.

La Nota e l’articolo di Staglianò purtroppo non rendono ragione del mistero di Maria; il suo essere «Icona della dissimilitudine» viene indagato in modo unilaterale rispetto a Dio, ma dimentica del tutto la sua singolare collocazione al di sopra dell’ordine della creazione, della grazia e della gloria. Staglianò finisce così paradossalmente per sminuire la potenza di Dio, riducendo le grandi cose che ha fatto in lei l’Onnipotente.



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