Le carceri esplodono, occorre puntare sulle pene alternative
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Si intitola Senza respiro il XXI Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, che risultano effettivamente soffocanti: sovraffollamento, personale insufficiente e situazione igienico-sanitaria al limite. Una soluzione concreta c'è e non si può più rimandare.

In Italia il carcere è diventato un luogo dove si soffoca. È questo il senso che trasmette il XXI Rapporto di Antigone, significativamente intitolato Senza respiro, che restituisce un quadro allarmante dello stato delle carceri italiane: sovraffollamento insostenibile, personale insufficiente, condizioni igienico-sanitarie indecorose e un sistema penitenziario sempre più punitivo e meno rieducativo, in contrasto con quanto previsto all’articolo 27 della Costituzione. Al 30 aprile 2025 le persone detenute in Italia erano 62.445, a fronte di una capienza regolamentare teorica di 51.280 posti. Tuttavia, questa cifra non tiene conto dei 4.500 posti non disponibili per inagibilità o lavori in corso. Il tasso reale di affollamento si attesta quindi sul 133%, con circa 16.000 persone in eccesso rispetto ai posti regolamentari. In 58 istituti penitenziari su 189 si registra un tasso di sovraffollamento superiore al 150%, e in alcuni casi si arriva a cifre sconcertanti: il carcere di Milano San Vittore raggiunge ad esempio il 220%, Foggia il 212%, Lucca il 205%, Brescia Canton Monbello il 201%, seguiti da Varese, Potenza, Lodi, Taranto, Como, Busto Arsizio e Roma Regina Coeli, tutti abbondantemente oltre i limiti di dignità e vivibilità.
Il sovraffollamento non è un fenomeno statico, ma in crescita: negli ultimi due anni la popolazione detenuta è aumentata di oltre 5.000 unità, mentre la capienza è diminuita di 900 posti. Ogni due mesi entrano in carcere circa 300 persone in più, una tendenza che, se confermata, richiederebbe l’apertura di un nuovo istituto penitenziario a cadenza bimestrale. Ma pensare di risolvere l’emergenza costruendo nuove carceri è una soluzione illusoria e strutturalmente insostenibile. La crisi riguarda anche le carceri minorili: per la prima volta nella storia italiana si registra sovraffollamento anche in questi istituti, dove al 30 aprile 2025 si contavano 611 ragazzi reclusi, di cui 27 ragazze. Alla fine del 2022 erano 381, con un aumento del 54% in poco più di due anni, in larga parte attribuibile agli effetti del decreto Caivano, che ha moltiplicato le misure cautelari nei confronti dei minori.
A tutto questo si aggiungono i dati drammatici sui suicidi: nel 2024 sono state 91 le persone che si sono tolte la vita in carcere, il numero più alto mai registrato. Solo nei primi cinque mesi del 2025 sono già 33. L’anno scorso sono morti complessivamente 246 detenuti. L’Italia, che in generale ha un basso tasso di suicidi nella popolazione, in carcere presenta un’incidenza doppia rispetto alla media europea: 15 casi ogni 10.000 detenuti contro la media UE di 7,2.
Le cause sono molteplici: promiscuità forzata, mancanza di supporto psicologico, terapie psichiatriche gestite in modo disomogeneo e spesso opaco. Il 44,25% dei detenuti assume sedativi o ipnotici, il 20,4% antipsicotici o antidepressivi.
Nelle prigioni minorili, l’uso di psicofarmaci è dilagante: a Nisida l’incremento della spesa per benzodiazepine e antipsicotici tra il 2021 e il 2024 è stato del 352%, a Torino del 64%, a Pontremoli di oltre il 1.000%, al Beccaria di Milano l’uso è 8,3 volte superiore rispetto a Bologna. In molte visite dell’Osservatorio di Antigone si sono trovate intere sezioni di giovani addormentati in pieno giorno.
Il personale è insufficiente e sotto pressione: a fronte di un organico previsto di 1.040 educatori, ne sono in servizio 963, con una media nazionale di 64,8 detenuti per educatore. Gli ingressi di nuovi funzionari nel 2024 non hanno compensato i pensionamenti e le dimissioni, portando a un peggioramento della situazione rispetto all’anno precedente.
Eppure, le alternative al carcere ci sarebbero. Il 51,2% dei detenuti con condanna definitiva ha meno di tre anni da scontare, soglia che permette – almeno teoricamente – l’accesso a misure alternative alla detenzione. Più di 1.370 persone stanno scontando pene inferiori a un anno. È evidente che ricorrere con maggiore sistematicità a strumenti come l’affidamento in prova, la detenzione domiciliare e la semilibertà permetterebbe di alleggerire la pressione sul sistema penitenziario.
In questa direzione si muovono le tre proposte avanzate da Antigone: un atto di clemenza per i detenuti con meno di due anni di pena residua; la convocazione straordinaria dei Consigli di disciplina per l’applicazione collettiva di misure alternative per pene inferiori a un anno; il divieto di nuove carcerazioni se non in presenza di un posto regolamentare disponibile, salvo casi eccezionali. Si tratterebbe di misure immediate e concrete, capaci di incidere sulla realtà senza attendere lunghi e incerti iter legislativi. Peraltro, è doveroso richiamare il principio sancito dall’articolo 27 della Costituzione: la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. È su questo terreno che si gioca oggi la credibilità democratica del nostro Paese. Non si può continuare a morire di carcere. Non si può continuare a ignorare il grido di sofferenza che si leva dalle celle. Non si può più rimandare l’urgenza di riforme strutturali e culturali. Un sistema penitenziario che non garantisce dignità, salute, sicurezza e percorsi di reinserimento sociale è un sistema che fallisce nella sua funzione più nobile: quella di offrire una seconda possibilità. Perché privare della libertà non può mai significare privare della speranza.