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ORA DI DOTTRINA / 79 – LA TRASCRIZIONE

L’amore naturale negli angeli – Il testo del video

Gli angeli hanno una volontà, che è più perfetta di quella degli uomini, in ragione del loro intelletto superiore. C’è un legame tra conoscenza e volontà. E san Tommaso spiega che gli angeli amano Dio più di sé stessi.

Catechismo 30_07_2023

Ben ritrovati per l’ultimo incontro prima della pausa estiva, per il mese di agosto. L’ora di dottrina sarà sospesa e sostituita da alcuni articoli di approfondimento. Dedichiamo questo incontro ancora agli angeli, poi ne riprenderemo la trattazione a settembre. E quindi proseguiremo con il commento a «Dio creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili». Il senso della creazione lo abbiamo visto. La creazione invisibile riguarda gli angeli. Poi vedremo in particolare l’uomo e questo sarà molto importante anche per fondare tutto il discorso etico, molto attuale.

Abbiamo presentato la conoscenza angelica, che abbiamo raffrontato con la conoscenza umana e la conoscenza divina. Queste creature non possono certamente avere una conoscenza come quella divina e d’altra parte non hanno una conoscenza come quella umana perché gli angeli sono privi della corporeità e della sensibilità, cioè della conoscenza che parte dai sensi. È importante tenere questo discorso sullo sfondo perché qualcosa di analogo - analogo ma con delle diversità - lo vedremo pure oggi riguardo alla volontà degli angeli e al loro amore naturale. Sottolineo l’aggettivo “naturale”, perché, come abbiamo visto per la conoscenza, stiamo parlando della natura angelica. Abbiamo già fatto qualche accenno sulla loro elevazione alla vita soprannaturale, ma quella ci richiederà una lezione a parte. Non che si tratti di due cose giustapposte: l’elevazione soprannaturale avviene sul sostrato della natura; è questa natura che viene elevata, potenziata, non viene menomata, contraddetta. Ma quello che facciamo adesso è capire la natura propria degli angeli e oggi vedremo la natura della loro volontà e del loro amore naturale, quindi della loro dilezione, della loro inclinazione naturale a Dio.

Allora, per san Tommaso è chiaro, come si vede dalla quaestio 59 nella prima parte della Somma Teologica, che gli angeli abbiano una volontà. È importante capire perché. Lui dice che la volontà negli angeli è assolutamente da affermare. Per quale ragione? Sicuramente perché ci sono dei testi della Rivelazione che ce lo esplicitano, cioè ci mostrano gli angeli come delle personalità che agiscono. Ma fa anche un discorso di natura razionale, filosofica e dice in sostanza questo: se, come abbiamo visto, la conoscenza angelica è una conoscenza più perfetta di quella dell’uomo, a fortiori gli angeli hanno: 1) una volontà; 2) una volontà che è più perfetta di quella degli uomini.

Perché questo legame tra la conoscenza e la volontà? Perché nell’ottica di Tommaso, che è l’ottica della sana filosofia, l’intelletto fa una cosa molto importante, ossia apre alla nozione di bene universale. E perché questo è così importante in riferimento alla libertà? Perché san Tommaso spiega come conoscere la ragione universale del bene permette di giudicare del bene di una singola cosa. In altre parole, dire che l’intelletto umano si apre sulla nozione universale del bene significa che è, per così dire, libero nei confronti dei beni particolari. Cioè, i beni particolari non esauriscono la nozione universale di bene. Si tratta appunto di beni particolari: un bene particolare non è mai capace di eguagliare, di esaurire la nozione di bene universale.

Questo che cosa permette? San Tommaso dice che permette che la volontà non sia vincolata a quel bene particolare, al punto da non poterne sceglierne un altro. Se l’intelletto umano fosse limitato a un bene particolare, cioè riconoscesse quel bene particolare come il bene, la volontà ne seguirebbe necessariamente. Invece proprio perché non c’è una capacità dei beni particolari - che noi tutti giorni siamo chiamati a valutare, a scegliere – di esaurire il bene universale, ecco che la nostra volontà è in grado, ha la possibilità di scegliere o non scegliere: scegliere una cosa, piuttosto che sceglierne un’altra.

Ora, l’intelletto angelico è più perfetto e il perché lo abbiamo visto: non è raziocinante, è intuitivo, esaurisce nel suo atto la conoscenza, non ha bisogno di indagare i vari aspetti di una realtà e di collegare tra loro un soggetto e un predicato e di collegare tra loro delle proposizioni per giungere a delle conclusioni, secondo quello che è il tipico processo raziocinante dell’uomo; è intuitivo, quindi è più perfetto. Dunque, anche la volontà, negli angeli, è più perfetta. In che senso?

San Tommaso dice: «Dovunque abbiamo l’intelligenza, troviamo pure il libero arbitrio. È dunque evidente che negli angeli vi è un libero arbitrio più perfetto ancora che negli uomini, come si verifica anche per l’intelligenza» (ST, I, q. 59, a. 3). E nella risposta alla prima delle difficoltà, Tommaso spiega: «Negli angeli vi è la scelta, in seguito a un’immediata percezione della volontà, e non mediante la deliberazione inquisitiva del consiglio» (ibidem). Cioè, la volontà dell’angelo è analoga, diciamo così, alla sua intelligenza. Come l’intelligenza è immediata, anche la volontà – pur se non si può dire che sia immediata – non avviene tramite «la deliberazione inquisitiva del consiglio», che è tipica della deliberazione umana. Invece è una volontà che è caratterizzata, come si dice, da prontezza. Noi lo vediamo anche negli uomini. Negli uomini qual è la volontà più perfetta? È la volontà pronta, non la volontà precipitosa, ma la volontà che appena coglie, percepisce il vero, si orienta immediatamente, non fluttua, non è indecisa. E questo all’interno degli uomini. Tanto più nel mondo angelico, dove abbiamo visto che l’immediatezza è la caratteristica della conoscenza e così la prontezza è la caratteristica della volontà. C’è una prontezza quindi nell’aderire al bene immediatamente conosciuto. Ed ecco perché gli angeli sono in qualche modo, quasi per antonomasia, i servitori perfetti di Dio perché, a un cenno della volontà di Dio, la loro volontà aderisce completamente, è pronta. Questo è un tema importante perché la prontezza nell’adesione al bene è una perfezione, non è un’imperfezione: la titubanza o anche, per analogia, il dubbio nella conoscenza, non sono una perfezione, sono segno di un’imperfezione. È chiaro che non dubitare di ciò che deve essere dubitato è un problema, ma di per sé non è il dubbio nella conoscenza ad essere segno di perfezione; così come non è l’indecisione il segno, la cifra di una volontà che si perfeziona.

Nell’angelo, spiega ancora Tommaso nella quaestio 59, non abbiamo, a differenza che nella volontà umana, né il concupiscibile né l’irascibile. Sappiamo che l’animo umano ha queste tre grandi dimensioni: la dimensione concupiscibile, la dimensione irascibile e la dimensione propriamente razionale.

Ora, nell’angelo il concupiscibile e l’irascibile non ci sono. Perché? Perché appartengono all’appetito sensitivo, a quella inclinazione che riguarda la sensibilità dell’uomo. Nell’angelo questo non c’è. Nell’angelo l’unica inclinazione è quella della volontà: è un appetito che si dice intellettivo. E quindi l’angelo non ha la dimensione del concupiscibile e dell’irascibile; e quando si manifestano nelle Sacre Scritture dei comportamenti angelici che noi uomini riferiremmo alla nostra sfera del concupiscibile e dell’irascibile, vanno presi solo in modo metaforico, come dice san Tommaso.

Così come, in modo metaforico, ad esempio, parliamo dell’«ira divina». L’ira divina, che pure è un elemento importantissimo nella Rivelazione, non deve essere intesa come una passione umana, ha un altro significato, che è metaforico, quanto alla nostra comprensione. L’ira divina è, potremmo dire, l’impatto della santità di Dio nei confronti del male, che ai nostri occhi sarebbe l’effetto di una reazione dell’irascibile. Cosa fa Dio? Lotta contro il male, allontana il male. In Dio chiaramente non c’è l’irascibile, ma abbiamo un effetto analogo a quello che noi potremmo avere nell’irascibile: ecco perché parliamo metaforicamente di ira divina. Negli angeli abbiamo qualche cosa di analogo.

La quaestio 60 è dedicata propriamente all’amore naturale degli angeli, o elezione degli angeli. La prima cosa che san Tommaso afferma al primo articolo della quaestio 60 è che negli angeli esiste una «dilezione naturale», cioè un’inclinazione: tendono verso un bene. Questa inclinazione ce l’hanno perché «tutte le nature hanno come comune proprietà un’inclinazione che è precisamente l’appetito o amore naturale. (…) in ciascuna secondo il suo modo di essere» (ST, I, q. 60, a. 1). Perché, come ci dice san Tommaso, tutte le nature, tutti gli enti hanno questa comune proprietà di essere inclinati? Perché provengono dal Bene, sono creati. Quindi provengono dal Bene Sommo e sono inclinati verso il Bene, nel loro modo proprio di essere. Questo lo possiamo dire di tutte le creature: hanno un’inclinazione verso il Bene; lo dobbiamo però dire in modo differente rispetto al tipo di creatura. E quindi l’inclinazione che ha l’angelo non è evidentemente l’inclinazione che ha il cagnolino, questo è chiaro. Ora, questa inclinazione non è un ostacolo. Uno può pensare: “se sono inclinato, è una specie di istinto”; non è questo, non è una specie di istinto. È un’inclinazione, una sorta di motore che permette poi concretamente gli atti di dilezione della persona, cioè gli atti cosiddetti di «dilezione deliberata».

Vediamo l’articolo 2 della quaestio 60, intitolato appunto «Se vi sia negli angeli la dilezione deliberata». Abbiamo visto che c’è una dilezione, un amore naturale. Vediamo se c’è anche un amore di deliberazione, diciamo così, di scelta, elettivo. San Tommaso fa prima un interessante excursus dicendo che nell’uomo «l’intelletto per natura conosce i princìpi primi, e da questa conoscenza l’uomo deduce la scienza delle conclusioni» (ST, I, q. 60, a. 2). È chiaro: nella conoscenza umana noi abbiamo la conoscenza dei princìpi primi e da lì ricaviamo, con il nostro relazionarci col reale, tutta la scienza delle conclusioni, cioè la conoscenza che si costruisce man mano nell’uomo.

Aggiunge san Tommaso: «La volontà si comporta rispetto al fine come l’intelletto rispetto ai princìpi primi. Quindi la volontà tende per natura al suo ultimo fine: ogni uomo infatti vuole per natura la beatitudine. Da questo atto naturale della volontà sono causati tutti gli altri atti volitivi, poiché, tutto ciò che l’uomo vuole, lo vuole in vista del fine» (ibidem). Allora, san Tommaso dice: così come noi abbiamo l’intelletto che per natura conosce i princìpi primi, che sono il punto di partenza per la sua conoscenza, analogamente la volontà dell’uomo è inclinata verso il bene, cioè ha un’inclinazione naturale, tende verso il bene, verso il proprio bene, verso la propria beatitudine.

Ora, questo motore, da questa inclinazione naturale permette tutti gli altri atti volitivi. Perché? Perché l’uomo, quando agisce, agisce in vista di un bene. Poi bisognerà capire qual è questo bene che viene intenzionato, quali sono questi beni che vengono scelti; ma l’uomo, anche quando fa la cosa più sciagurata nella sua vita, la fa perché ha un’inclinazione naturale verso una beatitudine, per esempio in una certa circostanza potrebbe essere quella di salvarsi la pelle e magari, in vista di salvarsi la pelle (la beatitudine), io faccio una cosa sbagliata. Né noi né Tommaso diciamo che l’inclinazione naturale vuol dire che l’uomo vuole deliberatamente solo il bene.

Prosegue san Tommaso: «La dilezione del bene, che l’uomo appetisce naturalmente come suo fine, è una dilezione naturale: la dilezione invece che ne deriva, cioè che appetisce un bene in vista del fine, è una dilezione deliberata» (ib.). Attenzione: tra l’intelletto e la volontà c’è una differenza; c’è un’analogia, ma c’è una differenza. Qual è la differenza? La conoscenza intellettiva si compie quando le cose conosciute sono presenti nell’intelletto, ovviamente come specie intellettive (non che io prenda un vaso, me lo metta in testa e così conosco il vaso). Invece, la dilezione della volontà va da un’altra parte, cioè non è il bene che viene tratto, ma è la volontà che si inclina, che esce in qualche modo verso le cose appetite, verso cui si tende.

Perché questo ragionamento? Dice san Tommaso: «Non proviene dall’imperfezione del soggetto volente il fatto che esso appetisca per natura alcune cose come suo fine e ne appetisca invece altre in forza di una deliberazione, in quanto queste altre sono ordinate al fine. Essendo quindi negli angeli perfetta la natura intellettiva, c’è in essi la sola conoscenza naturale» (ib.), a differenza dell’uomo, dove c’è una conoscenza raziocinante, che è frutto di una ricerca dell’uomo. Quindi, essendo «negli angeli perfetta la natura intellettiva, c’è in essi la sola conoscenza naturale, non già quella raziocinativa: invece si trova in essi tanto la dilezione naturale quanto quella deliberata» (ib.). Perché? Perché mentre nell’intelletto, proprio per la modalità della sua conoscenza, le cose conosciute sono già presenti tutte nell’angelo, quindi l’angelo non deve raziocinare, non così la volontà, che invece esce “uscendo” da sé verso il bene.

Nell’uomo abbiamo quindi sia la conoscenza, per così dire, “successiva” che la deliberazione, la scelta. Nell’angelo, invece, la conoscenza non è raziocinante, ma è intellettiva-immediata; e quindi in questo caso è sufficiente la conoscenza naturale (lasciamo perdere la conoscenza soprannaturale che vedremo la prossima volta). Invece, nella volontà, proprio perché tende ad altro, anche lui, oltre a quella inclinazione naturale, ha bisogno della dilezione deliberata.

Precisa san Tommaso nella risposta alla prima difficoltà: «non ogni deliberazione presuppone il procedimento discorsivo della ragione, ma solo la deliberazione umana» (ib.). Cioè, non è che perché gli angeli non hanno un procedimento discorsivo e raziocinante, allora il loro amore naturale si esaurisce nella loro inclinazione, come la conoscenza si esaurisce nella presenza della conoscenza immediata, tutta presente e già perfetta nell’atto intellettivo. No. Non è che, siccome gli angeli non hanno la conoscenza raziocinante, allora non pongono in atto scelte deliberate, quindi non hanno l’amore di dilezione.

San Tommaso pone altre tre questioni negli ultimi articoli della quaestio 60, e cioè: se l’angelo ami sé stesso; se l’angelo ami i propri simili; se l’angelo ami Dio più di sé stesso per amore naturale, per dilezione naturale.

Vediamo innanzitutto la prima questione: l’angelo ama sé stesso? San Tommaso dice sì. L’angelo sia per dilezione naturale, per inclinazione, sia per scelta, per dilezione deliberata, ama sé stesso. San Tommaso afferma questo in virtù del fatto che ogni essere vuole, tende al proprio bene, alla propria beatitudine. Siamo molto al di qua del problema moderno dell’egoismo e dell’altruismo. San Tommaso non entra nella dinamica psicologica, ma dice: ogni ente, ogni essere, ogni creatura tende al proprio bene. E, nel caso di una creatura dotata di libero arbitrio, come l’uomo, come l’angelo, essa tende a questo bene non solo per inclinazione naturale, ma anche per dilezione deliberata.

All’art. 3 della quaestio 60, san Tommaso dice: «Tanto l’angelo quanto l’uomo appetiscono naturalmente il proprio bene e la propria perfezione. E ciò significa appunto amare sé stessi» (ST, I, q. 60, a. 3). Amare sé stessi, nell’ordine proprio, vuol dire amare il proprio bene e la propria perfezione: ed è un bene, è un bene naturale. «Quindi l’angelo, come l’uomo, ama sé stesso di amore naturale, in quanto per appetito naturale desidera un bene a sé stesso. In quanto invece desidera a sé medesimo un bene mediante una deliberazione, ama sé stesso con dilezione deliberata» (ibidem). In altre parole, per dilezione naturale voglio il bene mio, come soggetto; per dilezione deliberata voglio questo bene, per così dire, un bene per questo soggetto, che sono io.

Questo amore verso di sé, questo amore di sé ordinato, buono per natura, è quello che fonda, nell’articolo successivo, la dilezione degli angeli verso i propri simili. C’è un amore degli angeli, una dilezione naturale ad amare il proprio prossimo come sé stesso. Attenzione, in Tommaso questo è chiaro: questa dilezione verso l’altro si fonda nel giusto, corretto, ordinato amore verso sé stessi, cioè verso il proprio bene, verso la propria perfezione. Da ciò possiamo dedurre che un disordine nell’amore di sé, un’adulterazione in qualche modo dell’amore di sé comporta un disordine nell’amore verso gli altri. Questo è molto importante tenerlo presente perché qui si gioca tutta la dinamica delle passioni cattive e dei vizi.

Ultima cosa molto bella e molto importante: se l’angelo, con dilezione naturale, ami Dio più di sé stesso. Anche qui la risposta è sì. Leggiamo nell’art. 5: «Naturalmente l’angelo e l’uomo amano Dio prima e più di sé stessi» (ST, I, q. 60, a. 5). Ripetiamo: «Naturalmente [poi c’è la scelta, che è un’altra cosa] l’angelo e l’uomo amano Dio prima e più di sé stessi». Questo, per san Tommaso, è il fondamento dell’amore verso di sé e dell’amore verso il prossimo. Perché? Perché Dio è, per così dire, il bene comune, il bene primario, il bene fondamentale. E la natura dell’uomo tende a questo bene, ad amare, a diligere questo bene; la natura umana e la natura angelica tendono lì.

Adesso vediamo un’altra precisazione che fa san Tommaso, ma si capisce che amare Dio più di sé stessi non è la mortificazione di sé stessi, neanche dal punto di vista naturale. Mortificazione intesa come mortificazione del proprio essere, non delle proprie inclinazioni cattive; evidentemente quelle devono essere mortificate. Dunque, si capisce che l’uomo che pone la sua deliberazione in contrasto con questa dilezione naturale, non è che affermi sé stesso di fronte a Dio, ma nega sé stesso in questa sua inclinazione più profonda, che è impressa nella sua natura, proprio per il fatto di essere una sua creatura, una creatura intelligente e libera.

Infatti san Tommaso, nelle risposte alla quarta e quinta obiezione, fa alcune precisazioni. Nel rispondere alla quarta dice: «Dio è amato con dilezione naturale da tutte le cose, in quanto è il bene universale da cui dipende ogni bene naturale» (ibidem). Dunque, ogni bene proviene da Lui e a Lui tende. È nella natura. Si capisce che l’idea di “eliminare” Dio significa devastare ogni natura creata, tanto più quella libera. «È amato invece con amore di carità, in quanto è il bene che a tutti, secondo la natura di ciascuno, comunica la beatitudine soprannaturale» (ib.). Due ordini di amore che si compenetrano, si armonizzano. L’amore di carità, come vediamo, non viene a strappare l’uomo da un ordine diverso, ma viene a elevare questa inclinazione naturale che c’è nell’uomo e che c’è nell’angelo.

Infine, nella risposta alla quinta obiezione, Tommaso spiega: «Poiché Dio, in quanto bene universale, è amato per necessità naturale da tutte le cose, chiunque vede Dio nella sua essenza è impossibile che non lo ami» (ib.). Se noi vedessimo Dio nella sua essenza, non potremmo non amarlo, cioè la nostra intelligenza sarebbe completamente compresa dalla sua essenza, la nostra volontà aderirebbe necessariamente. «Quelli però che non lo vedono nella sua essenza lo conoscono attraverso effetti particolari, che talvolta sono in contrasto con la loro volontà. Per questo motivo, dunque, si viene a dire che essi odiano Dio. E tuttavia, in quanto Dio rimane il bene universale di tutte le cose, ciascun essere ama sempre, per naturale inclinazione, più Dio che sé stesso» (ib.).

Cioè, l’obiezione era: se c’è questo amore naturale, com’è allora che sant’Agostino parla di due città nel De Civitate Dei, cioè dei due amori che edificano due città, «l’amore di sé fino al disprezzo di Dio» e «l’amore di Dio fino al disprezzo di sé»?; se c’è questo amore naturale, sembra che questi due motori contrari, che danno vita a due città, non abbiano senso. Invece, Tommaso dice: c’è una comune inclinazione, un comune amore naturale, ma poi ci sono le scelte, dove noi possiamo conoscere Dio attraverso effetti particolari, che a volte entrano in contrasto con la nostra volontà deliberativa. Ed è lì che allora noi vogliamo questo bene e odiamo Dio, perché ci priva di questo bene o perché ci dice di non prendere questo che ci sembra un bene. E qui nasce lo scontro.

Ma la persona che rifiuta Dio, che arriva addirittura a odiare Dio, a disprezzare il dono di Dio, a disprezzare la Sua legge, secondo tutte le modalità con cui si respinge Dio, che cosa sta facendo? Sta compiendo delle scelte in netto contrasto con questo amore naturale che tende a Dio: in pratica, divide sé stesso, va contro sé stesso. Questo è il tormento, uno dei tormenti più grandi dell’Inferno, cioè essere privati di quel Bene verso il quale tendiamo naturalmente.

La prossima volta vedremo l’elevazione degli angeli alla vita soprannaturale, allo stato di grazia e di gloria. Poi vedremo anche le loro relazioni con noi uomini, come le dobbiamo comprendere. A Dio piacendo, riprenderemo a settembre.



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