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DEMOCRAZIA SGHEMBA

La Ue all'assalto dell'Ungheria pro-life

Per attaccare Budapest ora Bruxelles vieta l'uso dei propri finanziamenti
in difesa della vita nascente. Con motivazioni inesistenti.

Attualità 17_06_2011
budapest

Gli Stati membri non possono usare fondi UE per campagne contro l’aborto. Questo è quanto ha detto l’8 giugno scorso il vice presidente della Commissione europea, Viviane Reding. Il caso riguarda l’Ungheria dove sono comparsi manifesti in cui un feto esclama: “Capisco che tu non sia pronta per me, ma ti prego dammi in adozione, lasciami vivere”.

La campagna pro-life, lanciata dal partito di centrodestra del premier Viktor Orban, è in parte finanziata dall’Unione Europea. La Reading ha affermato che questa iniziativa “non è in linea con i progetti presentanti dalle autorità ungheresi per ricevere i finanziamenti di Bruxelles. Gli Stati membri dell’Unione Europea non possono usare i fondi comunitari per pubblicità contro l’aborto. Per tale motivo, l'esecutivo dell’Unione Europea ha chiesto a Budapest di rimuovere tutti i manifesti, se non vuole incorrere in sanzioni finanziarie”. Ed infine ha rincarato la dose: “avvieremo procedure per porre fine all'accordo e trarremo le dovute conclusioni, anche in termini finanziari”. Le ha fatto eco l'eurodeputata francese del gruppo socialista Sylvie Guillaume: “Usare fondi dell’Unione Europea per promuovere campagne anti-aborto è un abuso, ed è incompatibile con i valori europei”. Pronta è arrivata la replica di Miklós Réthelyi, Ministro ungherese delle Risorse Nazionali e Responsabile degli Affari Sociali: “Il governo ungherese intende arrivare al più presto a una risoluzione del caso e considera la vicenda una questione tecnica e legale”. Inoltre ha aggiunto che la destinazione dei fondi UE è un punto che si offre a diverse interpretazioni e su cui bisogna fare chiarezza. Infine ha concluso che il governo è disponibile a trovare le soluzioni più appropriate per chiudere il caso.

La miccia si è accesa lo scorso 28 maggio in occasione della Giornata internazionale d’azione per la salute delle donne, giornata in cui la European Women’s Lobby (EWL) e la International Planned Parenthood Federation European Network (IPPF EN) hanno diffuso un comunicato stampa in cui si puntava il dito contro la neonata Costituzione Ungherese che dovrebbe entrare in vigore il primo di gennaio del 2012. Questa carta costituzionale è colpevole, a detta di tali organizzazioni, di ledere i diritti sessuali e riproduttivi delle donne e contrasterebbe con il Programma di azione del Cairo adottato nel 1994 in occasione della conferenza internazionale su Popolazione e sviluppo.

Ma cosa dice la futura Costituzione ungherese di così offensivo? L’articolo messo all’indice è il numero due: "Ognuno ha diritto alla vita e alla dignità umana. La vita del feto è protetta fin dal concepimento". Questo articoletto minerebbe la libertà della donna e della coppia di mettere al mondo i figli quando si desidera e inoltre obbligherebbe a continuare la gravidanza anche nel caso in cui la salute della donna potrebbe correre qualche pericolo.

Ecco allora le femministe post-moderne imbracciare il fucile della critica spietata e far ricorso alla Commissione europea affinchè freni queste derive oscurantiste. Eva Fager, vice presidente della EWL, così invoca l’intervento dell’Europa: “Speriamo che l’Unione europea controlli attentamente gli stati membri e agisca per assicurare il rispetto dei diritti umani delle donne, compresi quelli sessuali". Elizabeth Bennour, direttore del programma dell’IPPF, si spinge più in là e chiama al contrattacco tutte le forze laiciste: “La risposta a questi attacchi deve venire da tutti quelli che credono che le donne hanno un diritto inalienabile al proprio corpo, in una società egualitaria, democratica e secolare". L’appello viene subito raccolto dall’European Humanist Federation, a cui tra l’altro aderisce la nostrana Unione Atei e Agnostici Razionalisti, tanto per comprendere quale è il DNA di questa organizzazione europea.

A questo primo assalto
la vice presidente Viviane Reding non è riuscita a dare soddisfazione ai querelanti dovendo ammettere che la Costituzione ungherese non viola nessuna norma o trattato comunitario e che ogni nazione è sovrana sul suo territorio. In parole povere il contenuto della Carte costituzionali non può essere dettato dall’Unione europea. Purtroppo al secondo colpo di ariete il principio di sovranità nazionale è andato in frantumi. Infatti nella campagna pubblicitaria promossa dal governo ungherese ci sono di mezzo fondi non solo statali ma anche europei.

Quello che è accaduto in Ungheria ha costretto i vertici dell’Unione Europea a gettare la maschera: i veri diritti, o presunti tali, sono solo quelli delle persone già nate e il femminismo radicale detta legge in Europa, con il suo portato di rivendicazioni libertarie che sono né più né meno quelle del lontano Sessantotto. D’altronde l’anagrafe non mente: le donne di governo o al vertice di potenti organizzazioni sovranazionali che in questa vicenda si sono stracciate le vesti si sono formate culturalmente proprio in quel travagliato periodo del secolo scorso.

Ma al di là di queste considerazioni di merito, poniamoci una domanda di carattere giuridico: è vero che questa campagna pro-life è un abuso? Che contrasta con i valori europei? Insomma questi cartelloni pubblicitari sono illegittimi ed è dunque giusto toglierli dalle strade? Per nulla verrebbe da rispondere se andiamo a spulciare alcune risoluzioni del Parlamento Europeo (n. 372/88, n. 327/88 e n. 16/03/89), la Raccomandazione del Parlamento Europeo n. 1046/86, la Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 1100/89 e la n. 874/79. In questi documenti si fa espressamente riferimento o al “diritto alla vita del concepito” oppure si parla di vera e propria dignità dell’embrione. Più chiari di così non si può essere.

Se poi ci spostiamo dal piano europeo a quello mondiale la musica non cambia: pensiamo alla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989 e alla Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo del 1959 approvate dall’ONU in cui, in entrambi i casi,  si indica come doveroso la tutela del fanciullo anche prima della nascita. E questi due documenti sono stati fatti propri da non pochi stati europei. Ciò a voler dimostrare che non solo l’Ungheria non viola nessuna disposizione di carattere giuridico, ma con la sua iniziativa contro l’aborto si allinea alle disposizioni appena menzionate e fa propri quei valori pro-life che, sebbene spesso dimenticati, sono il patrimonio comune di tutto un continente.