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La TV suona solo campane a morto

In occasione della morte di personaggi importanti e soprattutto quando si verificano tragedie, i massmedia raccontano solo il lutto, rinunciando a descrivere anche il resto.  Le onoranze funebri radiotelevisive rischiano così facendo di risucchiare l’opinione pubblica in una spirale depressiva chiusa alla speranza e proiettata verso il nichilismo.

Attualità 07_01_2023

Non si può negare che il 2022 sia stato uno degli anni più tragici in termini di vittime illustri nel mondo e in Italia in particolare. Tentare di fare un elenco significherebbe comunque correre il rischio di dimenticare qualche protagonista passato a miglior vita negli scorsi 12 mesi. Papa Ratzinger ci ha lasciato proprio l’ultimo giorno, chiudendo un anno contrassegnato da perdite dolorose per l’opinione pubblica internazionale. Si pensi soltanto alla Regina Elisabetta, al calciatore Pelè, per citare qualche personaggio particolarmente acclamato in vita e rimpianto post mortem.

Tuttavia, se è giusto preservare la memoria storica e celebrare le gesta di figure di spicco della vita pubblica che hanno lasciato un segno indelebile nella vita di intere nazioni, risulta discutibile la scelta di alcuni media, in particolare della tv di Stato italiana, di orientare tutta la propria programmazione verso la loro commemorazione. In occasione della scomparsa della Regina Elisabetta II, ad esempio, ma anche a fine 2022 con la salita al Cielo di Papa Benedetto XVI, si è assistito alla messa in onda di puntate-fiume dedicate esclusivamente a quegli avvenimenti. Dalla camera ardente ai funerali, per giorni e giorni in tv si è parlato solo di quello.

Anche cambiando canale, ci si accorgeva che i telegiornali, i talk show e gli altri contenitori di approfondimento erano completamente ripiegati sulla narrazione dell’evento del giorno. Certamente un evento epocale quello della dipartita del Papa emerito; altrettanto impattante per la storia quello della fine della Regina Elisabetta II. Per carità, personaggi che nei libri di storia verranno perennemente ricordati per quanto hanno fatto di importante nella loro vita. Però rinunciare a raccontare tutto il resto degli avvenimenti nazionali e mondiali e immolare per giorni e giorni la programmazione radiotelevisiva sull’altare della sacralizzazione di alcuni personaggi, pur rilevanti, appare una degenerazione del modo di fare informazione.

Non si dimentichi che l’umanità esce da oltre due anni di pandemia che hanno rappresentato il simbolo per eccellenza dell’enfatizzazione del negativo. Il terrorismo mediatico durante il Covid ha toccato livelli forse mai raggiunti prima, e subito dopo è arrivata la guerra russo-ucraina, in alcuni casi teatralizzata dai media occidentali, compresi quelli italiani, costantemente inclini alla drammatizzazione del dolore.

E allora c’era proprio bisogno di stravolgere la programmazione radiotelevisiva lasciando che venisse monopolizzata da camere ardenti, funerali, rievocazioni nostalgiche, testimonianze tristi? Tutto il resto è praticamente scomparso dalle cronache, salvo qualche episodio di violenza domestica o omicidio con movente sentimentale. Nessuna traccia di azioni benefiche, di attività di volontariato, di esempi concreti di generosità, solidarietà, umanità, di vita vissuta all’insegna di valori profondi. La gente  – dicono alcuni critici televisivi – si è ormai assuefatta a questo accanimento sul dolore, sulla sofferenza, sugli episodi tragici della vita, come se le altre notizie non fossero così rilevanti e meritevoli di essere raccontate all’opinione pubblica.

Il rilievo del negativo nel mondo dell’informazione appare più che mai debordante. Gli elementi positivi, le passioni costruttive, l’impegno per aiutare il prossimo, per edificare una società migliore, ispirata a principi nobili, diventano sempre più marginali nelle scelte redazionali. Così facendo, però, il servizio pubblico radiotelevisivo asseconda le pulsioni più disfattiste, alimenta il circuito perverso del rifugio passatista, trasmettendo la percezione che il meglio della vita sia alle spalle e che ora sia possibile solo contemplare quanto si è vissuto, senza minimamente potersi permettere alcuno slancio ottimistico verso il futuro.

Che questo atteggiamento rinunciatario dei media, soprattutto della tv pubblica, corrisponda anche a una precisa strategia di “narcotizzazione” delle coscienze e di controllo emotivo del corpo sociale è più difficile asserirlo con certezza, ma è quanto meno lecito sospettarlo. Iniezioni continue di malinconia e tristezza, narrazioni martellanti di morti, suicidi, omicidi, soprusi, abusi, violenze di vario genere potranno mai liberare energie positive nella società? Le onoranze funebri radiotelevisive e il martirologio a reti unificate rischiano semmai di risucchiare l’opinione pubblica in una spirale depressiva chiusa alla speranza e proiettata verso il nichilismo.