La Siria finge di votare. La parola a un politologo giordano
La Siria sta votando per il nuovo parlamento, ma solo una minoranza esigua ha accesso alle urne. Intervista al politologo giordano Zaid Eyadat a margine dell'evento MED organizzato dalla Farnesina.

Domenica 5 ottobre, a dieci mesi dalla cacciata di Bashar al Assad, la Siria dell’auto-nominato Presidente Ahmed al Sharaa ha eletto il nuovo Parlamento. Il sistema elettorale predisposto all’uopo dal governo nell’agosto scorso prevede che due terzi dei 210 membri del Parlamento vengano scelti dagli elettori, e un terzo da al Sharaa per chiamata diretta. In realtà, il 5 ottobre sono stati eletti dai cittadini siriani solo 119 membri: dalla tornata elettorale sono state infatti escluse le province di Hasaka e Raqqa, nel nord est del Paese, controllate dalle milizie curde del Syrian Democratic Forces, e la regione drusa di Suwayda, nel sud.
Il 6 ottobre l’Alto Comitato elettorale centrale, nominato da Al Sharaa stesso, ha comunicato i risultati del voto popolare. Le donne elette risultano 5 e i rappresentanti di minoranze etno-religiose 10, di cui 2 cristiani. E stato lo stesso Alto Comitato elettorale a sottolineare i limiti della tornata, omettendo di dire che solo un gruppo marginale di 6mila cittadini, selezionato dal governo in collaborazione con le comunità locali, ha potuto esercitare il diritto di voto. I nomi dei votanti sono stati scelti dai comitati elettorali dei 49 collegi e rivisti dall’Alto Comitato elettorale. Nessuno dei 1578 candidati – tutti membri dei comitati elettorali locali – gode ufficialmente di affiliazione politica, in quanto i partiti sono stati sciolti all’inizio dell’anno. I legami con le comunità locali e la patente di sostenitore del nuovo regime sono state le carte vincenti per risultare eletti.
In attesa di designare il terzo di candidati di sua spettanza, al Sharaa è volato a Mosca per discutere con Putin dei futuri rapporti tra Russia e nuova Siria. A quanto si apprende, il leader di Hayat Tahrir al Sham ha rassicurato Putin che gli accordi presi dal vecchio regime con Mosca saranno onorati, accordi relativi principalmente alle basi navali russe in territorio siriano e allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi.
Frattanto il ministro degli Esteri della nuova Siria, Asaad al Shaibani, già ospite di Antonio Tajani a Roma nel marzo scorso, era atteso il 16 ottobre a Napoli per l’undicesima edizione del MED, convegno internazionale che la Farnesina organizza annualmente in collaborazione con ISPI. Inopinatamente, all’ultimo momento al Shaibani non si è presentato, lasciando il dibattito sulla “transizione siriana” a tre esperti occidentali, tra cui l’arcivescovo inglese Paul Gallagher, Segretario vaticano per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali, e a una docente universitaria siriana naturalizzata inglese, Reem Turkmani.
«Il regime se n'è andato, ma i conflitti rimangono» ha esordito la professoressa Turkmani interrogata sul regime change del dicembre scorso. «Al Sharaa si sta proiettando molto in campo internazionale, ma non ha consenso interno. Dal canto loro, i Paesi occidentali gli hanno stretto troppo presto la mano, a mio avviso senza capire fino in fondo la portata del gesto. Un cittadino qualunque, l’uomo della strada, che vede il suo governo stringere amicizia con la nuova Siria, inevitabilmente pensa che vada bene, senza approfondire troppo». Con indubbio pragmatismo Monsignor Gallagher ha sottolineato che la Chiesa Cattolica ha interloquito col precedente governo siriano e continuerà a farlo con il nuovo: «Gli diamo il beneficio del dubbio», ha affermato. A proposito di cristiani, «lo spazio per le minoranze religiose prima era garantito» ha ribattuto Turkmani. «Prendiamo ad esempio i cristiani: prima c’era una quota di seggi riservati a loro. In queste fake elections, invece, i parlamentari cristiani sono stati cooptati direttamente dall’alto, dunque il popolo che libertà ha di scegliere i propri rappresentanti?».
Dopo l’incontro pubblico La Nuova Bussola Quotidiana ha chiesto un’intervista al moderatore del dibattito, il giordano Zaid Eyadat, illustre scienziato politico ed esperto di diritti umani.
Professor Eyadat, ieri sera era atteso qui Asaad al Shaibani, Ministro degli esteri siriano e già membro di Hayat Tahrir al Sham, che all’ultimo momento ha dato forfait. A suo parere perché non è venuto?
Al Shaibani non è venuto in segno di protesta per la presenza al convegno del Ministro degli esteri israeliano, Gideon Sa’ar. Anche il Ministro degli esteri saudita, Adel al Jubeir, ha dato forfait per lo stesso motivo, e così i membri di altre delegazioni straniere.
Eppure il Ministro degli esteri dell’Autorità Palestinese, signora Varsen Aghabekian Shahin, ha partecipato come previsto, ed anche il suo omologo iracheno Fuad Hussein. Tra l’altro, la Siria sta correntemente stringendo accordi con Israele. In ogni caso, il panel sulla Siria che lei ha moderato vede su quattro relatori una sola relatrice siriana, Reem Turkmeni, che ha studiato e vive in Inghilterra da molti anni. Non le pare che questo vezzo dell’Occidente di voler dire la sua sugli altri Paesi sia una nuova forma di colonialismo, in questo caso culturale?
Non credo. A mio avviso, o il Ministero degli Esteri italiano non ha trovato gli interlocutori giusti, oppure li ha trovati ma non hanno accettato l’invito.
Può dare il suo giudizio sulle recenti elezioni parlamentari in Siria?
Tre semplici punti: la percentuale dei chiamati al voto è stata molto bassa; hanno votato quasi solamente i simpatizzanti di Al Sharaa; le minoranze curde e druse, i cui territori sono stati esclusi dal voto, non hanno potuto esprimere le loro preferenze. Ciò non può che confermare la mancanza di fiducia della gente nel processo elettorale.
Qual è a suo avviso la differenza tra Abu Mohamed al Jolani e Ahmed al Sharaa?
Non c'è dubbio che, passando da al Jolani ad al Sharaa, il suo comportamento sia cambiato – nessuno sa se la sua mentalità o il suo sistema di valori lo siano, questo la scienza politica, che giudica i fatti, non è in grado di accertarlo – ma il suo comportamento esteriore è cambiato. Al Sharaa sta mostrando un deciso pragmatismo, sta mostrando autodisciplina, sta mostrando tolleranza verso le minoranze; sta cercando di stabilizzare il paese e pacificarlo.
Eppure lo sterminio delle minoranze etno-religiose in Siria continua.
Gli autori di queste azioni sono i compagni di Al Jolani, la parte più estremista dei miliziani, coloro che sono venuti ad esempio dal Maghreb o dal Centrasia per aiutarlo nella presa della Siria. Queste milizie non si trovano a loro agio con gli appartenenti alle minoranze, li ritengono infedeli, kuffar, dunque continuano ad ucciderli. Non credo che al Sharaa abbia personalmente interesse a perseguitare le minoranze - sarebbe illogico, se il suo scopo è pacificare la Siria. Il punto è che al Sharaa non riesce a frenare i più aggressivi e sanguinari tra gli amici di al Jolani.
Allargando il campo di osservazione all’intero Levante, che differenze rintraccia tra il fenomeno del terrorismo di matrice islamica che esplose in Iraq e in Siria una decina di anni fa, diciamo nel 2014, e quello di oggi?
Prima di tutto non parlerei di terrorismo ma di violenza politica. Lei sa che l’operato di al Qaeda, Daesh, Hamas, Hezbollah è visto come terrorismo da alcuni e come resistenza da altri: la scienza politica non contempla queste categorie, ma definisce questo fenomeno violenza politica, cioe l’utilizzo della violenza per ottenere scopi politici. Nel 2014 Daesh (nome arabo per l'Isis, ndr) trovò un vuoto politico in Iraq ed ebbe buon gioco nel riempirlo, finché gli Stati Uniti ed altri Paesi non decisero di mettere fine all’esperienza dello Stato Islamico. Oggi Daesh è ancora attivo ma strutturato diversamente: gli affiliati si mostrano meno, si mescolano con la gente “normale”. In medio oriente è stato depotenziato, anche perché i singoli Stati si sono organizzati con servizi di intelligence e controterrorismo, dunque osserviamo uno spostamento delle attività dello Stato Islamico in Africa, soprattutto in Mali. Per quanto riguarda la violenza politica di matrice sciita, è meno potente perché ha perso il suo tradizionale sponsor, l’Iran.