La sinodalità non si tocca: così Hollerich blinda papa Leone
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Nel chiacchiericcio cardinalizio vince il gesuita ultraliberal che mette le mani avanti sul nuovo pontificato: niente rivoluzioni, solo evoluzioni. E guai a chi tocca i “dogmi” sinodali. Perché oggi la vera rivoluzione consisterebbe nel ritorno all'ordine.
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Tutti a mettere le mani su papa Leone. E non poteva essere altrimenti visto l’altissimo numero di cardinali elettori, la loro eterogeneità, la grande diversità di posizioni, nonostante la moda del momento sia quella di dire che il conclave è stato unito. Perché per ottenere i due terzi dei voti in uno scenario del genere più di un compromesso è necessario.
E così da qualche giorno ci troviamo di fronte allo spettacolo, a dire il vero non proprio confortante, di chi si rifà ad ogni gesto e parola del nuovo Pontefice per dimostrare che è in linea con Bergoglio e che non lo è affatto: ha messo la mozzetta e ha parlato di muri; ha cantato il Regina Cæli e ha richiamato la sinodalità; ha rifiutato la 500 XL e cita Francesco in ogni apparizione pubblica. Poi le ricostruzioni di come è andato il conclave e di chi avrebbe votato chi, complici anche alcuni cardinali che hanno una concezione molto elastica del segreto che hanno promesso di osservare.
Un primato però dev’essere riconosciuto al cardinale Jean-Claude Hollerich, che in un‘intervista ad Avvenire (ma guarda un po’), mette le mani avanti e cerca di blindare l’incipiente pontificato: «Papa Leone ha parlato di “Chiesa sinodale” nel suo primo messaggio», spiega il cardinale. «Avendo partecipato ai lavori del Sinodo, abbiamo un Pontefice che conosce la sinodalità, che capisce la sinodalità, che osa la sinodalità. Non ci sarà alcuna rivoluzione che nella Chiesa nessuno vuole, ma un’evoluzione sì. Ed è la migliore via di cambiamento». Fa una certa tenerezza leggere che Hollerich, quello, per intenderci, che è aperto alla possibilità dell’ordinazione diaconale e presbiterale delle donne e che trova dubbia l’espressione che l’omosessualità sia «intrinsecamente disordinata», lui ci spieghi che nella Chiesa nessuno vuole una rivoluzione, ma un’evoluzione. E il sospetto che non voglia la rivoluzione, perché la rivoluzione della rivoluzione potrebbe significare ritorno all’ordine, è piuttosto forte.
«Leone XIV avrà il suo stile e le sue caratteristiche, ma sulla scia di Francesco», rassicura Hollerich; il quale poi, con un «non lo abbiamo scelto perché sembra meno appariscente del predecessore», alla prima persona plurale, sembra mettersi nella lista dei supporter.
Dunque, mani avanti sulla sinodalità: guai a chi la tocca. E giusto per mettere le cose in chiaro con il nuovo Papa, Hollerich chiama in causa il suo compagno di sinodalità, il cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei Vescovi. Dopo aver rassicurato che «Papa Leone ha preso parte al Sinodo come prefetto del Dicastero per i Vescovi. Non ha avuto timori o paure. E ha visto come la sinodalità renda la Chiesa più missionaria», ha spiegato che Grech «andrà da Leone XIV per informarlo di quanto deciso da Francesco. Il nuovo Papa potrebbe apportare anche qualche aggiustamento, com’è naturale che sia da parte di ogni nuovo Pontefice. Comunque la sinodalità è connaturata alla Chiesa». Franciscus locutus, causa finita. Per il nuovo Papa c’è spazio solo per qualche aggiustamento, anche perché la sinodalità – ci assicura Hollerich – sarebbe connaturata alla Chiesa. Non è ben chiaro da dove venga questo dogma della Chiesa sinodale, ma registriamo, con soddisfazione, che adesso Hollerich ricorda che nemmeno il Papa può andare contro il (in questo caso presunto) diritto divino. Applicasse il principio al sacerdozio femminile e all’omosessualità, anziché alla sinodalità, e si potrebbe persino andare d’accordo.
Blindata anche Fiducia supplicans. Secondo l’arcivescovo di Lussemburgo, l’affermazione, nel breve discorso del Papa dalla Loggia centrale, che la Chiesa è aperta a tutti, avrebbe voluto riecheggiare il “todos, todos, todos” di Francesco. Per questo, spiega, «su Fiducia supplicans ipotizzo che il nuovo Papa possa reinterpretarla ma non abolirla. Tra l’altro la Chiesa non intende equiparare al matrimonio le unioni fra persone dello stesso sesso. E infatti la dichiarazione pone l’accento sul fatto che ogni persona è benedetta da Dio». Con buona pace di Hollerich, la Dichiarazione ha introdotto le benedizione di coppie caratterizzate da relazioni intrinsecamente disordinate, non di individui. Poi, dopo le forti critiche ubiquitarie, è iniziato il balletto di “precisazioni” di Francesco e di Tucho Fernández (vedi qui), inventandosi le benedizioni di qualche secondo, non liturgiche, agli individui, ma anche alle coppie, e così via, di confusione in confusione. Ora Hollerich mette le mani avanti, esorcizzando un’eventuale abolizione della Dichiarazione e indicando la strada della reinterpretazione. Resta il fatto che il nuovo Papa dovrà chiarire se si tratta di benedire coppie o persone: nel primo caso, non vi potrà che essere opposizione, nel secondo condivisione.
Altra intervista, altro cardinale. Questa volta è il turno di Marcello Semeraro, tra i maggiori sostenitori della candidatura di Parolin ma che, leggendo tra le righe delle sue dichiarazioni, avrebbe docilmente seguito «dove il vento soffia» quando i voti per il segretario di Stato non crescevano. Anche Semeraro sembra dunque porsi tra quanti hanno votato Prevost.
«A papa Francesco lo accomuna una visione di promozione umana e sociale che scaturisce dal Vangelo», così come la sensibilità ai migranti, essendo egli stesso «“figlio” dell’immigrazione», spiega il Prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi. Questi saranno, a suo avviso, i punti di continuità con Francesco. «Ma aggiungerei che dobbiamo attenderci almeno l’ottanta per cento di novità», data la radicale differenza di formazione e sensibilità tra Leone XIV e Francesco. Semeraro, dopo non aver pronunciato sull’argomento favella per anni, si mostra improvvisamente insofferente nei confronti della confusione tra «il processo di elaborazione delle idee con quello decisionale» che ha portato ad «una lettura sociologica del tesoro sinodale, accompagnata dalla congettura che qualcuno possa decidere al posto del vescovo». Tradotto: l’aver concesso diritto di voto ai laici nel Sinodo dei Vescovi colpisce al cuore la struttura gerarchica che Cristo ha voluto dare alla Chiesa. Il coraggio di chi parla a cadavere freddo e sepolto.
Ma Semeraro ha un altro grande sogno, quello che ha accomunato i progressisti postconciliari di ogni latitudine, incluso l’amico Parolin: il Concilio come profezia ancora da realizzare: «Ci sono molte intuizioni del Concilio che ancora attendono di essere calate nella realtà». È la frase che ricorre ogni volta che nella Chiesa si realizzano castronerie. E preghiamo che Leone XIV non cada nella rete.
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