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Il libro

La salvezza donata da Cristo, nell’insegnamento di san Tommaso

Il disegno salvifico del Padre che si compie attraverso i misteri della vita di nostro Signore Gesù Cristo e, in particolare, la sua passione, morte e risurrezione: di questo tratta il saggio di don Mauro Gagliardi, La salvezza nel mistero pasquale secondo san Tommaso d’Aquino.

Ecclesia 10_06_2025

Nella Summa Theologiae san Tommaso d’Aquino medita sui misteri della vita di Cristo con una ragione, illuminata dalla fede, che riflette sulla convenienza di tali avvenimenti in vista del pieno compimento del disegno salvifico del Padre. Di questo tratta il recente saggio La salvezza nel mistero pasquale secondo san Tommaso d’Aquino (Fede & Cultura 2025, pp. 160) di don Mauro Gagliardi, ordinario di teologia all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e professore invitato della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum) di Roma. Si tratta del volume conclusivo di «un piccolo trittico dedicato rispettivamente alla Persona di Gesù Cristo (cristologia), alla sua vita terrena (misteri cristologici) e alla salvezza da Lui donata (soteriologia), secondo la dottrina di san Tommaso d’Aquino».

L’autore affronta il cuore del disegno salvifico del Padre realizzato mediante la passione, morte e sepoltura, discesa agli inferi, risurrezione, ascensione e glorificazione del Figlio in attesa del giudizio finale. La prospettiva soteriologica di san Tommaso emerge nella terza parte della Summa Theologiae a partire dalla questione 46, ove vengono chiarificate in special modo le categorie di redenzione, sacrificio e soddisfazione.

Nella riflessione dell’Aquinate «la cristologia è orientata alla soteriologia, la soteriologia si fonda sulla cristologia», come rileva Gagliardi. L’Angelico Dottore riconosce a Cristo ogni perfezione non solo a livello di persona e nature, ma anche sul piano della Passione e delle sue azioni. In questa prospettiva è necessario comprendere anche il ruolo decisivo dello Spirito Santo. Infatti, nota Gagliardi, «la Terza Persona possiede un’economia di Pentecoste, sempre legata all’economia di Incarnazione e al Mistero pasquale; economia consistente nel “fare uscire” Gesù Cristo dalla limitatezza locale e temporale, rendendolo presente e attuale per gli uomini di tutti i tempi e luoghi. L’Eucaristia è l’atto sacramentale in cui quest’opera attualizzante del mistero di Cristo, compiuta dallo Spirito, raggiunge il vertice nella presente economia».

«Propriamente parlando, mediante la Passione di Cristo è stata realizzata la nostra salvezza quanto alla rimozione dei mali, mentre con la risurrezione la salvezza fu operata in quanto inizio e modello (inchoatio et exemplar) dei beni futuri». Dunque, Tommaso non si limita a considerare la croce senza constatare con pari attenzione gli effetti della gloriosa resurrezione del Figlio di Dio. Nel solco della teologia anselmiana, egli riconosce l’esigenza di coniugare la misericordia del Padre con la sua giustizia. «Se Dio si è incarnato per compiere la redenzione degli uomini, ciò implica che nella sua umanità Dio ha deciso di compiere come uomo qualcosa che “deve” essere fatto affinché gli uomini siano salvati non solo per amore, ma anche in modo giusto».

Relativamente alla Passione, l’Aquinate afferma che era conveniente che il Cristo patisse «perché Egli patì per la nostra redenzione; dal punto di vista di Gesù stesso, in modo che – mediante l’umiliazione – Egli meritasse come uomo la gloria della propria esaltazione; da quello di Dio, che aveva decretato la Passione del Messia e l’aveva rivelata nell’Antico Testamento, motivo per cui con la Passione si sono compiute le Scritture». Di qui l’Angelico Dottore osserva ancora che, al fine della salvezza, «la Passione è opera divina da riconoscere come più perfetta che se fosse avvenuta senza di essa. In quest’ultimo caso, infatti, sarebbe stata all’opera solo la misericordia di Dio, mentre nel primo si manifestano sia la misericordia sia la giustizia divine. Secondo giustizia, Cristo riparò il peccato del genere umano (è giusto che sia l’uomo a riparare il peccato compiuto dall’uomo); secondo misericordia, fu Dio a concedere all’uomo come Mallevadore (Satisfactor) il proprio Figlio, dato che l’uomo non era in grado di riparare il suo stesso peccato».

D’altra parte, se Cristo non avesse patito per noi, non avremmo ricevuto i seguenti benefici: «1) nella Passione l’uomo impara quanto Dio lo ami e viene spinto a ricambiare tale amore; 2) riceve da Cristo sofferente un esempio di obbedienza, umiltà, costanza, giustizia e di tutte le altre virtù indispensabili alla salvezza; 3) oltre alla redenzione dal peccato, riceve la grazia della giustificazione e la gloria della beatitudine, meritate da Cristo nella Passione; 4) riceve dalla Passione un’ammonizione più decisa a preservarsi immune dal peccato; 5) è maggiormente rispettata la dignità dell’uomo perché, siccome era stato quest’ultimo a essere ingannato dal diavolo, così doveva essere ugualmente un uomo a vincere il demonio. E come era stato un uomo ad aver meritato la morte, così fosse un uomo a vincere la morte nell’atto di subirla volontariamente». Insomma la Redenzione avviene secondo la logica dell’et-et, come evidenzia Gagliardi, ossia «sia per la volontà perdonante di Dio sia per la Passione di Cristo, sia per misericordia sia per giustizia».

Allo stesso modo, osserva Tommaso, fu conveniente che Cristo fosse sepolto «per dimostrare la realtà della sua morte; perché la sua sepoltura dà speranza di risorgere anche a tutti gli altri uomini e per essere il prototipo di coloro che, per la Sua morte, muoiono al peccato». Rispetto alla sepoltura di Gesù, Gagliardi sottolinea che si usa una tovaglia di lino sull’altare, figura del Golgota, proprio per evocare la Sindone in cui fu avvolto il suo corpo, più che per alludere alla mensa per consumare un pasto. Infine Egli fu sepolto in un sepolcro altrui proprio a significare che «è morto per la redenzione degli altri».

Anche la Resurrezione di Cristo era conveniente in quanto «doveva essere affermata la giustizia divina, alla quale spetta di esaltare chi si umilia per Dio; dovevano essere confermate la nostra fede, speranza e carità; doveva essere compiuta la nostra salvezza, per cui Egli fu glorificato risorgendo per darci i suoi beni». Riguardo alle caratteristiche del corpo glorioso, basti ricordare in primo luogo che «è completamente soggetto allo spirito, sicché ogni suo atto dipende totalmente dalla sua volontà»; ha cioè la possibilità di rendersi visibile o invisibile secondo quanto desidera. Allo stesso modo il Risorto «mangia e beve non perché ne avesse bisogno, ma perché aveva facoltà di farlo», e non in quanto avesse un corpo animale. Per dirla con san Gregorio Magno, dopo la resurrezione «il corpo di Cristo era della stessa natura, ma di gloria differente».

Insomma il breve saggio del teologo Gagliardi ha il pregio di accompagnare con grande chiarezza il lettore tra le pieghe del capolavoro di san Tommaso.