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La riflessione

La ricerca dei capri espiatori (quando si dimentica Cristo)

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Se un popolo perde la consapevolezza che la sua giustificazione e la sua salvezza sono state ottenute da Cristo, lo si vedrà andare in cerca di nuovi capri espiatori su cui addossare i peccati di tutti. Qualche esempio.

Attualità 08_08_2024
Invio del capro espiatorio (William James Webb)

Nel libro del Levitico si descrive la cerimonia del capro espiatorio: «Aronne poserà le mani sul capo del capro vivo, confesserà sopra di esso tutte le iniquità degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati e li riverserà sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, lo manderà via nel deserto. Quel capro, portandosi addosso tutte le loro iniquità in una regione solitaria, sarà lasciato andare nel deserto» (Lv 16, 21-22). Quell’ovino innocente viene caricato di tutti i peccati del popolo e mandato a morire: il suo sacrificio libera il popolo dalla propria colpa.

L’antropologo francese René Girard ha dedicato un suo lavoro – intitolato appunto Il capro espiatorio – a questo sacrificio, mettendo in evidenza come questo sacrificio espiatorio sia sovrapponibile a quello di Cristo, l’agnello di Dio. Scrive san Paolo: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2 Cor 5, 21). Del resto, il sommo sacerdote aveva dichiarato che «è meglio che muoia un solo uomo per il popolo, piuttosto che perisca l’intera nazione» (Gv 11, 50).

Il sacrificio di Cristo non è solo espiatorio, ma definitivo: Gesù ha pagato con la Sua sofferenza e la Sua vita per la nostra salvezza una volta per tutte, giustificando così il Suo popolo. Ma cosa succederebbe, a livello antropologico, se il sacrificio di Cristo non fosse più visto come espiatorio? Se il popolo perdesse la percezione che la propria giustificazione e la propria salvezza sono state pagate da Gesù? Probabilmente – è solo una riflessione – tornerebbe a sentirsi in colpa. Non sto parlando di un senso di colpa chiaro, definito, legato a un peccato preciso: mi riferisco a un senso di colpa indefinito, misterioso, inespiato e inespiabile proprio perché sfuggente, impalpabile. Qualcosa di simile alla sensazione di colpevolezza provata da Josef K., protagonista del romanzo Il processo di Franz Kafka: una colpa senza una precisa accusa, ontologica.

Probabilmente, ad un certo punto, tornerebbe in vita l’archetipo del capro espiatorio: il singolo che prende su di sé le colpe del popolo e la cui morte è catartica, purifica il popolo dalla colpa originaria. È quello che pensavo, nei giorni scorsi, quando ho letto le reazioni indignate di fronte al gesto (avvenuto mesi fa) del padre di Filippo Turetta. Il padre che, di fronte alla possibilità che il proprio figlio si togliesse la vita, mosso da misericordia, ha compiuto due atti che, un tempo, si sarebbero definiti opere di carità: ha visitato un carcerato e ha consolato un afflitto. No, è insorto il popolo: non avrebbe dovuto farlo, almeno non in quel modo (vedi qui per approfondire). Filippo Turetta, anche se il processo non è ancora nemmeno iniziato, deve bere l’amaro calice fino alla feccia. Deve pagare per tutti i femminicidi di cui nemmeno ci ricordiamo il nome: lui per tutti. E, puntando il dito, gettando la pietra, il popolo torna puro e innocente: noi non siamo come lui, lui è colpevole, noi innocenti.

Beh, riflettevo, cos’è questo se non il rito del capro espiatorio? Dimentichi del sacrificio unico e definitivo di Cristo, il popolo torna a sacrificare un capro perché sia lui a espiare i peccati di tutti. Lo stesso discorso si potrebbe fare anche per altri? Massimo Bossetti, ad esempio? Rudy Guede? Francesco Schettino? Olindo Romano e Rosa Bazzi? Sono i primi che vengono in mente. Possiamo anche dimenticarci di Cristo e del Suo perfetto sacrificio; ma dobbiamo accettare nuovamente di portare la colpa, o di caricarla periodicamente addosso a un capro espiatorio. Rifiutata la salvezza offerta da Cristo, non ve n’è un’altra.



INTERCETTAZIONI

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29_07_2024 Ruben Razzante

La pubblicazione del primo colloquio in carcere tra Filippo Turetta, assassino di Giulia Cecchettin, e i suoi genitori è un gravissimo atto di voyeurismo giornalistico che viola la dignità delle persone.