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VITTORIA ALLE PRESIDENZIALI

La Polonia di Duda, speranza per l’Europa che resiste

È stato un testa a testa al cardiopalma quello tra il presidente uscente Andrzej Duda (51% dei voti), cattolico e conservatore, e Rafał Trzaskowski, sostenuto da tutti i partiti di centrosinistra. Una sfida simile a quella di Davide contro Golia, che tra il 28 giugno e il 12 luglio ha visto scatenarsi l’establishment politico-mediatico internazionale per tentare di ribaltare l’esito del primo turno. Ma malgrado la propaganda contro Duda, ha vinto la Polonia cosciente della crescita economica di questi anni, del ruolo della famiglia e della propria identità. Ultimo baluardo europeo contro l'imperante relativismo.
- UNA SCELTA DI CIVILTÀ, di Wlodzimierz Redzioch

Esteri 14_07_2020

La Polonia ha votato per Andrzej Duda. Il presidente uscente, cattolico e conservatore, è stato riconfermato alla guida del Paese per i prossimi cinque anni. Nel ballottaggio di domenica 12 luglio tra Duda (al primo turno del 28 giugno aveva ottenuto il 43.67%) e il sindaco di Varsavia e candidato di tutti i partiti di centrosinistra, Rafał Trzaskowski (il 28 giugno, il 30.34%). La giornata elettorale ha visto quasi il 70% dei polacchi recarsi alle urne.

Il presidente uscente, alla luce dello scrutinio del 100% dei seggi, è stato sostenuto da 10.440.648 cittadini (51,03% dei voti), mentre lo sfidante si è fermato a 10.018.263 consensi (48,97%). Un testa a testa al cardiopalma che ha visto da un lato la Polonia cattolica e cosciente della straordinaria crescita economica e sociale di questi anni, dall’altro il resto del mondo che ha fatto di tutto pur di conquistare (per distruggere) l’ultimo baluardo della cattolicità europea.

Da ieri, il governo dei conservatori polacchi può guardare con serenità ai prossimi tre anni di mandato; e le politiche sociali, famigliari ed economiche che hanno portato al successo polacco potranno proseguire.

La sfida epocale è stata simile a quella tra un Davide (Duda) contro Golia e le sue armate (Trzaskowski, tutti i partiti di centro e della sinistra polacchi, diversi commissari europei, lobby di ogni genere, grandi filantropi internazionali e gruppi editoriali transnazionali). Lo abbiamo descritto commentando il voto del 28 giugno e con dovizia di particolari lo ha ribadito il nostro collega Wlodzimierz Redzioch nei giorni scorsi (vedi qui). Per essere ancora più chiari sulla sfida impari e, di conseguenza, sulla reale posta in gioco nel voto di domenica in Polonia, è bene non farsi traviare dai commenti ‘interessati’ di opinionisti e giornaloni dell’establishment europeo. Vale sempre la lezione di Vaclav Havel: “La menzogna è presentata dal potere immorale come realtà e viceversa”.

Cosa dunque è accaduto tra il 28 giugno e il 12 luglio intorno al libero voto dei cittadini polacchi? Ebbene, sin dal 29 giugno la rabbia ‘liberal’ per il vantaggio di Duda su Trzaskowski è stata chiarissima e, con essa, è divenuta evidente la determinazione per ribaltare il voto dei polacchi in vista del 12 luglio.

Elenchiamo i fatti e le dichiarazioni pubbliche. Già il 29 giugno, si auspicava che la Polonia avrebbe dovuto ricevere meno aiuti dai fondi europei per la crisi da Covid-19: così, il Guardian, in un articolo esclusivo, citava le richieste esplicite anti polacche fatte al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, dal primo ministro (socialista) della Danimarca Mette Frederiksen e dal leader del Gruppo Liberale al Parlamento europeo, Dacian Ciolos, da sempre legato a Soros. Allo stesso tempo, sull’influente Politico.eu si suonava la carica internazionale per presentare la vittoria al primo turno di Duda come una sconfitta elettorale, nonostante tutto l’elettorato del PiS avesse sostenuto compattamente Duda in un primo turno di elezioni nel quale erano presenti 11 diversi candidati!

I toni apocalittici nei giorni successivi, ad inizio luglio, non sono mancati. Il copione è noto da tempo, così la corsa al ballottaggio è divenuta la “battaglia del decennio” tra i buoni europeisti di Trzaskowski e gli oscurantisti retrogradi di Duda. Addirittura il presidente del PPE, Donald Tusk, sostenitore di Trzaskowski e a capo della più grande famiglia politica europea un tempo democristiana, si era spinto a dichiarare di pregare per la vittoria del candidato americano e democratico Biden, abortista radicale. Il furore elettorale fa perdere la testa…

Numeri e propositi della nazione polacca però dimostravano il buon governo del Paese che in mezzo alla pandemia segnava un bassissimo tasso di disoccupazione a maggio (solo il -3%)  e l’ennesima misura a favore di bambini e famiglie approvata dalla maggioranza. Seguivano poi la denuncia pubblica di Duda delle trame massmediatiche internazionali per influenzare il voto dei cittadini polacchi e le dichiarazioni per inserire nella Costituzione polacca il divieto esplicito a qualunque forma di adozione o affidamento di bambini alle coppie gay. Sintesi dei giornaloni: Duda rinfocola lo spirito antitedesco polacco, Duda limita i “diritti civili”.

Ancora cinque giorni prima del voto, il 7 luglio, il commissario europeo Vera Jourová dichiarava l’urgenza, riferendosi alla Polonia, di verificare lo “Stato di diritto” prima di concedere soldi del Recovery Fund ai Paesi. Un’equazione chiara (matrimoni e adozioni per gay simboleggiano i “valori” europei) e una minaccia cristallina (con Duda più in difficoltà a ricevere i fondi di aiuto promessi). Infine le accuse scomposte e incredibili degli ultimi giorni: Duda strizzerebbe l’occhio agli anti-vax polacchi, Duda promuoverebbe l’antisemitismo, ecc. Ci fermiamo qui, ma sommessamente domandiamo: se questo tentativo reale di condizionare pesantemente il libero voto dei polacchi non sarà sanzionato, cosa ci dovremmo attendere in futuro?

Ebbene, da ieri, riconfermato Duda e sconfitta la multinazionale del relativismo etico e dell’omologazione globalista, è iniziato un nuovo capitolo della narrazione di regime: la Polonia è divisa a metà, un fallimento per Duda e i populisti del PiS (Diritto e Giustizia, il partito conservatore al governo), spetta a Duda riunificare il Paese e riavvicinarsi all’Europa moderna (vedi qui e qui).

Il presidente Duda cercherà certamente di riunificare il Paese ma non rinuncerà all’identità della nazione polacca, non svenderà la Polonia. Un fatto che non è stato capito purtroppo neanche da Lech Walesa, che, nel suo appello dei giorni scorsi ad unirsi contro i demoni “populista” e “nazionalista”, aveva paragonato l’attuale Polonia a quella del passato comunista, dimostrando così un’assoluta mancanza di lucidità nel comprendere la situazione e le sfide antropologiche, culturali e totalitarie attuali in Polonia come nell’intera Europa. Ben diversamente hanno compreso il popolo di Walesa, quella Solidarnosc che ha insignito nei giorni scorsi Duda col titolo di “Uomo dell’anno”, e il regista  Krzysztof Zanussi che ha recentemente ricordato come il libertismo di alcune proposte politiche sia l’opposto della libertà conquistata dai polacchi nel 1989.

Sì, è vero, una parte consistente della Polonia si è secolarizzata e, come da noi negli anni Settanta, ha ceduto alla corruzione del consumismo e del relativismo. Un'altra Polonia, ben più della metà, resiste e non è disposta a scambiare l’identità e i sacrifici che hanno portato al benessere, in una parola la propria fede operosa, con i trenta denari del nuovo potere mondano immorale. Un tempo, il popolo e Lech Walesa sarebbero stati dalla stessa parte, oggi Walesa è un’altra persona. Il popolo polacco è rimasto sé stesso: una speranza e una luce per tutta l’Europa.