La Passione del Signore (V parte) – Il testo del video
La liberazione dal peccato e quella dal demonio: i primi effetti della Passione del Signore. In che senso essa ha operato la remissione dei peccati, anche futuri? E come il rimedio della Passione si applica ai singoli? Le risposte di san Tommaso.

Continuiamo con il nostro commento alle questioni della III parte della Somma Teologica, dedicate ai misteri della vita del Signore e in particolare alla passione.
La scorsa volta, ci siamo concentrati sulla quæstio 48, che ci ha permesso di addentrarci nella modalità con cui la passione del Signore ha prodotto i suoi effetti salvifici su di noi. Abbiamo visto i vari modi: per modo di merito, di soddisfazione, di redenzione, eccetera. Oggi vediamo gli effetti veri e propri della passione di Cristo, cioè quali sono stati i frutti che la passione del Signore ha saputo generare e in che modo li dobbiamo intendere.
Affrontiamo la quæstio 49. Nell’art. 1, san Tommaso ci spiega che il primo effetto fondamentale della passione del Signore è la liberazione dal peccato e dai peccati. Vedete come san Tommaso lo ponga come primo frutto della passione, il che è importantissimo da comprendere, perché l’incarnazione del Signore aveva come fine la redenzione mediante la passione e morte del Signore; il senso dell’incarnazione, dunque, è la liberazione dai peccati. Se non comprendiamo questo, inevitabilmente la nostra concezione della vita cristiana e anche dell’attività e del senso della Chiesa diventa “materiale”, perché la passione del Signore non ha come scopo principale la liberazione dall’ignoranza, dalla povertà, dall’ingiustizia, ma da quella radice da cui sono scaturite tutte queste cose, cioè il peccato, che è quell’inimicizia che l’uomo ha creato con Dio, quel distacco, quella rottura che l’uomo, attraverso il suo libero arbitrio, ha creato e crea con Dio. Questo è il grande male dell’umanità; non è l’unico evidentemente, ma è la radice di ogni male. E la rimozione di questo male è il senso della passione del Signore, il senso più radicale. Dunque, l’azione stessa della Chiesa non può distanziarsi da questo che è lo scopo, l’effetto della passione del Signore e non può farlo diventare un obiettivo secondario, facoltativo o addirittura escluderlo dall’orizzonte.
San Tommaso in questo articolo ci dice che «la passione di Cristo è la causa propria della remissione dei peccati, per tre motivi. Primo, quale incentivo della carità» (III, q. 49, a. 1). Abbiamo già visto questo tema. Il testo latino è un po’ più preciso e dice: per modum provocantis ad caritatem; cioè la passione del Signore, che rivela il suo amore infinito per noi uomini, incentiva la carità, stimola la risposta dell’uomo. Perché questo è così importante? Perché è con la carità che noi ci ricongiungiamo a Dio e otteniamo il perdono dei peccati. Dunque, senza questa risposta d’amore, la grazia che fluisce dalla passione rimane “sterile”, potremmo dire: sterile non in sé stessa, ma per il cuore dell’uomo che resta chiuso, cioè che non risponde all’amore di Dio attraverso una risposta d’amore.
Vediamo il secondo aspetto. San Tommaso scrive: «La passione di Cristo causa la remissione dei peccati sotto forma di redenzione. Essendo egli infatti il nostro capo, con la sua passione accettata per amore e obbedienza, ha liberato dal peccato noi che siamo sue membra, offrendo tale passione come prezzo del riscatto» (ibidem). Qui ritroviamo due temi che abbiamo visto la scorsa volta, cioè il senso del redimere, del riscattare e l’altro fondamentale fatto che la redenzione è possibile perché Cristo è il nostro capo. Dunque, tutti gli effetti della passione del Signore – a partire dal primo, la liberazione dal peccato – sono possibili, raggiungibili in virtù dell’unione tra il capo e le membra. Anche quando parliamo della redenzione, quindi del riscatto, non bisogna pensare a un gesto estrinseco a noi, qualcosa che il Signore fa e poi tutto viene condonato, non è questo il senso. La redenzione, così come ogni altro effetto della passione del Signore, nasce dal fatto che essa appartiene alle membra perché queste membra sono unite al capo, al Redentore, Redentore e prezzo della redenzione. Non finiremo mai abbastanza di sottolineare la pregnanza di questa verità della fede, cioè di questa unione tra capo e membra, che ritroviamo nel brano del Vangelo di S. Giovanni, a proposito dell’unione tra la vite e i tralci (Gv 15, 1-8).
San Tommaso aggiunge: «Terzo, a modo di efficienza, poiché il corpo nel quale Cristo ha subito la passione è strumento della divinità» (ibidem). Anche qui ritroviamo qualcosa di cui abbiamo già parlato la scorsa volta: questa passione causa la remissione dei peccati come causa efficiente Perché? Perché l’umanità di Cristo (e il corpo in particolare), che era passibile (la divinità non è passibile), che subisce la passione, essendo unita nella persona del Verbo alla divinità, diventa strumento della divinità o causa strumentale. Questi sono termini tecnici, ma contengono una verità straordinaria, che è la verità teandrica, cioè l’unione delle due nature – quella divina e quella umana – in Cristo. Nell’unione delle due nature in Cristo si innesta l’umanità o, meglio, si innestano le membra: questo è il grande mistero.
Nella risposta alla terza e quarta obiezione, san Tommaso ci permette di fare un ulteriore approfondimento. Uno potrebbe chiedersi, secondo l’obiezione che si pone san Tommaso: com’è possibile che il Signore ci abbia liberato da dei peccati che non abbiamo ancora commesso? La passione del Signore appartiene a un momento storico e in futuro, rispetto ad essa, ci sarebbero stati altri peccati; come può dunque quella passione liberare da peccati non ancora commessi o dai peccati che io, ahimè, commetterò in futuro? San Tommaso risponde: «Con la sua passione, Cristo ci ha liberati dai nostri peccati in maniera causale, cioè istituendo la causa di questa liberazione, in modo che potessero venire rimessi tutti i peccati in qualsiasi momento, siano essi passati, presenti o futuri: come se un medico preparasse una medicina capace di guarire qualsiasi malattia, anche futura» (III, q. 49, a. 1, ad 3). Cioè, Tommaso ci dice: questa remissione dei peccati futuri non significa che non si sarebbero mai più verificati i peccati o che, a prescindere, sono già stati tutti rimessi, ma è nel senso che ci viene preparata la causa di questa liberazione, cioè il farmaco, l’antidoto, per usare delle immagini a noi familiari.
Qual è questo antidoto? Certamente è il pentimento che emerge nel cuore dell’uomo e che si rivolge dunque a Dio. Rivolgersi a Dio e invocare i meriti della passione del Signore è già un mezzo, uno strumento di salvezza. Ma più precisamente, nella risposta alla quarta obiezione, san Tommaso ci dice: «Dato che la passione di Cristo fu posta nel tempo come una causa universale per la remissione dei peccati, è necessario che essa venga applicata ai singoli» (III, q. 49, a. 1, ad 4). Nella risposta alla terza obiezione, ci diceva: a mo’ di farmaco, a mo’ di antidoto; qui risponde alla domanda: come si applica ai singoli questo rimedio? Perché è necessario che venga applicato ai singoli per la remissione dei loro peccati. «E ciò avviene mediante il battesimo, la penitenza e gli altri sacramenti, i quali devono le loro virtù alla passione di Cristo» (ibidem).
Vedete come si apre la grande finestra della vita sacramentale, che avremo modo di approfondire, ma intanto è importante avere questa prospettiva: la passione del Signore, che causa l’effetto della remissione dei peccati, deve essere “applicata”. In sé stessa è assolutamente potente e sufficiente per redimere i peccati presenti, passati e futuri, ma deve in qualche modo essere applicata a ciascuno. Questo infinito bacino di medicinale che ci guarisce dalla colpa deve essere applicato alla singola persona di ogni latitudine e di ogni momento della storia dell’umanità. E come avviene questo? Avviene attraverso i sacramenti, in particolare il battesimo e la penitenza. Il battesimo in quanto lava dalla colpa e ci rende membra di Cristo; qui vedete un aspetto fondamentale: non si limita a lavarci dalla colpa, perché l’essere lavati dalla colpa richiede di entrare nella stessa vita del Redentore, cioè di essere uniti al capo. Non è un lavarsi esterno, farsi semplicemente la “doccia spirituale”, ma è un essere incorporati nel principio della nostra redenzione, nel Redentore. E, ancora, avviene tramite il sacramento della penitenza, che ci restituisce la vita della grazia che perdiamo appunto con le nostre colpe.
Dunque, l’art. 1 ci ha permesso di vedere degli aspetti veramente decisivi. Il primo: come la passione ottiene l’effetto di liberarci dai peccati; per modo di incentivo alla carità, cioè un incentivo per la nostra risposta a Cristo; poi, sotto forma di redenzione e abbiamo precisato che questa redenzione non è qualcosa di estrinseco, ma è il fluire del valore redentivo della passione del Signore attraverso l’unione delle membra con il capo, che è il Redentore; terzo, a modo di efficienza, cioè l’umanità di Cristo diventa strumento della divinità, perché è chiaro che la salvezza fluisce, viene da Dio, ma fluisce attraverso questo strumento della divinità che è l’umanità di Cristo. Abbiamo precisato che cosa significa la “remissione dei peccati”, anche futuri, e come essa debba raggiungere i singoli: questo avviene attraverso la vita sacramentale.
Vedete come questo tipo di impostazione respinge e risolve alla radice tutte le obiezioni che possiamo avere: “ma perché sono necessari i sacramenti della Chiesa?”, “l’importante è che uno si comporti bene”, “io mi rapporto con Dio personalmente e non ho bisogno della mediazione della Chiesa e dei sacramenti”. Tutte queste sono obiezioni che non rispondono alla realtà che Dio stesso è venuto a creare, cioè una realtà di comunione con il Figlio mediante la sua umanità, che è strumento della divinità, e questo essere raggiunti da un ulteriore strumento che vedremo più avanti quando parleremo dei sacramenti e che è ciò che permette alla passione del Signore di raggiungere le anime, i singoli uomini, di unirli a Cristo e così strapparli dal peccato e salvarli dal peccato. Questa è la grande visione dell’insegnamento cristiano, della dottrina cattolica.
Nell’art. 2 san Tommaso riflette su un altro effetto della passione del Signore, ossia la liberazione dal demonio, effetto che è strettamente correlato al precedente. Perché? Perché a renderci schiavi del demonio è il peccato. È chiaro che non si può essere liberati dal demonio e poi liberati dal peccato, ma è il contrario: liberati dal peccato e, dunque, liberati dal demonio, perché è il peccato che ci ha consegnato nelle mani del maligno. Spiega infatti san Tommaso: «Nel potere che il demonio esercitava sugli uomini prima della passione di Cristo si devono considerare tre cose. Primo, in rapporto all’uomo si deve notare che questi con il suo peccato aveva meritato di essere consegnato al potere del demonio, alla cui tentazione aveva ceduto» (III, q. 49, a. 2). Il peccato, nella sua struttura elementare, altro non è che un’avversione a Dio, un distogliersi da Dio, per rivolgersi alle creature intese come separate da Dio. E in questo distaccarsi da Dio, l’uomo non resta in una posizione neutra, questo è bene ricordarlo: non c’è una zona neutrale gestita dalla comunità internazionale e libera dai due belligeranti… non esiste questo nella vita spirituale. L’avversione a Dio ci priva di Dio e della sua protezione e ci pone in mano al maligno. Ma perché in mano al maligno? Perché in fondo ogni peccato è un cedimento a una tentazione. Pensiamo al peccato originale, cos’è stato? Non aver ascoltato la voce di Dio e aver acconsentito alla voce del Tentatore. Dunque, questo consenso dato alla voce del Tentatore ci pone in qualche modo sotto il suo dominio, il suo potere.
«Secondo, in rapporto a Dio, che l’uomo aveva offeso col peccato, va notato che egli per giustizia aveva abbandonato l’uomo al potere del demonio» (ibidem). Cosa vuol dire per giustizia? Perché l’uomo è libero: allora, se l’uomo sceglie di rifiutare Dio, di rifiutare la voce di Dio, chiaramente Dio – per giustizia – lascia che egli eserciti la sua libertà e raccolga i frutti della sua scelta.
«Terzo, in rapporto al demonio stesso, si deve tenere presente che questi con la sua perversa volontà impediva all’uomo di conseguire la salvezza» (ibidem). Dunque, nel peccato non sono solo due gli “attori”, cioè l’uomo e Dio, ma c’è anche questa terza figura, che nell’insegnamento dei Padri del deserto era straordinariamente presente, cioè la figura di un tentatore che è perverso e pervertitore, e non cessa, fino a che Dio gli concederà spazio, fino alla fine dei tempi, di tentare l’uomo.
Ora, la passione del Signore ci libera da questi tre aspetti. San Tommaso dice, come abbiamo visto, che la passione «causa la remissione dei peccati», la quale a sua volta toglie la causa che ci ha portato ad essere soggetti al potere del maligno, perché ci riconcilia con Dio. Anche di questo abbiamo parlato. Abbiamo visto la volta scorsa gli effetti della passione per modo di sacrificio: il sacrificio è ciò che ci riconcilia con Dio. Abbiamo visto che Dio per giustizia lascia l’uomo al potere del maligno. Ora, questa giustizia viene restaurata, ripagata. E poi, la passione di Cristo “restringe” la potestà del maligno, almeno di coloro che si rifugiano in Cristo, di coloro che sono uniti al capo.
In questo articolo, san Tommaso si pone tre obiezioni, due delle quali particolarmente importanti da sottolineare. La prima: abbiamo visto in passato che il demonio esercita un’azione di tentazione, di vessazione o addirittura di possessione. Le modalità con cui il demonio agisce, esercita il suo potere, sono queste; la più subdola, la più nociva in fondo è la tentazione; poi esistono le altre forme, come la vessazione, l’ossessione, la possessione.
Uno potrebbe dire: “il demonio continua a fare queste cose anche dopo la passione del Signore, allora in che modo possiamo dire che il Signore ci avrebbe liberato dal potere del maligno?”. Anzi, guardandosi attorno, uno potrebbe pensare che sembrerebbe esattamente il contrario. Nella risposta alla seconda obiezione, scrive Tommaso: «Anche ora, col permesso di Dio, il demonio può tentare gli uomini nell’anima e vessarli nel corpo [è realismo, è così, non possiamo negarlo], ma con la passione di Cristo è stato preparato per l’uomo un rimedio con cui egli si può difendere dagli assalti del nemico in modo da non essere trascinato nella morte eterna. E quanti prima della passione di Cristo resistettero al demonio lo potettero fare per la fede nella sua passione, sebbene prima della sua passione nessuno abbia potuto sfuggire del tutto dal potere del demonio, in modo cioè da non scendere agli inferi. Dalla qual cosa invece gli uomini possono difendersi dopo la passione di Cristo, grazie alla virtù di questa» (III, q. 49, a. 2, ad 2).
San Tommaso ci sta dicendo che il demonio continua ad esercitare la sua azione sulle anime e sui corpi. E tuttavia, ora, con la passione del Signore, sono stati preparati agli uomini dei rimedi, con i quali questa azione del demonio viene ridotta, domata e, sotto certi punti di vista, distrutta. E anche coloro che prima della passione – pensiamo a tutti i santi dell’Antico Testamento – hanno resistito al demonio lo hanno fatto in virtù della fede nella passione del Signore. Dunque, la passione è al cuore della storia dell’umanità perché chi è venuto dopo, ma anche chi è venuto prima, ottiene la liberazione dal maligno in virtù di questa passione.
È interessante questo aspetto nella risposta di san Tommaso, quando dice cioè che prima della passione di Cristo gli uomini non abbiano potuto sfuggire del tutto dal potere del demonio, «in modo da non scendere agli inferi». Sappiamo che è la passione del Signore ad aver aperto le porte del Cielo. E dunque quanti sono venuti prima hanno dovuto rimanere soggetti a un potere particolare del maligno e del peccato, che è stato proprio quello di impedire l’accesso nel Regno dei Cieli. E abbiamo i cosiddetti Inferi o, tecnicamente, il Limbo dei padri, cioè la condizione, il luogo di tutte le anime dei giusti che non vengono condannati all’Inferno in quanto hanno realmente vissuto da giusti, confidando nel Cristo venturo, nella sua passione futura. Ma dall’altra parte, poiché la passione non era stata ancora realizzata, non potevano accedere al Regno dei Cieli. Questo viene spiegato nell’art. 5 di questa quæstio che vedremo la prossima volta.
Nella terza obiezione, san Tommaso ci dice che «in molte parti del mondo» esiste ancora l’idolatria che è una forma di dominio del maligno. È importante la corretta impostazione: l’idolatria non è semplicemente una forma di religiosità umana, ma è una modalità con cui il demonio tiene schiave le persone. In più Tommaso, ricordando la Seconda Lettera ai Tessalonicesi, ci dice che «al tempo dell’Anticristo il demonio eserciterà più che mai il suo malefico potere sugli uomini». Questa è la seconda obiezione: allora sembra che la passione del Signore non abbia liberato gli uomini dal Tentatore.
A questa obiezione san Tommaso risponde: «Secondo i suoi occulti giudizi, Dio permette che il demonio possa ingannare gli uomini in date circostanze di persona, di tempo e di luogo» (III, q. 49, a. 2, ad 3). Dio ha scelto che l’azione tentatrice del demonio non venisse meno dopo la passione. E san Tommaso ci dice: «secondo i suoi occulti giudizi»; e noi sappiamo che questi giudizi, per quanto occulti, per quanto nascosti a noi nella loro infinita sapienza, tuttavia sono giudizi di bene; che è come dire: Dio non avrebbe permesso l’azione del Tentatore se non fosse per un bene e una giustizia più grandi. «Tuttavia con la passione di Cristo gli uomini avranno sempre a disposizione il rimedio per difendersi dalle seduzioni del demonio, anche al tempo dell’Anticristo. Il fatto che alcuni trascurino questo rimedio non toglie nulla all’efficacia della passione di Cristo» (ibidem). Risposta importantissima. Ritorna questa idea di un rimedio preparato. Dunque, la liberazione dal peccato e la liberazione dal demonio non sono qualcosa di già compiuto in tutte le membra del corpo mistico di Cristo. Ma in che senso allora la passione del Signore compie questa duplice liberazione? Nel senso che prepara, mette a disposizione il rimedio.
Facciamo un esempio. Supponiamo che possa esistere un farmaco capace di guarire da ogni tipo di malattia; uno potrebbe dire: “gli uomini si ammalano, vero, ma esiste questo rimedio”. Dunque, in fondo, non è che non si ammalino più, ma possono guarire sempre. Fuor di metafora, il rimedio è dato dalla passione del Signore e principalmente dai sacramenti; dunque, sempre gli uomini avranno a disposizione il rimedio per difendersi dalle seduzioni del demonio, anche al tempo dell’Anticristo. Questo è per respingere in radice tutta una serie di concezioni un po’ catastrofiste della storia, per cui sembrerebbe che nei nostri tempi – tempi sicuramente anticristici, anche se non sappiamo se l’apparizione dell’Anticristo in quanto tale sia prossima o no – manchi il rimedio; invece no: anche in questo tempo il Signore non ha privato la sua Chiesa, gli uomini, del rimedio per resistere alle tentazioni.
Allora uno potrebbe dire: “Ma molti cadono e cadranno in questa tentazione”. Qual è la risposta? Come dice san Tommaso: «Il fatto che alcuni trascurino questo rimedio non toglie nulla all’efficacia della passione di Cristo». Cioè, il problema è qui: se io non mi avvalgo del farmaco, non posso guarire. Il problema non è che non sia efficace la passione del Signore, il problema è che io non mi avvalgo del farmaco, io non vado verso il Medico delle anime, non sono unito al Medico delle anime tramite il battesimo, tramite la vita sacramentale, tramite la carità, tramite la preghiera che nasce dalla carità, che sono i grandi antidoti.
Questo è importante da tenere presente perché ci dà una prospettiva realistica: il demonio c’è, continua a tentare, a vessare, ma c’è un rimedio. E il rimedio continua ad essere a disposizione di tutti; non è vero che la passione di Cristo non è stata sufficiente per gli uomini. Quando noi pensiamo che i nostri tempi sono troppo difficili per resistere, è come se in fondo stessimo dicendo che la passione del Signore non è stata sufficiente per questi tempi; ma capite che questa sostanzialmente è una bestemmia. Sotto sotto è questo atteggiamento che ci porta a dire che “i nostri tempi sono troppo difficili, la tentazione è troppo forte”: non è così. Non dobbiamo farci la domanda se gli effetti della passione del Signore siano o no sufficienti per questi tempi: chiaramente la risposta è sì, sono sufficienti. Ma dobbiamo chiederci invece se per caso noi, come ci dice Tommaso, non stiamo trascurando di avvalerci di questi rimedi. Forse, dati i tempi, per usare sempre l’immagine medica, dovremmo aumentare il dosaggio, che deve essere un dosaggio proporzionato al pericolo e alla malattia.
La prossima volta vedremo gli articoli restanti di questa quæstio 49.
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