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IL RICHIAMO DELL'AUTHORITY

La pace passa anche dalle immagini che si trasmettono

La teatralizzazione delle violenze in atto trasmette un’inquietudine e radicalizza lo scontro tra aggressori e vittime, allontanando la prospettiva del dialogo e della riappacificazione, alla quale anche i media possono dare un prezioso contributo. Le tv continuano a ignorare i richiami dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

Editoriali 12_03_2022

La drammatizzazione del dolore come cifra distintiva della narrazione dei fatti. Lo avevamo sperimentato durante la pandemia, ora ne stiamo avendo amare conferme in occasione dell’esplosione del conflitto russo-ucraino. I media, soprattutto le televisioni, mostrano un’inclinazione invincibile verso la brutalizzazione dei particolari, verso l’esasperazione del male. L’accanimento sulla sofferenza dei bimbi è ormai diventato un’ossessione e non ha nessuna giustificazione deontologica, né favorisce la completezza del racconto.

Semplicemente lo rende più atroce, provoca lacerazioni e alimenta nella società sentimenti distruttivi. Ieri anche i giornali erano pieni di macabre ricostruzioni del barbaro attentato all’ospedale pediatrico di Mariupol, nel quale, però, per fortuna, si sono registrate solo tre vittime (tra cui un bimbo di sei anni). Non propriamente una strage, quindi, anche se i media l’hanno fatto passare come un efferato episodio di macelleria dell’orrore. Sia ben chiaro, nessuno nega le atrocità che si stanno consumando in queste ore nel conflitto russo-ucraino; la commozione verso le vittime è generalizzata, ancor più verso quelle in tenera età. La teatralizzazione delle violenze in atto trasmette, però, un’inquietudine e radicalizza lo scontro tra aggressori e vittime, allontanando la prospettiva del dialogo e della riappacificazione, alla quale anche i media possono dare un prezioso contributo, stemperando i toni e astenendosi da eccessi di qualsiasi tipo. Non si trasformi, dunque, la barbarie della guerra in sciacallaggio mediatico.

E’ questo il senso del richiamo che il Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), Giacomo Lasorella e i tre commissari Laura Aria, Antonello Giacomelli e Elisa Giomi hanno rivolto con una missiva ai vertici di tutti i gruppi televisivi italiani. Qualche giorno prima era intervenuto sullo stesso tema il Presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, Pasquale Stanzione.

I media, in particolare le televisioni, che entrano nelle case di tutti gli italiani, devono rispettare la dignità delle persone coinvolte nella guerra, evitare il sensazionalismo, non sbattere in prima pagina le foto dei bimbi martoriati, non azzerare i filtri tra gli accadimenti e la loro percezione. Un conto è l’umana pietas, altra cosa è che i media si accaniscano su questi particolari.

Evitare spettacolarizzazioni nella narrazione del conflitto russo-ucraino. Facilitare la comprensione del dramma della guerra senza sacrificare valori come l’imparzialità, il pluralismo, la completezza del racconto. È questo il senso della lettera inviata dai vertici Agcom alle televisioni, che parte dalla considerazione dell’importanza di coinvolgere i giovani nel processo di comprensione della drammaticità della guerra, senza però alimentare catastrofismi e violazioni della dignità delle persone coinvolte nel conflitto. "È necessario aiutare i giovani a conoscere, capire e interpretare la drammaticità della guerra alla luce dei valori di ragione, tolleranza, solidarietà e rispetto della persona umana che costituiscono l’identità europea e secondo i principi contenuti nella nostra Costituzione", si legge nella lettera dell’Agcom.

In questo senso occorre preservare la dignità delle persone e delle comunità coinvolte nel conflitto, applicando i principi di essenzialità dell’informazione e di continenza della forma espositiva, a partire dalle immagini della guerra, che non devono puntare al sensazionalismo ma alla pacatezza e alla valorizzazione dell’humanitas dei protagonisti.

Secondo Agcom, le televisioni e i media in generale dovrebbero "creare per tutti i giovani (e non solo per i minori) spazi di informazione dedicata, che per linguaggi, ritmi e fruibilità, possano essere condivisi anche sulla Rete e nei social".

Il monito del Garante privacy, la settimana scorsa, riguardava invece più nello specifico la diffusione di immagini di bambini sofferenti. “Basta con i volti disperati dei bambini in televisione, sui giornali e sui social network. Evitiamo di portare, almeno i più piccoli, in guerra una seconda volta, nella dimensione digitale”: ha tuonato Stanzione, rivolgendosi ai media tradizionali, ma anche alle grandi piattaforme di condivisione di contenuti e a ciascun utente dei social network.

“L’immagine del bambino, come qualsiasi dato personale che lo riguardi – ricorda l’Autorità - in realtà, dovrebbe entrare nel sistema mediatico solo quando ciò sia indispensabile o, ancora meglio, solo quando la sua pubblicazione sia nell’interesse del bambino. Perché, altrimenti, quelle fotografie e quei dati, nella dimensione digitale, perseguiteranno quei bambini per sempre, e, magari, in molti casi li esporranno a conseguenze discriminatorie di carattere sociale, culturale, religioso o politico di ogni genere, conseguenze, forse, oggi, in molti casi persino imprevedibili. E, certamente, quelle immagini finiranno in pasto ad algoritmi di ogni genere per le ragioni più diverse”.

Una cosa, quindi, sono le testimonianze dai luoghi del conflitto, altra cosa è la diffusione, senza filtri né protezioni di alcun tipo, di immagini crude dei protagonisti della tragedia. Può sembrare una cronaca puntuale e dettagliata, in realtà è una morbosa rappresentazione di una realtà tragica, che impatta in maniera devastante sulle coscienze e le sensibilità individuali, generando passioni distruttive. Peccato che, finora, gli appelli delle due Autorità garanti siano caduti nel vuoto.