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RESET MONETARIO

La nuova corsa all'oro, un avviso di sfratto per il sistema del dollaro

Le quotazioni dell’oro, più che raddoppiate da inizio 2024, hanno recentemente registrato un nuovo massimo storico a 4.400 dollari l’oncia. Il rialzo esplosivo dell’oro è l’altra faccia della medaglia della forte erosione del potere d’acquisto del denaro fiat, cioè il denaro “stampato” dalle banche centrali.

Economia 03_12_2025
Donald Trump e Jerome Powell, presidente della FED (ImagoEconomica)

«L’oro è moneta, tutto il resto è credito»: così diceva il banchiere americano J.P. Morgan all'inizio del Novecento. Mentre l’oro è accettato in pagamento da tutti, in ogni luogo e in ogni tempo, tutte le altre attività finanziarie, come le banconote e i titoli obbligazionari, sono invece forme di credito che presuppongono fiducia nel fatto che il debitore possa, e voglia, onorare il proprio debito a scadenza. Altrimenti diventano carta straccia. Le quotazioni dell’oro ai massimi storici – sostenute dai massicci acquisti da parte delle Banche centrali, dei fondi sovrani e dei grandi investitori privati – sono quindi il termometro di una crescente erosione di fiducia nei confronti dei debitori, oltre che del mantenimento del potere d’acquisto del denaro nel tempo.

Il denaro “fiat” – dollaro, euro, sterlina, yen, ecc. – continua infatti a svalutarsi a causa delle politiche monetarie ultraespansive e del debito fuori controllo, che potrebbe anche subire delle ristrutturazioni con grandi perdite per i creditori. Ma non solo. Dopo l’esclusione, il 28 febbraio 2022, della Federazione Russa dal circuito dei pagamenti SWIFT e il congelamento di asset sovrani pari a circa 300 miliardi di dollari, i Paesi del Gruppo dei BRICS hanno iniziato a sostituire progressivamente il dollaro con le proprie divise nazionali nei pagamenti e i Treasury nelle riserve e negli investimenti finanziari con l’oro. Se dovesse poi concretizzarsi la recente minaccia di confiscare definitivamente gli asset russi da parte della Commissione Europea il resto del mondo potrebbe uscire definitivamente dai circuiti finanziari occidentali. Un vero e proprio suicidio finanziario, economico e geopolitico.

Mentre i titoli depositati presso terzi possono essere congelati o, addirittura, confiscati, l’oro è invece un asset di riserva neutrale, che non comporta rischio di credito, che non può essere bloccato (se in proprio possesso) e che può essere utilizzato come mezzo di pagamento di ultima istanza anche in caso di tempeste finanziarie o conflitti armati. Ecco perché la “corsa all’oro” è innanzitutto un segnale di sfiducia nel dollaro – che è la divisa di riserva globale – e nel debito statunitense – il più grande, liquido e, in teoria, “solido” al mondo – nonché dell’architettura finanziaria controllata dagli Stati Uniti. E se c’è sfiducia nei confronti del biglietto verde e nel debito statunitense, figuriamoci nei confronti delle altre divise – come l’euro, la sterlina inglese o lo yen giapponese – e dei rispettivi debiti sovrani.

Il “reset valutario globale” è incominciato e noi ci troviamo all’ “inizio della fine” dell’ordine monetario, finanziario, economico e geopolitico creato 80 anni orsono a Bretton Woods e centrato sul dollaro come divisa di riserva del mondo e sulle istituzioni finanziarie globali controllate dagli Stati Uniti. È un processo irreversibile, iniziato con la Grande Crisi Finanziaria del 2008-09 che segna la fine della “globalizzazione” centrata sugli Usa e sui Paesi alleati, in particolare il Regno Unito la cui crisi è sempre più profonda. La sovra-espansione “imperiale” degli Usa non è più sostenibile: negli ultimi trent’anni ha portato alla deindustrializzazione del Paese, alla degenerazione clientelare del sistema “capitalistico” e a un processo di “finanziarizzazione dell’economia”, con l’accumulazione di debiti sempre più fuori controllo.

Dopo l’inizio del conflitto in Ucraina abbiamo poi assistito a un’ulteriore forte accelerazione e Trump ha compreso che deve lasciare l’impero al proprio destino per salvare gli Stati Uniti: ecco perché la scelta, obbligata e non ideologica, dell’”America first”. Non è la “fine del mondo” ma è sicuramente la fine di “un” mondo, il nostro. Il processo di de-dollarizzazione (qui e qui) e la creazione di nuove infrastrutture finanziarie da parte dei Paesi del gruppo BRICS, in alternativa alla Banca Mondiale, al Fondo Monetario Internazionale e al circuito SWIFT, controllati da Washington, sono il riflesso finanziario della transizione in atto verso un mondo multipolare. Un’ulteriore conferma del tramonto definitivo del momento “unipolare” – iniziato nel 1991 con l’implosione dell’Unione Sovietica – basato sull’egemonia incontrastata degli Stati Uniti e sul “rules-based order” espresso dal “Washington Consensus”. La storia, insomma, non è per niente finita.

Gli Usa stanno cercando di mantenere il dollaro come divisa di riserva con il lancio delle stable coin ancorate al biglietto verde ed emesse anche da soggetti privati, purché coperte integralmente da collaterale come i titoli del debito Usa a breve termine. Il debito Usa aumenta di 500 miliardi di dollari al trimestre e il Tesoro ha la necessità di collocare migliaia di miliardi di dollari di Treasury ogni anno per sostituire i titoli che giungono a scadenza, oltre che per coprire gli astronomici 2mila miliardi di dollari di deficit annuale. L’idea “geniale” è quella di spalmare in modo indiretto il proprio debito sul resto del mondo, trasformando alchemicamente il debito in ricchezza. Una mossa astuta, che mette in un angolo la Bce e l’euro, ma che rimane evidentemente all’interno di una visione fiat del denaro, dove addirittura i debiti divengono collaterale per iniettare nel sistema nuovi dollari in versione “digitale”. Un modo ingegnoso per “comprare tempo”, ma senza una ripresa forte dell’attività economica il castello di carte, sempre più grande, è destinato prima o poi ad implodere.

Nella transizione in atto verso un multipolarismo caotico, l’oro, l’argento e il platino saranno asset sempre più fondamentali, non solo per le nazioni e i grandi investitori, ma anche a protezione dei risparmi familiari.