Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
L'UDIENZA GIUBILARE DEL PAPA

La misericordia svela il vero senso dell'elemosina

Udienza giubilare del Papa del sabato che, nell'Anno Santo, affiancano quelle del mercoledì. La catechesi è stata dedicata al rapporto fra misericordia ed elemosina, che il Pontefice ha invitato a comprendere nella sua vera dimensione, dando al povero che chiede con gioia soffermandosi a parlare con lui.

Ecclesia 09_04_2016
Papa Francesco

Il 9 aprile 2016 Papa Francesco ha proseguito il ciclo di udienze sulla misericordia con  una delle udienze giubilari del sabato che, nell'Anno Santo, affiancano quelle del mercoledì. La catechesi è stata dedicata al rapporto fra misericordia ed elemosina, che il Pontefice ha invitato a comprendere nella sua vera dimensione, dando al povero che chiede con gioia e soffermandosi a parlare con lui, ma insieme distinguendo la legittima richiesta della carità dall'«accattonaggio» dei falsi poveri.

«Può sembrare una cosa semplice fare l’elemosina», ha detto il Papa, «ma dobbiamo fare attenzione a non svuotare questo gesto del grande contenuto che possiede». La stessa parola «elemosina» «deriva dal greco e significa proprio “misericordia”. L’elemosina, quindi, dovrebbe portare con sé tutta la ricchezza della misericordia». Naturalmente ci sono molti modi di fare elemosina, e nella Bibbia stessa se ne parla abbondantemente. Tra gli Ebrei, «il sacrificio e l’elemosina erano due doveri a cui una persona religiosa doveva attenersi. Ci sono pagine importanti nell’Antico Testamento, dove Dio esige un’attenzione particolare per i poveri che, di volta in volta, sono i nullatenenti, gli stranieri, gli orfani e le vedove. E nella Bibbia questo è un ritornello continuo: il bisognoso, la vedova, lo straniero, il forestiero, l’orfano… ». 

Dio ha disposto che nella Scrittura i bisognosi siano «proprio al centro del messaggio: lodare Dio con il sacrificio e lodare Dio con l’elemosina». Nel Deuteronomio leggiamo: «Dai generosamente e, mentre doni, il tuo cuore non si rattristi». È un'indicazione molto profonda. C'insegna che «la carità richiede, anzitutto, un atteggiamento di gioia interiore. Offrire misericordia non può essere un peso o una noia da cui liberarci in fretta». «Dare generosamente» significa anche non giudicare la persona che chiede l'elemosina. «E quanta gente giustifica sé stessa per non dare l’elemosina dicendo: “Ma come sarà questo? Questo a cui io darò, forse andrà a comprare vino per ubriacarsi”. Ma se lui si ubriaca, è perché non ha un’altra strada! E tu, cosa fai di nascosto, che nessuno vede? E tu sei giudice di quel povero uomo che ti chiede una moneta per un bicchiere di vino?». Tobia, nel,libro,omonimo dell'Antico Testamento, istruisce così il figlio: «Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio non distoglierà da te il suo».

Gesù approfondisce ancora questi insegnamenti. Anzitutto, «ci chiede di non fare l’elemosina per essere lodati e ammirati dagli uomini per la nostra generosità: fa’ in modo che la tua mano destra non sappia quello che fa la sinistra (cfr Mt 6,3). Non è l’apparenza che conta, ma la capacità di fermarsi per guardare in faccia la persona che chiede aiuto». Ancora oggi ognuno di noi dovrebbe chiedersi: «Io sono capace di fermarmi e guardare in faccia, guardare negli occhi, la persona che mi sta chiedendo aiuto? Sono capace?». 

Gesù c'insegna a «non identificare l’elemosina con la semplice moneta offerta in fretta e senza guardare la persona e senza fermarsi a parlare per capire di cosa abbia veramente bisogno», anche se certamente e con prudenza «dobbiamo distinguere tra i poveri e le varie forme di accattonaggio che non rendono un buon servizio ai veri poveri». In sintesi, «l’elemosina è un gesto di amore che si rivolge a quanti incontriamo; è un gesto di attenzione sincera a chi si avvicina a noi e chiede il nostro aiuto, fatto nel segreto dove solo Dio vede e comprende il valore dell’atto compiuto».

C'è un elemento in più. «Fare l’elemosina dev’essere per noi anche una cosa che sia un sacrificio. Io ricordo una mamma: aveva tre figli, di sei, cinque e tre anni, più o meno. E sempre insegnava ai figli che si doveva dare l’elemosina a quelle persone che la chiedevano. Erano a pranzo: ognuno stava mangiando una cotoletta alla milanese, come si dice nella mia terra, “impanata”. Bussano alla porta. Il più grande va ad aprire e torna: “Mamma, c’è un povero che chiede da mangiare”. “Cosa facciamo?”, chiede la mamma. “Gli diamo – dicono tutti e – gli diamo!” – “Bene: prendi la metà della tua cotoletta, tu prendi l’altra metà, tu l’altra metà, e ne facciamo due panini” - “Ah no, mamma, no!” - “No? Tu da’ del tuo, dà di quello che ti costa”». Questo è quello che i genitori dovrebbero insegnare ai figli: l'elemosina come sacrificio. 

Educati così da bambini, si sarà pronti ad ascoltare da grandi le parole di San Paolo: «In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavorando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: “Si è più beati nel dare che nel ricevere!”».