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IL MAESTRO DI FOLIGNO

La Memoria che serve e le pagliacciate da evitare

Due settimane dopo la Giornata della Memoria un maestro organizza un esperimento antirazzista ma la sua simulazione finisce per offendere un bimbo di colore. I giornaloni gridano contro “l’era salviniana” fino a quando non si scoprono le idee (di sinistra) dell’insegnante. In tutta la vicenda c’è un aspetto che nessuno ha avuto il coraggio di sottolineare: la memoria è utile ma l’eccesso di iniziative rischia di causare l’effetto contrario a quello voluto.

Attualità 26_02_2019

Se non ci fosse andato di mezzo un bambino, ci sarebbe da ridere per l’ennesima pagliacciata ‘inversiva’: un maestro di sinistra che, più realista del re - il 9 febbraio, due settimane dopo la Giornata della Memoria - organizza un esperimento antirazzista mettendo alla gogna un bambinetto di colore: “Guardatelo quanto è brutto”, ha detto additandolo ai compagni, simulando un’intenzione discriminatoria.

L’ardita operazione pedagogica - che fa un gran pasticcio tra l’Olocausto e l’immigrazione odierna -  non viene compresa né dal bimbo né dalla sua famiglia che, ovviamente, protesta. Subito scattano i giornaloni a denominazione politicamente corretta e, come veltri sulla lepre, si avventano sul caso, ingolositi dall’“ennesimo episodio razzista dell’era salviniana”. Ma lo slancio si trasforma presto in uno svogliato balbettio quando si capisce il colore politico dell’insegnante e le  intenzioni del suo maldestro “gioco educativo”. I bambini, peraltro, hanno preso subito le difese del loro compagno nero dimostrando che questo non è affatto un Paese razzista.

Un fallimento dietro l’altro: insomma, roba da sotterrarsi. È vero che si trattava dell’ora  alternativa all’insegnamento della religione, ma era proprio il caso di giocare al piccolo Ku Klux Klan? Un’altra domanda - pure banale e terra terra - che nasce spontanea è: perché a scuola non insegnate a leggere, a scrivere e a far di conto invece di lanciarvi in centomila iniziative naif? Anche perché da questo punto di vista siamo molto indietro: ragazzi che giunti all’università non sanno scrivere un testo senza commettere errori blu e rossi, bambini che, completamente disabituati alla calligrafia, scrivono in modo incomprensibile, salvo poi essere etichettati come presunti “dislessici” e psichiatrizzati (si veda a tal proposito il recente intervento del pedagogista Daniele Novara). L’uso di computer e calcolatrici, oltre che di cellulari in classe, ha reso i bambini sempre meno autonomi nello scrivere e nel contare. Insomma, di lavoro da fare ce n’è tanto, e su cose serie. Evidentemente c’è chi preferisce il brivido della sperimentazione, ed ecco l’ora di educazione sessuale, la spiegazione su come indossare i preservativi, i libri con le favole gay, i discorsi genderisti, adesso anche le simulazioni razziste.

Anche basta, però. Tra l’altro, questo spazio didattico sembra terra di nessuno, dove ognuno può fare quello che gli pare. Il ministero ha fornito alcuni orientamenti che rimangono abbastanza fumosi: le circolari ministeriali 129/86 e 130/86 propongono che tali attività siano volte "all’approfondimento di quelle parti dei programmi più strettamente attinenti ai valori della vita e della convivenza civile" e "all’approfondimento di quelle parti dei programmi di storia e di educazione civica più strettamente attinenti alla tematica". Mah.

Praticamente tutto e niente. Così, si possono anche fare esperimenti sociali, come in quel film tedesco, L’Onda, dove un professore ne organizza uno per dimostrare alla sua classe come nascono le strutture autoritarie. Il film, pieno ovviamente dei soliti luoghi comuni, si rifà a un caso vero del 1967, che si verificò in una scuola americana e che rimane poco documentato. Fu invece un conclamato fallimento la variante antisemita di questo “gioco di ruolo” presso la Apopka Memorial Middle School in Florida. I genitori protestarono inviperiti anche in quel caso, non essendo stati avvertiti per tempo.

Insomma, non è la prima volta che dei docenti, evidentemente stufi di insegnare le loro solite materie, si lanciano in queste ardite manovre, il più delle volte rimettendoci la carriera.

C’è però un altro aspetto di cui nessuno ha avuto il coraggio di parlare e che pure è sotto gli occhi di tutti. Già nel 1997 lo storico e diplomatico Sergio Romano nel suo libro Lettera a un amico ebreo (Longanesi) accennava al fatto che le manifestazioni e le iniziative dedicate alla memoria dell’Olocausto stessero diventando sempre più presenti e “ingombranti”. Questa dinamica recava - secondo Romano - il pericolo che si potesse ottenere un effetto contrario. Non già la creazione di una solida consapevolezza affinché tali fatti non si ripetano più, ma una reazione - imprevista nel pubblico - di sazietà e insofferenza. Proprio in questi giorni la  conduttrice del programma culturale Fahrenheit, su Radio Tre, Loredana Lipperini ha divulgato i messaggi di alcuni ascoltatori carichi di insofferenza  durante una puntata dedicata a Primo Levi: «Basta con questi ebrei» oppure «Dovete fare cultura, non politica». Più che di pericoloso rigurgito antisemita, probabilmente ci si trova di fronte a una ben più banale reazione per un tema di cui si parla in continuazione, come se fosse successo un mese fa.

Persino Mussolini aveva messo degli stop al suo troppo zelante propagandista Achille Starace: non era opportuno superare la soglia di saturazione degli italiani che, come noto, si scocciano facilmente.

Il rischio della sovraesposizione c’è e non si può ignorare. Nel 2019 sono stati circa 8 i film al cinema dedicati all’Olocausto e la Giornata della memoria “post 4 marzo” è ormai arrivata a occupare lo spazio mediatico di oltre una settimana. Siamo sicuri che tutto questo faccia bene alla causa?

Alcune avvisaglie dovrebbero metterci in allarme: sempre più spesso ci sono pronunciamenti revisionisti da parte di personaggi pubblici, fra gli ultimi il matematico ateo e laicista Piergiorgio Odifreddi che sulle camere a gas ha dichiarato: “Sono cosciente del fatto che di opinione si tratti, e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato”. Sui social circolano, addirittura, maliziose allusioni circa il fatto che gli episodi di oltraggio alla memoria olocaustica, come svastiche disegnate sulle lapidi oppure addirittura il recente furto delle pietre d’inciampo, possano essere state delle fake flag, ovvero atti autoprovocati da ambienti sionisti per scopi politici. Ultimamente, non pochi hanno usato la Memoria della Shoah come un randello per colpire Salvini, una strategia suicida sia per la forzatura sia perché il ministro dell’Interno è l’uomo politico più apprezzato del momento.

Insomma, stiamo attenti: la memoria è un’utile cosa ma - come insegna il caso del maestro Mauro Bocci di Foligno - va adoperata con cautela per non sortire l’effetto opposto.