La Francia è il nuovo grande malato d'Europa
L'arresto di Sarkozy, la maxi rapina al Louvre, lo spread che ha raggiunto quello italiano. La Francia sta diventando il grande malato d'Europa, con governi che cadono, presidenti impopolari, uno Stato obeso e una sovversione islamica indomabile.

Lasciano di stucco le immagini di Nicolas Sarkozy, mano nella mano con la moglie Carla Bruni, che si avvia al carcere di La Santé: non è facile assistere all’arresto di un ex presidente francese. Sarkozy accetta la pena a testa alta, forte della convinzione di vincere in appello, sostenuto dai suoi supporters che cantavano la Marsigliese e dalla moglie che non ha mai fatto mancare il suo appoggio. L'arresto avviene nel bel mezzo di uno scandalo che ha shockato la Francia: il tesoro del museo Louvre, con i gioielli dei reali, è stato derubato in pieno giorno e a museo aperto. Una falla della sicurezza inspiegabile per uno dei musei più prestigiosi del mondo. Un sintomo di crisi grave anche dei servizi essenziali dello Stato.
È solo l’ultimo episodio di una crisi sistemica francese che coinvolge tutti gli aspetti del paese: le istituzioni, il governo, l’economia, l'ordine pubblico e una società sempre più frammentata. La Francia sta diventando quel che l’Italia non vorrebbe mai essere.
La condanna di Sarkozy è un esempio di giustizialismo alla francese, nella peggior tradizioni della nostra Mani Pulite. L’accusa non si basa su prove, infatti, ma su un “legittimo sospetto”, come da tradizione rivoluzionaria. Sarkozy non ha preso tangenti dal regime libico di Gheddafi, durante la sua ultima campagna presidenziale. È accusato, semplicemente, di aver fatto pressione (tramite un gruppo di contatto) per ottenerla, ma senza riuscirvi. Un po’ fragile come impianto accusatorio. Ma su questa base, un ex presidente è stato condannato a cinque anni di carcere, senza possibili cauzioni o pene alternative. Li sconterà in carcere, finché non vincerà il processo di appello, sempre che lo vinca. Si tratta di un conflitto fra istituzioni, oltre che di un caso di giustizialismo al limite e getta discredito sull’istituzione presidenziale, proprio in un periodo in cui l’altra parte dell’esecutivo, il governo, è entrata in una fase di crisi senza apparenti vie d’uscita.
Il governo, infatti, è l’altra parte del problema francese. Se i “governi balneari” parevano una prerogativa dell’Italia anni ’70, la Francia ci ha ampiamente battuto con quattro governi in un anno, l’ultimo dei quali è durato, in tutto, meno di 24 ore. Dall’inizio del 2024 ad oggi hanno governato: Elisabeth Borne, Michel Barnier, François Bayrou e Sébastien Lecornu, con una tornata di elezioni anticipate fra il governo Barnier e quello Bayrou. I governi a guida riformista, retti da coalizioni fedeli a Macron, non hanno retto alla prova del malcontento. Le elezioni anticipate del 2024 hanno regalato la maggioranza alle opposizioni: il Fronte Popolare (sinistra) ha la maggioranza assoluta, mentre il singolo partito più grande è il Rassemblement National di Marine Le Pen. Una sentenza della magistratura ha reso ineleggibile la Le Pen, quindi ora sarà il giovane capo del partito Jordan Bardella a doversi presentare come candidato presidente o come eventuale premier, se si dovesse votare ancora per il legislativo.
Macron non intende cedere nel suo programma di riforme economiche, quindi esclude tassativamente un governo di destra, ma al tempo stesso non può permettersi di governare con il Fronte Popolare, il cui partito di maggioranza è l’islamo-gauchista La France Insoumise, guidata da Jean Luc Mélenchon, acerrimo nemico del presidente. Per conservare la linea riformista, Macron appoggia governi di minoranza che, però, non reggono le prove più dure (riforme e leggi finanziarie) al voto di fiducia. Bayrou è caduto sulla finanziaria, il suo successore Lecornu ha addirittura rinunciato a formare un governo, perché avrebbe incontrato la stessa opposizione (e di fatto il suo governo sarebbe stato una fotocopia del precedente). Macron ha però insistito a nominare di nuovo Lecornu, con un esecutivo allargato ai socialisti. Per ottenere il loro voto, il nuovo premier ha promesso di rimandare la riforma delle pensioni. Basterà?
Forse basterà a salvare il governo per qualche mese ancora, ma non ad arginare la crisi economica. Che, prima o poi, dovrà essere affrontata con una riforma del welfare, a partire dalla riforma delle pensioni. Il monito di Bayrou, nel suo discorso di commiato, risuona ancora: “Potete far cadere il governo, non potete cancellare la realtà”. La realtà è un sistema pensionistico in deficit che ben tre governi (Borne, Barnier, Bayrou) hanno cercato di aggiustare senza riuscirvi e che ora Lecornu si limita a rinviare. Non si parla neppure di una riforma traumatica, ma di un aggiustamento che porterebbe l’età pensionabile a 64 anni (dai 62 attuali) e un aumento graduale degli anni di contributi, scaglionato per età.
Macron ha perso popolarità nei suoi due mandati, più rapidamente ancora dei suoi predecessori. Privilegiando un approccio molto ideologico alla politica, ha subito dato la priorità alla transizione ecologica, imponendo tasse sui carburanti che hanno innescato la prima rivolta: quella dei gilet gialli. Anche la politica pandemica, durante il biennio del Covid, è stata la più repressiva d’Europa, assieme a quella italiana. Macron non ha più la forza di sostenere governi a lui ispirati, come dimostrano anche i disastrosi risultati delle elezioni del 2024.
Però il problema economico francese, precede Macron: in Francia, chi tocca le pensioni muore politicamente. Anche ai tempi dei presidenti Sarkozy e Hollande, ogni volta che veniva proposta una riforma in Francia scoppiava la rivolta sociale. E’ successo nel 2010 (scioperi generali e blocco dei carburanti) e nel 2013 (protesta degli studenti). Proprio gli studenti che avrebbero tutto l’interesse a riformare un sistema che privilegia gli anziani, a scapito di chi entra nel mondo del lavoro, sono disposti a bloccare la Francia pur di non cambiare lo status quo. Una condizione che i sindacati, a partire dalla comunista Cgt, difendono per principio, affermando che il cambiamento in un singolo settore porterebbe allo smantellamento di tutto il welfare.
Eppure lo status quo è indifendibile. La Francia registra attualmente un deficit del 5%. Il governo intende ridurlo, al massimo, al 4,7%. Oltre non ritiene possibile tagliare. La spesa pubblica francese, in rapporto al Pil, è attualmente la più alta d’Europa: il 57,1%. Il 31% del Pil è spesa pubblica assistenziale: pensioni e sussidi. Tecnicamente, la Francia è diventata uno Stato socialista. Il debito pubblico è attualmente pari al 113% del Pil, ma senza riforme arriverebbe a lambire le soglie del 130% entro il 2030. Per sostenere uno Stato così invadente e indebitato, anche la pressione fiscale è la più alta d’Europa: il 43,8%. Strangolata da tasse e burocrazia, la produzione è ferma, stabilmente sotto l’1%.
In queste condizioni, non solo la Francia assiste alla riduzione del suo prestigio internazionale, ma ha anche meno risorse per contenere il disordine interno. Il maxi furto al Louvre di Parigi, avvenuto domenica 19 ottobre, alle 9:30 del mattino, orario di apertura del museo, ha sottratto al museo gioielli per un valore di 88 milioni di euro, oltre a infliggere un colpo mortale al suo prestigio. Fra scioperi per mancanza del personale e lavori in corso, il Louvre ha mostrato tutta la sua debolezza (e la refurtiva non era neppure coperta da assicurazione). Questo è però l'esempio più plateale di quanto la sicurezza sia in declino. Marsiglia registra il tasso di criminalità più alto d'Europa. Parigi deve affrontare guerriglie urbane periodiche, scatenate dalle "banlieues", le periferie disagiate ad alto tasso di immigrazione.
In parallelo alla crescita della criminalità cresce quel fenomeno che le autorità chiamano “separatismo” islamico. Un fenomeno di ghettizzazione con il quale le comunità musulmane (il 10% della popolazione francese) iniziano, di fatto, a governarsi da sole, con leggi proprie, incompatibili con quelle della Repubblica. La presidenza Macron ha affrontato il fenomeno con polso fermo, come Sarkozy nel suo quinquennio e molto più che il predecessore Hollande. La Francia, nel corso degli ultimi due decenni ha subito la crescita del terrorismo, anche di grandi dimensioni (strage del Charlie Hebdo, strage del Bataclan nel 2015, strage di Nizza nel 2016), l’uccisione di cittadini accusati di blasfemia (la decapitazione del professor Samuel Paty nel 2020), le stragi nelle chiese (Saint-Étienne-du-Rouvray nel 2016 e Notre Dame di Nizza nel 2020), oltre agli attacchi a ebrei e obiettivi ebraici (rapimento e uccisione di Ilan Halimi nel 2006, attacco alla scuola ebraica di Tolosa del 2012, attacco all’Hyper Cacher del 2015, omicidio di Mireille Knoll nel 2018…).
E il terrorismo è solo la punta dell'iceberg. La vera islamizzazione sta avvenendo per via politica. Tramite il partito di estrema sinistra La France Insoumise, l'islam politico ha trovato la sua strada per entrare nel parlamento e nelle istituzioni dello Stato. La Francia è il primo paese europeo ad aver un partito islamo-comunista di massa, pronto a cambiare le leggi dall'interno del sistema. Il riconoscimento frettoloso della Palestina da parte del presidente Macron serve a placare questa spinta ed evitare maggiori disordini. Non è tanto una scelta di campo internazionale, quanto un messaggio ad un'opinione pubblica interna sempre più condizionata dall'islam radicale.
L’arresto di un ex presidente è emblematico, ma è solo un episodio eclatante di una crisi sistemica. La Francia, la seconda potenza europea dopo la Germania, è il grande malato d’Europa.