Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Zita a cura di Ermes Dovico
A 400 anni dalla morte

La forza della fede in san Roberto

In un’udienza del 2011, Benedetto XVI spiegava che negli scritti del Bellarmino emerge in modo molto chiaro “il primato che egli assegna agli insegnamenti di Cristo”. Il santo celebrato oggi indicava che tutti gli avvenimenti della nostra vita “sono buoni e desiderabili solo se contribuiscono alla gloria di Dio e alla tua felicità eterna”.

Ecclesia 17_09_2021

Il 17 settembre di 400 anni fa (1621) moriva a Roma san Roberto Bellarmino, una delle figure più importanti della seconda scolastica e uno dei santi che più hanno lottato per difendere la fede e per favorirne la diffusione.

Nato a Montepulciano nel 1542, entra nella Compagnia di Gesù nel 1560. Egli verrà per tutta la vita impegnato attivamente nella difesa della fede, sia intervenendo nelle varie controversie teologiche del suo tempo che diffondendo i suoi scritti teologici e apologetici. Malgrado la sua causa di beatificazione fu aperta un anno dopo la sua morte, si concretizzerà soltanto vari secoli dopo e verrà beatificato nel 1923 da Pio XI, che nel 1930 lo canonizzerà e nel 1931 lo proclamerà Dottore della Chiesa.

Benedetto XVI, in un’udienza del 2011, identifica l’aspetto cristocentrico nell’attività del Bellarmino: “Negli scritti di quest’uomo di governo si avverte in modo molto chiaro, pur nella riservatezza dietro la quale cela i suoi sentimenti, il primato che egli assegna agli insegnamenti di Cristo. San Bellarmino offre così un modello di preghiera, anima di ogni attività: una preghiera che ascolta la Parola del Signore, che è appagata nel contemplarne la grandezza, che non si ripiega su se stessa, ma è lieta di abbandonarsi a Dio”.

Il teologo non è voce efficace della fede se non si abbandona in Dio e in Lui tenta di approfondire l’annuncio di salvezza leggendo nei loci theologici quello che Scrittura e Tradizione gli suggeriscono per un maggiore approfondimento della lieta novella. Egli ha un dovere verso la Chiesa non intesa come servizio soltanto a concreti uomini di Chiesa nella storia ma come sentinelle dell’ortodossia attraverso la storia.

Un altro gesuita molto noto, anche se certamente controverso, come Henri de Lubac, anche lui cardinale, nella sua Meditazione sulla Chiesa osservava: “È stato ripetutamente osservato che i secoli più nutriti di tradizione parlavano poco della Tradizione. Ne erano impregnati. Ne vivevano. I Libri sacri, li leggevano con i suoi occhi. Non si ponevano, di solito, problemi a suo riguardo. La Tradizione non era per essi il passato, ma il presente. Più che un oggetto di studio era la forma del loro pensiero. Non ne scrutavano i documenti con le risorse della erudizione ed i metodi della critica: ne usavano come cosa loro, interpretandoli con una libertà che non escludeva ma, al contrario, includeva una fedeltà profonda al loro spirito. La realtà posseduta li dispensava, fino a un certo punto, dal bisogno di concettualizzarla. Possedevano in proprio tutta la ricchezza della Tradizione; la facevano fruttificare, poi la trasmettevano, senza rifletterci oltre”.

Oggi parliamo molto di Tradizione proprio per il motivo suggerito da de Lubac (il 4 settembre scorso si sono celebrati 30 anni dalla sua morte), cioè che la Tradizione non nutre più la nostra vita di fede, impigliata nelle reti tese ad arte dal lavoro decennale dei novatori modernisti. Ecco perché la lezione di un grande santo come Roberto Bellarmino è sempre più importante. Possiamo sempre ricordare quanto il grande gesuita ci disse nella sua Elevazione della mente a Dio: “Perciò se hai saggezza, comprendi che sei creato per la gloria di Dio e per la tua eterna salvezza. Questo è il tuo fine, questo il centro della tua anima, questo il tesoro del tuo cuore. Se raggiungerai questo fine sarai beato, se ti allontanerai da esso sarai infelice. Perciò stima vero bene per te ciò che ti conduce al tuo fine, vero male ciò che te lo fa mancare. Avvenimenti prosperi o avversi, ricchezze e povertà, salute e malattia, onori e oltraggi, vita e morte, il sapiente non deve né cercarli né fuggirli per sé stessi. Ma sono buoni e desiderabili solo se contribuiscono alla gloria di Dio e alla tua felicità eterna. Sono cattivi e da fuggire se la ostacolano”.

In queste parole c’è il cuore della crisi che viviamo e la sua soluzione.