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L'INTERVISTA

La Cina non cambierà: Vaticano troppo ottimista

La Santa Sede smentisce divergenze tra Papa e suoi collaboratori sul caso Cina, ma un missionario avverte: "L'ottimismo della Santa Sede si esprime nel fatto che sperano che il regime cambi. Ma noi qui tocchiamo con mano: il partito comunista non cambierà, anzi chiederà alla parte opposta di cambiare".

Ecclesia 31_01_2018

“Il Vaticano è ottimista perché spera che il regime cinese cambi, ma realisticamente non è così”. Lo dice il missionario del Pime padre Sergio Ticozzi in questa intervista alla Nuova BQ. Proprio ieri la Santa Sede ha smentito la divergenza di opinioni tra il Papa e i suoi collaboratori di cui aveva parlato anche il cardinale Zen con la Nuova BQ. Ma è indubbio che quando si parla di Cina e Vaticano, del ruolo di Hong Kong, delle sfide e delle opportunità, non sempre si riescono ad individuare le coordinate esatte dei problemi con chiarezza e a volte si applicano categorie di pensiero che sono estranee alla Cina e al Vaticano stesso. In realtà questi mondi condividono anche una certa segretezza, il che fa apparire come arduo il cercare di far senso di determinate situazioni. Indispensabile così è ascoltare la voce di chi la Cina la conosce da tempo.

Padre Ticozzi è in Cina da 50 anni. Questo sacerdote lombardo non solo parla e legge il cinese, ma da decenni è impegnato in attività di sostegno e supporto ai cattolici cinesi, anche nella Cina popolare. Padre Ticozzi ormai si sente più “hongkonger” che italiano, visto che la maggior parte della sua vita l’ha passata a Hong Kong. Ed è proprio nella città asiatica che la Nuova BQ lo ha incontrato cercando di capire qualche cosa di più della vicenda.
 

Padre, i rapporti tra Cina e Vaticano sono migliorati, peggiorati o sono sempre gli stessi?
Fino agli anni ‘80 la Cina era chiusa, isolata e quindi il Vaticano non era collegato con essa in nessun modo. Anzi, si serviva proprio della Chiesa in Hong Kong per avere alcuni agganci, soprattutto i primi anni dopo il ‘49 (presa del potere dei comunisti), il tempo dei profughi. Hong Kong a quel tempo teneva i contatti anche perché alcuni vescovi e missionari dalla Cina fuggirono qui ed Hong Kong divenne così il punto di contatto con l’interno. Successivamente la Cina si è chiusa e i contatti si sono interrotti. Questi rapporti sono stati ripresi alla fine degli anni ‘70 (dal 1978 al 1980 circa). In Hong Kong, il vescovo e futuro cardinale John Baptist Wu Cheng-chung ha capito il ruolo importante di Hong Kong e ha così iniziato il centro dove ora io lavoro, l’Holy Spirit Study Centre, come punto di contatto con la Cina e per dare informazione sulla Chiesa in Cina all’estero. Il Vaticano si servì anche del nostro centro per tenere i contatti.

Quindi dal suo osservatorio privilegiato come giudica la situazione?
La Cina, con Deng Xiao-ping si è aperta al mondo, per cui i paesi esterni ebbero un contatto con la realtà cinese. All’inizio ci fu naturalmente curiosità, poi vennero investimenti sostanziali da parte di compagnie straniere in territorio cinese. La Chiesa piano piano si è aperta e il Vaticano cominciò ad avere rapporti non con il governo ma con la Chiesa non ufficiale, la Chiesa sotterranea, anche se a quei tempi la distinzione da parte della Santa Sede era più sfumata in quanto il Vaticano si riferiva in generale a tutta la Chiesa cinese. Poi i rapporti sono stati più diretti con la Chiesa sotterranea o clandestina.

Ci sono differenze importanti fra il ruolo svolto da Hong Kong e quello svolto da Macao, due città vicine con un destino storico apparentemente simile, visto che entrambe sono state sotto dominazione o amministrazione straniera per lungo tempo?
Macao è sempre stata abbastanza passiva, sia per l’evangelizzazione che per i contatti con la Cina. In effetti Pechino, dopo le rivolte del 1967, controllava con molta fermezza Macao mentre non poteva far lo stesso con Hong Kong, in quanto il governo britannico era in grado di gestire meglio i rapporti con Pechino. Per quello che riguarda i rapporti fra la Santa Sede e la Cina, Hong Kong ha senz’altro avuto un ruolo più importante. Solo recentemente il vescovo di Macao e la Chiesa in Macao hanno preso iniziative per contatti più diretti con la Cina. Questo cominciò con il vescovo Domingos Lam Ka-tseung che ebbe rapporti più diretti con la Cina.

In questi giorni è su tutti i media la notizia dei due vescovi legittimi a cui sarebbe stato chiesto di far posto a vescovi appartenenti alla chiesa patriottica, uno dei quali scomunicato. Il Cardinal Zen che ha parlato molto duramente di questa situazione al nostro giornale. Quale è il suo giudizio?
Condivido fondamentalmente l’atteggiamento del cardinal Zen, ho disagio. Questo modo di fare, se è oggettivo, se è come dicono i giornalisti, mette la gente a disagio. Ci si chiede: perché la santa Chiesa agisce in questo modo, in un modo solo giuridico-legale senza tener presenti i rapporti umani, “salvare la faccia”, nel senso buono, che per i cinesi è molto importante. Quindi garantire che questi vescovi legittimi abbiano il giusto rispetto riconoscendogli quello che hanno fatto, la loro situazione, i loro disagi, le loro difficoltà. Quindi ho provato perplessità. La cosa poteva essere gestita in modo più umano, visto che tutti e due i vescovi hanno sofferto anche recentemente il domicilio coatto per il loro attaccamento alla Chiesa.

Dai suoi contatti diretti con i cattolici nella Cina popolare, ci può dire cosa essi si aspettano dalla Santa Sede?
Tramite il centro abbiamo contatti con preti e suore della Chiesa patriottica e sotterranea. In genere i primi apprezzano il fatto che la Santa Sede ha iniziato delle trattative e sperano che queste avranno buoni risultati perché questo atteggiamento della Santa Sede convalida la loro scelta, di essere nella Chiesa patriottica. Quelli nella Chiesa clandestina sono un po’ perplessi, preoccupati, sfiduciati. Certi hanno perso fiducia per il modo di fare della Santa Sede per le ragioni di cui sopra, perché non rispettano la loro scelta e soprattutto - cosa a cui loro tengono molto - i principi fondamentali della Chiesa, e la Santa Sede non ha ancora assunto una posizione chiara riguardo a questo.

Storicamente abbiamo avuto molte comunità cattoliche che sono dovute sopravvivere sotto regimi comunisti, ma in questo caso abbiamo una chiesa creata da un regime comunista con l’intento evidente di staccarla dalla comunione con Roma ed è direttamente gestita da questo regime di cui direttamente o indirettamente serve i fini. Come è possibile un accordo in queste condizioni?
Credo che la risposta sia nell’ottimismo esagerato che la Santa Sede ha verso il governo comunista. Questo ottimismo si esprime nel fatto che sperano che il regime cambi. Cosa che realisticamente non è così. Noi qui tocchiamo con mano: il partito comunista non cambierà la sua posizione, anzi chiederà alla parte opposta di cambiare. Ecco, questo ottimismo della Santa Sede non gli fa comprendere questo realismo del modo di agire del governo comunista cinese.

Anche perché, se siamo logici, dall’essere come sono dipende la loro sopravvivenza…
Infatti. Non solo il partito comunista si accorge che non deve cambiare, se no crolla. Ma anche hanno assunto la mentalità e il comportamento dell’impero cinese, in cui l’autorità è assoluta e controlla tutti gli aspetti della vita dei cittadini, compresa la religione. Quindi la religione è in mano alle autorità civili per garantire il loro proprio ordine e benessere (e non escludo, anche il benessere dei cittadini). Tutto è sotto il loro controllo e strumentalizzato per i loro obiettivi.