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IL CASO

La Cina alla conquista dei porti del Mediterraneo

Bloccata la concessione a una società cinese del porto di Rijeka in Croazia, dopo che l'Unione Europea si è resa conto della pericolosità della strategia della Cina nella conquista dei porti europei. Sulla Via della Seta la Cina si è già presa i porti del Pireo e di Trieste.

Esteri 15_02_2021
Il porto di Rijeka

Tre articoli apparsi di recente sulla stampa croata ci informano che la richiesta cinese di ottenere una parte del principale porto merci dell’ex Iugoslavia, oggi della Croazia, Rijeka (Fiume), ha ricevuto in risposta un no secco. Il 30 dicembre dello scorso anno, il Consiglio di amministrazione dell'Autorità portuale di Rijeka ha deciso di annullare la procedura di concessione per lo sviluppo, l'esercizio e la gestione del terminal container Zagreb Deep Sea nel porto di Rijeka e di indire un nuovo bando di gara.

Alla domanda sul perché la gara fosse stata annullata il premier croato Butkovic ha detto trattarsi di una decisione esclusivamente aziendale, ma per i quotidiani croati se l'autorità portuale di Rijeka ha rifiutato un'offerta di 20,5 miliardi di kune (quasi 3 miliardi di euro) la ragione va cercata nelle pressioni di Unione Europea e Stati Uniti sul governo croato. Per ciò che riguarda gli Stati Uniti la ragione principale è connessa ai rapporti di forza createsi nell'alto Adriatico a seguito dello sbarco sulle coste italiane della Cina, mentre per l'Unione Europea le ragioni economiche sono soprattutto connesse con i finanziamenti europei che finiscono regolarmente nelle mani dei consorzi (statali) di imprese cinesi. 

Ciò che né gli Stati Uniti d'America e né l'Unione Europea vogliono è che si ripeta quanto accaduto con il porto del Pireo e con la “Via della seta” (Sea&Belt Initiative) in cui è coinvolta l'autorità portuale di Trieste all’interno del disegno cinese che coinvolge l’Europa intera. 

Il primo, sfacciato, risultato è stato segnato con l’ingresso/possesso del porto del Pireo, ormai completamente nelle mani di Pechino. Con l’accordo sottoscritto tra Xi Jinping e Kyriakos Mītsotakīs, premier greco, la Grecia è diventata la porta d’ingresso della Cina in Europa in cambio di pochi spiccioli. "L’11 novembre 2019 il premier greco ha... offerto agli investitori cinesi l’accesso privilegiato nei settori energetici e infrastrutturali del Paese, ottenendo in cambio più esportazioni agricole e rotte turistiche. Xi Jinping ha definito l’accordo un modello di cooperazione sino-europea. Dopo mesi di stallo l’azienda cinese Cosco Shipping, che possiede il 51% del porto del Pireo”, ha pianificato di costruire "un nuovo porto da crociera, quattro hotel e un terminal per container da 600 milioni di euro. Nell’accordo la Cosco dovrà finanziare altri 300 milioni di euro di investimenti nel porto greco entro il 2022 per l’estensione di un terminal automobilistico nel molo di Drapetsona e un terminal container. In cambio otterrà il possesso del 16% in più del Pireo”. 

Ma se nel 2019 Atene piangeva, Roma non rideva. All’epoca, il governo gialloverde aveva siglato un memorandum di intenti con la Cina definito dal governo cinese come un accordo politico. Pechino aveva già messo gli occhi sul porto di Trieste, decisivo per applicare la strategia della nuova Via della Seta. «La Cina sta usando le sue armi economiche per costringere i Paesi con cui commercia a siglare accordi sbilanciati che beneficiano solo Pechino e lasciano i suoi clienti impantanati nel debito» aveva avvertito Pompeo nel suo viaggio in Grecia di inizio ottobre 2019, ma non è stato ascoltato.

Il 22 nov 2019 si è infatti svolta a Trieste "la seconda edizione del Belt and Road Summit: from vision to actionorganizzato da The European House–Ambrosetti in collaborazione con il China Development Institute. Gli analisti presenti all’incontro hanno cercato di dimostrare che lo sviluppo dei commerci dalla Cina all’Europa è un volano per gli investimenti su tutta la direttrice euroasiatica e che sono infondate le preoccupazioni per la firma degli accordi tra porto di Trieste e autorità cinesi. Preoccupazioni di che tipo? Le ha ben riassunte l’ex presidente della Commissione UE Jean-Claude Juncker: “gli investimenti non dovrebbero essere esclusivamente cinesi” e “le aziende europee non hanno le stesse possibilità sul mercato cinese rispetto alle aziende cinesi che operano in Europa”.

In occasione della sottoscrizione a Roma dell’accordo di cooperazione tra il porto di Trieste e il gruppo cinese China Communication Construction Company (CCCC) si è palesato che gli attori giocavano con armi tutt'altro che pari. “Con questo accordo – dichiarò il 24 novembre 2019 il presidente dell’Autorità portuale di Trieste Zeno D’Agostino – puntiamo ad organizzare la logistica in uscita (corsivo mio) dal porto. Il nostro impegno è quello di supportare le esportazioni in Cina e nel Far East delle nostre piccole e medie industrie, che non hanno le dimensioni idonee ad affrontare questo tipo di investimenti”.

Ma la CCCC, detenuta dallo Stato cinese, è una delle più grandi imprese mondiali del settore delle infrastrutture, quotata alle borse di Hong Kong e Shanghai. CCCC è presente in 155 Paesi, con un fatturato annuale di gruppo superiore ai 90 miliardi di dollari USA, in possesso di elevato know-how nel settore delle infrastrutture di trasporto. Per intenderci, non è un accordo tra pari ma tra un’autorità portuale e lo Stato Cinese. La partita Autorità portuale di Trieste vs Cina è persa in partenza. 

Ma sembra che quanto stava per succedere a Rijeka abbia svegliato dal sonno, non tanto gli USA, quanto la sonnacchiosa UE. Speriamo che l’UE ed i Paesi che ne fanno parte si siano finalmente resi conto che l’imperialismo comunista cinese, in Europa come in Africa ed in Asia, rappresenti un pericolo che va combattuto con nuove armi in primo luogo sui mercati. Non va mai dimenticato che la Cina è una dittatura comunista e che il comunismo non è per niente una questione che appartiene al secolo passato.