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L'EDITORIALE

La Chiesa e il governo, dietro le strette di mano

Per la Santa Sede relazioni ottime con l'esecutivo e preferenza per il proseguimento della legislatura. Con un occhio al comportamento dei cattolici nei diversi schieramenti.

Editoriali 10_12_2010
Chi vuole esaltare le ottime relazioni tra la Santa Sede e il governo italiano guidato da Silvio Berlusconi presenta ogni stretta di mano come un patto di eterna amicizia. Chi, al contrario, vede come fumo negli occhi le innegabili buone relazioni tra Vaticano e Palazzo Chigi, è pronto a derubricare a incontro casuale e insignificante anche un’udienza programmata.

Ieri a villa Borromeo, sede dell’Ambasciata d’Italia presso il Vaticano, si è svolto un pranzo per festeggiare i dieci nuovi cardinali italiani creati da Benedetto XVI lo scorso 20 novembre. Erano presenti in nove (assente giustificato il Penitenziere maggiore Baldelli), insieme al Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Berlusconi ha portato con sé mezzo governo. A fare gli onori di casa, l’ambasciatore Antonio Zanardi Landi, ora in procinto di partire per Mosca. Non ci sono stati colloqui riservati tra il premier e il “primo ministro” di Benedetto XVI. Il clima è stato però cordialissimo e quello che si è detto nei discorsi fatti a tavola testimonia come i rapporti tra la Santa Sede e il governo siano considerati da entrambe le parti ottimi.

Il cardinale Bertone ha ringraziato l’esecutivo per aver dato ascolto ad alcune istanze della Chiesa, il Cavaliere – che non è affatto apparso in procinto di lasciare Palazzo Chigi e ostentava ottimismo – ha ribadito che da parte sua non verrà mai nulla contro la Chiesa. Al di là delle frasi di circostanza, e della circostanza stessa, un pranzo di routine che non poteva né voleva essere un’investitura per chichessia, bisogna obbiettivamente registrare questi elementi.

Innanzitutto, la Segreteria di Stato vaticana giudica ottime le relazioni con l’Italia e con il governo in questo momento.

In secondo luogo, Bertone non sembra affatto auspicare che vi sia in tempi brevi il ricorso alle urne, a causa della difficile congiuntura internazionale e spera dunque che la legislatura possa continuare.
Sia il Vaticano come la Conferenza episcopale italiana, nonostante qualche recente attrito riguardante i rispettivi ruoli in rapporto con il mondo politico, non vedono favorevolmente il nuovo partito di Gianfranco Fini a motivo delle posizioni espresse dal Presidente della Camera negli ultimi due anni, in special modo sul fine vita e sul riconoscimento alle coppie gay: eloquentissimi, a questo proposito, sono stati i commenti del direttore di Avvenire Marco Tarquinio. Per questo nelle ultime settimane sia la Cei come il Vaticano hanno chiesto all’Udc di Pierferdinando Casini di non allearsi con Fini inseguendo l’idea di un grande centro.

Bisogna innanzitutto attendere per vedere che cosa accadrà il 14 dicembre, quando ci sarà il voto di fiducia al governo Berlusconi, e soprattutto guardare al dopo. Se l’esecutivo vuole continuare a governare, non potrà farlo con maggioranze risicate o risicatissime. I vertici della Cei e della Segreteria di Stato vedrebbero di buon occhio un rafforzamento dell’area cattolica e una maggiore attenzione ad alcuni temi che stanno a cuore al mondo cattolico, a partire dal quoziente familiare, cioè a un fisco che cominci finalmente a riconoscere il ruolo insostituibile della famiglia nella nostra società.

Sarà comunque tutto da seguire il dibattito interno a quelle forze politiche e a quei parlamentari che da schieramenti diversi fanno riferimento al popolarismo cattolico: ci sono sempre più evidenti mal di pancia nel Pd, come quello espresso a più riprese da Beppe Fioroni; c’è il dibattito interno all’Udc su che cosa fare dopo il voto del 14 dicembre. C’è un mondo cattolico stanco di personalismi e chiacchiericcio, stanco di una politica distante dai problemi del Paese, che s’indigna certamente per le feste e i festini con protagonista il premier ma che allo stesso tempo teme l’affermarsi di forze dichiaratamente laiciste per le quali la “modernizzazione” dell’Italia consiste soltanto nell’importare modelli e legislazioni contrastanti con quei “principi non negoziabili” indicati dal Papa.