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ATTENTATO BOSTON

La cellula cecena di Al Qaeda

Il caso dei fratelli Tsarnaev, i due attentatori di Boston, rinnova il dibattito che periodicamente si accende negli Stati Uniti e in Europa circa la minaccia portata da terroristi “fai da te”. Cani sciolti ideologici e imprevedibili.

Esteri 23_04_2013
Attentatori Boston

Il caso dei fratelli Tsarnaev, i due attentatori di Boston, rinnova il dibattito che periodicamente si accende negli Stati Uniti e in Europa (ad esempio dopo gli attentati di Londra del 7 luglio 2005) circa la minaccia portata da terroristi “fai date”. Cani sciolti che hanno alle spalle un indottrinamento ideologico islamista e jihadista, ma che non sono necessariamente membri di cellule terroristiche organizzate né dispongono dei mezzi e del denaro necessari a scatenare un nuovo 11 settembre. Aspetti che non li rendono meno pericolosi anche se le armi a loro disposizione sono di potenza limitata, ma comunque sufficiente a mietere vittime, seminare il panico e soprattutto a diffondere il senso generale di insicurezza che è sempre il primo obiettivo di ogni azione terroristica.

Come a Londra otto anni or sono anche a Boston i due attentatori erano residenti ormai da dieci anni e il più giovane dei due fratelli aveva già ottenuto la cittadinanza statunitense. Ed Davis, capo della polizia di Boston, ha ammesso che forse i due fratelli ceceni preparavano altri attentati. ''Il gran numero di armi e ordigni ritrovati lasciano supporre che fossero pronti a pianificare attacchi contro altri obiettivi e altre persone'', spiega. Dopo la sparatoria di Watertown - in cui è rimasto ucciso il più grande degli attentatori, Tamerlan, 26 anni - è stato rinvenuto un vero e proprio arsenale: pistole, un fucile, granate, e almeno sei bombe artigianali come quelle fatte scoppiare lunedì scorso vicino al traguardo della maratona, provocando tre morti.

Ulteriori dettagli stanno emergendo dall’interrogatorio di Dzhokhar, il fratello minore ferito e piantonato in ospedale che la polizia aveva l’ordine di prendere vivo proprio per farlo parlare. Sotto tiro l’apparato di intelligence e sicurezza statunitense per aver sottovalutato la minaccia potenziale dei due fratelli ceceni il maggiore dei quali era tornato in Daghestan e Cecenia ed era stato segnalato dai servizi segreti russi che però non hanno prove di relazioni tra i fratelli Tsarnaev e i miliziani ceceni di Doku Umarov.

Al di là delle riflessioni critiche, sempre molto facili “col senno di poi”, la vicenda di Boston impone un’attenta valutazione della portata che il ramo ceceno-caucasico sta avendo all’interno di al-Qaeda o in generale delle organizzazioni jihadiste. Nell’area tribale pakistana, quartier generale di al-Qaeda e probabile covo di Ayman al-Zawahiri, il numero di miliziani caucasici è in continuo aumento secondo l’intelligence statunitense che proprio contro di loro ha diretto molti raid aerei effettuati dai droni.
Anche il loro peso nelle operazioni in Afghanistan pare in crescita grazie all’esperienza maturata negli scontri con l’esercito russo. Cellule cecene sono state segnalate anche nella provincia di Farah dove operano i militari italiani e proprio a loro sarebbero da attribuire alcuni attacchi e attentati contro il nostro contingente.

Del resto se un tempo gli aspiranti miliziani si recavano in Waziristan per istruirsi alle tattiche di guerriglia e terrorismo oggi l’addestramento dei miliziani jihadisti caucasici viene curato direttamente nei campi in Daghestan e Cecenia. Negli ultimi mesi le truppe di Mosca sono tornate in forze in Caucaso per combattere le milizie dell’Emirato fondato nel 2007 da Doku Umarov e dopo che nel 2011 la ripresa dell’insurrezione islamista aveva provocato 187 morti e 440 feriti tra poliziotti e militari.
“Ultimamente la situazione si è aggravata, specialmente in Daghestan, dove le cose vanno molto male” aveva commentato nell’autunno scorso l’esperto Pavel Felghengauer evocando la carenza di forze locali ma anche la perdita di esperienza negli ultimi anni delle truppe del ministero della difesa.

”Tutte le dichiarazioni propagandistiche che la guerra nel Caucaso era vinta e finita non corrispondono alla realtà: nulla è finito laggiù, sopravvive nella clandestinità una guerriglia potente che gode del sostegno di una parte notevole della popolazione locale”.
Nel settembre scorso il quotidiano Nezavisimaia Gazeta aveva preannunciato che anche le truppe del Gru, il servizio segreto militare, sarebbero tornate a partecipare alle operazioni anti-terrorismo. Mosca aveva revocato in Cecenia il regime di alta sicurezza antiterrorismo nell’aprile del 2009, ritirando 20 mila uomini dei 50 mila militari schierati nella regione.

La presenza cecena è tangibile anche in Siria dove vi jihadisti caucasici hanno inviato una propria milizia a combattere il regime di Bashar Assad.
Un video diffuso nel marzo scorso mostrava un comandante, nome di battaglia Abu Omar al-Chechen, arringare in russo un gruppo di miliziani di quella che i ribelli siriani chiamano la “Brigata dei migranti” stimando la presenza cecena in un centinaio di combattenti. Secondo una fonte dell’opposizione siriana quello ceceno è il secondo gruppo combattente straniero più corposo dopo il libico e almeno 17 di loro sono morti nei combattimenti del marzo scorso intorno ad Aleppo.
Secondo l’antiterrorismo britannico in Siria stanno combattendo terroristi ceceni molto addestrati e la preoccupazione è che i combattenti dell'opposizione siriana (alcuni già con passaporti europei) possano tornare in Occidente per continuare a compiere attacchi e attentati.