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Lo studio

La cannabis danneggia la fertilità femminile e i nascituri

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Un’indagine scientifica pubblicata su Nature ha mostrato che l’uso della cannabis da parte delle donne rappresenta un danno per la loro fertilità e aumenta le probabilità statistiche di «anomalie genetiche» nei loro bambini.

Vita e bioetica 24_10_2025

Ormai lo vedrebbe pure un cieco: la politica della sinistra europea e occidentale tende a legalizzare, giustificare, legittimare e in qualche modo promuovere l’uso della cannabis per scopo “ludico” o “ricreativo”. E considera repressiva e bigotta ogni azione mirante alla diminuzione del consumo, della vendita e dello spaccio di “marijuana” ormai piuttosto sdoganata anche a livello di mentalità comune.

Su Nature però è stato pubblicato uno studio scientifico di alto livello sul rapporto tra l’uso della cannabis e la fertilità femminile, in cui emergono chiari rischi di «alterare la qualità degli ovociti umani» e di «aumentare le anomalie cromosomiche negli embrioni». Risultati che allarmano i medici, i demografi e gli specialisti della fertilità, anche perché l’uso della cannabis è in aumento ovunque e perfino «tra le donne in età fertile».

La ricerca è stata condotta da una équipe scientifica composta da 5 esperti (Brandon A. Wyse, Noga Fuchs Weizman, Iryna Kuznyetsova, Svetlana Madjunkova e Clifford L. Librach) coordinati dalla professoressa Cyntia Duval, docente presso il CReATe Fertility Centre di Toronto ed ha eseguito due esperimenti diversi ma strettamente convergenti. Anzitutto, degli «ovociti umani immaturi» in vitro sono stati esposti, in modalità tecnicamente sofisticate, all’influsso del tetraidrocannabinolo (Thc), il principale componente psicoattivo della cannabis. E il risultato è stato scioccante: si è registrato l’aumento del 9% delle «anomalie cromosomiche» del nascituro, quelle anomalie che l’autentica medicina dovrebbe prevenire e rimuovere, oltre a delle notevoli «disfunzioni dei fusi cellulari», strutture essenziali per lo sviluppo embrionale.

Poi l’équipe ha osservato la situazione clinica e medica di «oltre 1000 donne» che stavano eseguendo un trattamento di fecondazione in vitro (Fiv). Tra di esse «una sessantina» presentavano tracce certe di Thc. Ebbene, nel piccolo gruppo di donne che avevano nel sangue le scorie infette della marijuana la percentuale di embrioni con un «numero normale di cromosomi» era del 60%, contro il 67% delle restanti. Da tutto ciò risulta evidente che l’uso della cannabis da parte della futura mamma rischia di creare un danno alla salute dell’embrione, aumentando le probabilità statistiche di «anomalie genetiche».

La ricerca segnala che in America, tra il 2002 e il 2020, il consumo di cannabis «durante la gravidanza» si è moltiplicato per tre. A tal punto che, contrariamente a un «pregiudizio popolare comune», nella fascia di età 19-30 anni, le donne fumano marijuana più dei maschi. Se erano già noti i rischi riproduttivi dell’uomo causati dall’uso e dall’abuso di cannabis, lo studio di Nature ha dimostrato, forse per la prima volta, il danno del Thc per la «fertilità femminile», per il buon esito della gravidanza e per la piena salute del nascituro.

E questi danni causati a moltissime donne e mamme, e in primis ai loro bambini, sono anche il frutto di una cultura nichilista che ha fatto del «vietato vietare» un orizzonte di vita e un parametro da cui indietro non si torna. Mentre ancora viene spacciata come buona la colpevole definizione dello spinello come «droga leggera»: un falso “dogma” tanto ideologico e libertario, quanto mille volte smentito dalla scienza e dalle ricerche di settore.