Jihad under 18, in Francia è boom di minori radicalizzati
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Sempre più giovani e ancor più pericolose le nuove leve della propaganda islamista che fa proseliti persino tra gli adolescenti. Un'epidemia alimentata anche dai social, che minaccia di diffondersi ben oltre i confini francesi.

In Francia, il volto del terrorismo sta cambiando — e si fa sempre più giovane. A nove anni dalla strage del Bataclan, cinque dalla decapitazione di Samuel Paty e uno dall’assassinio del professor Dominique Bernard, una nuova minaccia inquieta il Paese e l’Europa intera: l’epidemia dei minori radicalizzati. Un fenomeno che, secondo l’ultimo rapporto Europol sulla “situazione e le tendenze del terrorismo”, si intreccia con l’onda lunga del jihadismo e rivela una realtà allarmante: ragazzi e ragazze, spesso adolescenti, coinvolti in complotti, apologia e violenza in nome dell’ideologia islamista.
Sempre più giovani, sempre più determinati, e — per paradosso — ancora più pericolosi. Lo conferma la Procura nazionale antiterrorismo, i cui dati sono inquietanti: la percentuale di minori coinvolti in progetti terroristici di matrice islamica è cresciuta in modo vertiginoso, fino a raggiungere nel 2024, il 21% dei casi. Nello stesso anno, ogni mese, 2.558 persone sono state monitorate per atti di terrorismo, un aumento di quasi il 6% rispetto al 2023. Ma il dato più allarmante è un altro: il 65% degli interessati da tali procedimenti penali sono minorenni. Un fenomeno che, in dodici mesi, ha portato 18 giovanissimi davanti alla Procura nazionale antiterrorismo, in 13 procedimenti distinti, con un incremento del 20% rispetto all’anno precedente.
«Sono tanto più pericolosi — spiega a Le Figaro uno specialista di terrorismo — perché, a causa della loro giovane età, diffondono le loro idee nelle scuole medie e superiori, riuscendo a influenzare le menti ancora immature dei coetanei». Non si tratta solo di statistiche: dietro ai numeri ci sono chat segrete, video di propaganda condivisi tra compagni di classe, e sogni distorti di martirio che attecchiscono nei cortili scolastici.
Al 1° dicembre 2024, la Procura antiterrorismo aveva già aperto 59 procedimenti per “contenzioso jihadista”, il 55% in più rispetto ai 38 del 2023. Per confronto: i procedimenti erano stati 48 nel 2021 e 41 nel 2022.
Una progressione che, vista così, non è soltanto allarmante: è il segnale che l’ideologia jihadista non sta perdendo terreno, ma lo sta conquistando là dove dovrebbe essere più vulnerabile — nei cuori e nelle menti dei più giovani.
Gli atti di apologia del terrorismo sono ormai la tipologia di reato più frequente tra i minori radicalizzati. A ottobre, un minore di 13 anni, francese, è stato arrestato a Mont-Saint-Martin, nella Meurthe-et-Moselle, dopo aver condiviso online video di se stesso, vestito tutto di nero, mentre brandiva armi da fuoco finte e giurava fedeltà a Daesh, oltre a inscenare esecuzioni varie. In questi video sono comparsi almeno altri tre minorenni. A Tours, un adolescente, classe 2008, è stato arrestato lo scorso giugno per aver pubblicato su TikTok fotografie di terroristi, riproduzioni della bandiera dello Stato islamico, immagini e video di decapitazioni, link e video di giochi che raffigurano un massacro in una chiesa e in una sinagoga»
Nell’agosto scorso, a Montbéliard, un ragazzino di appena dodici anni è stato riconosciuto colpevole di «provocazione ad atti di terrorismo». Sul suo computer, gli inquirenti hanno trovato un archivio di 1.700 video di esecuzioni compiute da jihadisti. Il preadolescente pubblicava immagini di combattenti armati di coltelli o mitragliatrici e la bandiera nera dell’Isis. Al procuratore ha raccontato di essere stato semplicemente reclutato.
È una radicalizzazione a trazione giovanile, nutrita da propaganda mirata sui social media, soprattutto con video brevi su TikTok e Instagram. Strumenti perfetti per catturare l’attenzione e manipolare i profili più fragili, proprio come fanno i network di al-Qaïda da decenni.
Nonostante la loro giovane età, i minori coinvolti utilizzano già nei loro discorsi tutti gli elementi linguistici delle organizzazioni jihadiste.
Gli ideologi del jihadismo sanno bene dove affondare le radici della loro retorica. Recuperano il passato coloniale algerino, agitano il dibattito sul divieto dell’abaya a scuola, cavalcano l’onda emotiva del conflitto a Gaza. Con questo armamentario simbolico riescono a convincere i loro giovani bersagli a “unirsi” attorno alla umma, la comunità musulmana, e a “invertire la tendenza” contro un Occidente oppressore.
«La figura della vittima — spiega Laurène Renaut, dottoranda all’Università di Cergy-Pontoise in uno studio intitolato “Radicalizzazione jihadista e discorso delle vittime sui social network, dalla vittima al carnefice” — si inserisce in una ricerca di riconoscimento statutario, ma si scontra con l’impossibilità di ottenere una riparazione simbolica. Da qui nasce il desiderio di vendetta», spesso diretto contro l’Europa stessa. In questo schema, la figura del “martire” viene proposta come ideale eroico: morire per la causa diventa, per molti adolescenti, il coronamento di una vita “significativa”. La figura del “martire” viene così venduta ai giovani, i quali, descrivendosi come tali, si sentono e diventano degli eroi.
I giovani che consumano propaganda terroristica online oggi passano dalla teoria alla pratica molto più rapidamente di quanto accadesse in passato.
Non è un caso, quindi, che a giugno dello scorso anno, un adolescente di 16 anni è stato arrestato mentre pianificava un attentato a La Défense durante i Giochi Olimpici. Nei suoi messaggi su Telegram scriveva di voler «morire martire in nome del Califfato islamico», e intanto cercava manuali e materiali utili a costruire una cintura esplosiva. Qualche settimana prima, nell’Hauts-de-France, un altro minore di 17 anni era stato fermato con l’accusa di voler vendicare un torto subito: il suo obiettivo, secondo gli inquirenti, sarebbe stato quello di «commettere un attentato durante la festa di fine anno» nella sua scuola. A novembre, un sedicenne è stato arrestato nella periferia di Le Mans. Aveva contattato un negozio di armi utili all’attentato che aveva organizzato con cura: distruggere la sinagoga di Le Mans.
Sono solo alcuni dei casi che disegnano il caos di progetti, sempre mirati al cosiddetto oppressore, e facilmente condivisibili tramite i molteplici servizi di messaggistica online esistenti. La giustizia, di fronte alla giovane età degli imputati e alle loro giustificazioni — spesso un misto di minimizzazione e negazione — fatica a infliggere pene severe. Nei casi citati, le condanne si sono limitate a “corsi di deradicalizzazione”, “monitoraggio psicologico”, “divieto di accesso a Internet” o “obbligo di frequenza scolastica”.
Secondo il SG‑CIPDR - Secrétariat général du Comité interministériel de prévention de la délinquance et de la radicalisation, dal 2014 più di 35 000 persone sono state formate alla prevenzione del “fléau islamiste”, un fenomeno che oggi colpisce i minorenni nel 65 % dei casi.
Inoltre, dopo l’attacco di Hamas, la rete è stata inondata di messaggi che trasformano la violenza in un racconto seducente, costruito per colpire le emozioni: indignazione, urgenza, senso di minaccia esistenziale. Al CIPDR rilevano un consumo eccessivo, soprattutto tra i giovani, di questa violenza digitale confezionata come intrattenimento, dove l’intelligenza artificiale con le sue animazioni è strumento per insegnare — quasi per gioco — i codici culturali del jihad.
La Procura nazionale antiterrorismo ha registrato un aumento del 70% delle procedure legate al terrorismo jihadista tra il 2023 e il 2024. I minorenni messi sotto inchiesta sono stati 2 nel 2022, 15 nel 2023, 19 nel 2024 e già 7 nel 2025.
Tutto lascia pensare che il ringiovanimento delle truppe islamiste non sia che all’inizio.
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