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MEDIO ORIENTE

Israele: escalation in Cisgiordania e fine della tregua a Gaza

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Fine della tregua, a Gaza riprendono i combattimenti. È fallita la mediazione del Segretario di Stato Usa Antony Blinken. Intanto un altro fronte rischia di aprirsi: in Cisgiordania. Attentato a Gerusalemme.

Esteri 01_12_2023
Gerusalemme, sul luogo dell'attentato (La Presse)

Finita la tregua a Gaza, alle 5 di questa mattina (1 dicembre) sono ripresi i lanci di razzi di Hamas a cui ha risposto l'aviazione israeliana con nuovi raid. È dunque fallita la mediazione del Segretario di Stato Usa Antony Blinken in Israele. Ieri l'ultimo scambio, con la liberazione di altri otto ostaggi da parte di Hamas, pareva aver convinto le parti a prolungare di almeno un giorno la pausa nei combattimenti. Intanto un altro fronte rischia di aprirsi: in Cisgiordania, come si teme dall’inizio del conflitto, stanno aumentando gli attentati.

Come nei mesi che hanno preceduto la guerra a Gaza, ieri, 30 novembre, i terroristi hanno colpito a Gerusalemme, all’improvviso, uscendo da un’auto e sparando a raffica con fucili d’assalto M16 a una fermata d’autobus. Hanno ucciso tre persone e ne hanno ferite tredici, di cui almeno due sono ricoverate in condizioni critiche. Un quarto israeliano è rimasto vittima del tiro incrociato, probabilmente colpito da fuoco amico. I due terroristi sono stati uccisi da agenti di polizia intervenuti sulla scena, sostenuti da un riservista dell’esercito armato e un soldato in congedo.

Le forze di sicurezza hanno successivamente identificato gli attentatori: i fratelli Murad ed Ebrahim Nemer, palestinesi di Gerusalemme Est e militanti di Hamas. Entrambi sono ex carcerati: Murad era stato dieci anni in prigione, dal 2010 al 2020 e il fratello un anno (nel 2014) per attività terroristiche. Il movimento islamico ha puntualmente rivendicato l’attacco e lodato i due nuovi “martiri”.

Non è il primo attentato di questo tipo in Cisgiordania. Già il 16 novembre, un soldato era stato ucciso e altri quattro feriti in un attacco a colpi di arma da fuoco in un checkpoint di Betlemme. Il giorno stesso, la polizia sventava un altro attentato a Gerusalemme, che avrebbe potuto provocare una strage.

L’attacco alla fermata dell’autobus non è stato neppure l’unico episodio terroristico in Cisgiordania nella giornata di ieri. Due soldati sono stati travolti da un auto al check point del moshav Beka’ot, nella valle del Giordano. I due sono sopravvissuti e sono ricoverati in ospedale. Nella notte fra il 30 novembre e l'1 dicembre, presso Migdalim, da un veicolo sono partiti colpi d'arma da fuoco contro un’auto che trasportava riservisti dell’esercito. Che hanno puntualmente risposto al fuoco. Non si sono registrati morti o feriti.

Nelle città cisgiordane, poi, gli scontri fra manifestanti e forze dell’ordine sono sempre più letali. Gli scontri più violenti scoppiano a seguito degli arresti di sospetti terroristi ad opera dell'esercito nelle città palestinesi. Secondo l'Autorità Palestinese, nell'ultima settimana sono morti almeno tre ragazzi.  È stato ucciso un ragazzino di 14 anni,  a Tubas, colpito dall’esercito durante un’operazione anti-terrorismo. Durante un’altra retata, nei pressi di Ramallah, è toccato un altro adolescente, di 17 anni. E un altro giovane è stato colpito mortalmente durante gli scontri scoppiati attorno al carcere di Ofer, mentre si attendeva la scarcerazione di uno scaglione di prigionieri palestinesi.

La regione rischia dunque di diventare un secondo fronte. E in un certo senso era già un teatro di guerra prima di Gaza. Infatti, era dalle città della Cisgiordania, Jerico soprattutto, che arrivavano gli attentatori autori degli attacchi nelle città israeliane. Era in Cisgiordania che l’intelligence israeliana e l’esercito concentravano i loro sforzi, prima dell’attacco a sorpresa dal Sud. La tensione non si è mai spenta in quella regione, visto che 500mila ebrei degli insediamenti vivono gomito a gomito con le comunità arabe, nelle aree C (amministrazione israeliana) e B (mista) in cui è divisa la Cisgiordania. Una guerra in quell’area, come dimostra l’esperienza della Seconda Intifadah, assume le caratteristiche di una guerra civile, fra vicini di casa che si ritrovano improvvisamente nemici.

Nonostante questa escalation, lo scambio degli altri ostaggi è proseguito fino a ieri, sempre al tasso di cambio di uno ogni tre prigionieri palestinesi liberati. Ieri mattina sono state rilasciate da Hamas la ragazza franco-israeliana Mia Schem (catturata nel raid del Nova Festival) e Amit Soussana, avvocato, prelevata dal kibbutz di Kfar Aza. In serata sono tornati in Israele altre cinque ragazze (Shani Goren, Aisha Zaidna, Ilana Gritzewsky, Sapir Cohen, Nili Margalit) e un uomo (Belal Zaidna). Nella prima fase della tregua, Hamas ha rimandato a casa 50 ostaggi in cambio della scarcerazione di 150 prigionieri palestinesi, donne e minorenni, finiti in galera per vari reati di aggressione (ma esclusi quelli condannati per uccisioni e stragi terroristiche). Lo scambio è continuato ancora al ritmo di 1 giorno di tregua per ogni 10 ostaggi rilasciati. Nel mese di ottobre, le prime quattro donne erano state rilasciate. Mentre l’Idf può finora vantare solo una liberazione, quella del soldato semplice Ori Megidish, che era stato rapito il 7 ottobre.

Hamas dichiara che 60 ostaggi sono morti sotto le bombe israeliane. Fra questi vi sarebbe anche il più giovane dei loro prigionieri: Kfir Bibas, 10 mesi compiuti in cattività. Con lui sarebbero morti anche la madre Shiri e il fratello maggiore, Ariel, di 4 anni. Nessuno può verificare questa notizia. In compenso iniziano a trapelare le descrizioni delle condizioni di prigionia a Gaza. I racconti degli ex ostaggi parlano di poco cibo, condizioni igieniche disperate, malati cronici e anziani non curati, buio, isolamento, separazione dei figli dai genitori, donne e bambini tenuti in gabbia, torture fisiche e torture psicologiche. Alcuni bambini sono stati obbligati, ad esempio, ad assistere alle scene del massacro del 7 ottobre, riprese dai terroristi di Hamas, dove magari hanno assistito di nuovo alla tortura e uccisione dei loro genitori e parenti. Non è impossibile, dunque, che quei 60 morti denunciati da Hamas siano molti di più. E non siano tutti causati dalle bombe israeliane, ma anche dai maltrattamenti dei loro carcerieri.

Fino alle 5 di questa mattina (1 dicembre, per chi legge) pareva certo che la tregua dovesse essere prolungata per un altro giorno. Ma all'annuncio informale, a seguito della visita di Blinken in Israele, non sono seguite dichiarazioni ufficiali, né da parte di Hamas, né di Israele. Alle 5,30 della mattina gli allarmi anti-missile hanno di nuovo suonato nelle città del Sud di Israele per un lancio di razzi. L'aviazione ha ripreso immediatamente i bombardamenti su Gaza. Hamas e Israele si accusano a vicenda per aver violato il cessate-il-fuoco e la tregua è finita. Le operazioni di terra potrebbero ora coinvolgere anche il Sud della Striscia di Gaza, soprattutto Khan Younis (dove la popolazione ha ricevuto questa mattina l'avvertimento di lasciare le case), roccaforte storica di Hamas in cui potrebbe nascondersi ancora il leader del partito islamista a Gaza, Yahya Sinwar.