Ilva in ostaggio: nelle mani dei giudici
L'Ilva di Taranto non sembra trovare pace. Mentre a Londra è stato arrestato Fabio Riva, in Italia il Gip Patrizio Todisco ha confermato la decisione del Tribunale dell’Appello. Ancora una volta è stato detto no al dissequestro dell’acciaio.
Mentre il vice-presidente dell’Ilva, Fabio Riva, ricercato per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, emissione di sostanze nocive e avvelenamento da diossina di sostanze alimentari, viene arrestato a Londra e subito rilasciato dietro pagamento di cauzione – si discuterà l’estradizione nei prossimi 40-60 giorni – la Procura di Taranto, attraverso il Gip, Patrizio Todisco, conferma la decisione del Tribunale dell’Appello e dice ancora una volta no all’istanza di dissequestro dell’acciaio prodotto quando lo stabilimento doveva essere fermo.
Quell’acciaio vale sul mercato un miliardo di euro e serve anche per il pagamento degli stipendi di diecimila operai. Dichiara all’Ansa il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante: “Il blocco dei prodotti arriva a rendere ancora più difficile, direi drammatica, una situazione che si trascina ormai da parecchi mesi e quindi crea non poche difficoltà all'azienda. La premessa fondamentale da cui si deve partire – aggiunge – è l'affermazione forte da parte di tutti del rispetto della legge".
Nella vicenda, s’inserisce il Presidente della Regione Puglia, che, dopo aver invocato il “lodo” per la risoluzione del conflitto istituzionale, dichiara – siamo in campagna elettorale e ogni pretesto è buono: “I vertici Ilva, mentre continuano a rilasciare dichiarazioni di grande disponibilità, si guardano bene dal fare l’unica cosa che garantirebbe sia i lavoratori dello stabilimento siderurgico che tutte le imprese italiane della filiera dell’acciaio, messe in ginocchio dal blocco delle merci. Ilva non deve invocare semplicemente il dissequestro dei prodotti finiti, come tra l’altro ha già fatto nei giorni scorsi, ma deve chiedere invece che le merci siano vendute e che il ricavato sia espressamente vincolato al pagamento degli stipendi e agli investimenti da realizzare per l’applicazione dell’Autorizzazione integrata ambientale. Sarebbe un primo atto concreto di apertura e di dialogo”.
Puntuale arriva la risposta dell’Ilva, che presenta un'istanza alla Procura della Repubblica di Taranto "con la quale chiede la revoca del provvedimento di sequestro preventivo disposto in data 22 novembre 2012, con l'impegno di destinare le somme ricavate dalla commercializzazione del prodotto sequestrato alle opere di ambientalizzazione previste dall'Aia, alla remunerazione delle maestranze e a quanto altro necessario per la sopravvivenza dell'azienda".
Fin qui, la ricostruzione delle ultime ore, rispetto alla quale si deve aggiungere l’elemento centrale: la decisione della Procura di Taranto, di sollevare il problema della costituzionalità del decreto “salva-Ilva” e di rinviarlo alla Corte Costituzionale, rispondendo così al Governo, che venerdì scorso, a conclusione di una riunione straordinaria del Consiglio dei Ministri, aveva chiesto alla magistratura di togliere i sigilli proprio sulla base del decreto emanato.
C’è chi pensa a un nuovo decreto e anche chi – il Procuratore di Taranto, Sebastio – dichiara: "Stiamo valutando col procuratore generale della corte d'appello di Lecce Giuseppe Vignola di incontrare il ministro dell'Ambiente, dopo gli incontri istituzionali con azienda, enti locali e sindacati".
Un proposito per lo meno irrituale, quello di un Procuratore della Repubblica che intende incontrare il rappresentante del Governo, dopo aver tra l’altro dichiarato: "Il mio unico lodo è il Codice di procedura penale e la Costituzione".
Eravamo rimasti al tempo in cui i magistrati parlavano solo attraverso le sentenze e non partecipavo a incontri istituzionali durante l’attività istruttoria o i procedimenti in corso e, per di più, dopo essersi schierati apertamente contro il provvedimento del Governo, che pur prevedendo " sanzioni e interventi diretti che potrebbero togliere valore alla proprietà, fino alla perdita del controllo", come aveva sostenuto il Ministro Passera dopo la sua approvazione, ha avuto per lo meno il merito di fornire gli strumenti per dare riparo alla situazione di totale caos che è stata prodotta. Una situazione che lacera il tessuto sociale della città – diecimila lavoratori senza stipendio vogliono dire diecimila famiglie in situazione di grande difficoltà – e rispetto alla quale si teme l’esplosione di una crisi ancora più grave.
Il segnale dei 500 poliziotti inviati a Taranto in queste ore è poi di un certo rilievo. Sono anche altri gli elementi inquietanti di questa vicenda.
Un elemento decisivo l’ha fornito Stefano Lorenzetto in un articolo apparso su “Il Giornale” del 16 gennaio, che riguardava la questione centrale dell’inchiesta dei giudici di Taranto: il supposto inquinamento ambientale prodotto dal polo siderurgico.
Come abbiamo già evidenziato, dalla perizia commissionata dai giudici di Taranto e da un altro studio – il più autorevole in materia – non si evince alcun nesso di causa e effetto tra la produzione dell’ILVA e la crescita del numero dei tumori. Ebbene, Lorenzetto ha intervistato l’avvocato Marco De Luca, difensore di Emilio Riva, fondatore dell’Ilva, 86 anni (!), da 173 giorni privato della libertà personale, accusato di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro, corruzione in atti giudiziari.
“Riva respinge le accuse con sdegno – ha affermato l’avvocato De Luca – ma quel che dice Riva ha poca importanza. Quelli che contano sono i pareri dei periti Mauro Sanna, Roberto Monguzzi, Nazzareno Santilli e Rino Felici, nominati dal giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco. I quali, a proposito delle emissioni inquinanti, hanno escluso violazioni delle leggi”. Il gip aveva posto ai periti vari quesiti. Il più importante era il quarto, volto ad accertare se l'Ilva spargesse nell'aria diossine e altri inquinanti oltre i limiti in vigore. “Risposta dei periti: concentrazioni inferiori ai valori di riferimento. – aggiunge l’avvocato –. Per gli Ipa, idrocarburi policiclici aromatici, i quattro luminari hanno attestato che le analisi e i monitoraggi indicano concentrazioni inferiori ai valori obiettivo previsti dalle norme per la qualità dell'aria. Per le diossine e i metalli, i controlli non hanno evidenziato concentrazioni di inquinanti superiori a quanto previsto dal decreto legislativo 152 del 2006.
Tutte conclusioni ribadite nell'udienza con giudice, pubblico ministero e difesa, nel corso della quale il perito Felici ha dichiarato a verbale: per quanto riguarda il quarto quesito, noi abbiamo risposto che l'Ilva rispetta le normative. Non basta: Felici ha anche aggiunto che l'Ilva rispetta tutte le prescrizioni dell'Aia, autorizzazione integrata ambientale. È grazie a un'Aia che l'acciaieria di Taranto è tornata a produrre, sia pure a scartamento ridotto, dopo il decreto con cui il governo Monti ha rimesso in funzione l'impianto che era stato sequestrato dal Gip.
Quanto alle diossine, per le quali non esistono limiti di legge, il perito Monguzzi ha dichiarato che secondo la letteratura scientifica sono valori entro i limiti accettabili. Richiesto di specificare se tali valori siano elevatissimi, elevati, medi o bassi, Monguzzi ha risposto: medio-bassi.
Sulle emissioni di polveri, il suo collega Felici ha spiegato che gli impianti stanno abbondantemente dentro i parametri previsti dalle normative vigenti”.
Domanda: se tutto questo è vero – e non vi sono dubbi sul resoconto di quanto dichiarato in udienza – e se è vero quello che hanno detto sotto giuramento i periti nominati dal Tribunale, su quali elementi di fatto si basano i provvedimenti dei giudici di Taranto?