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Il santo che unì fede e ragione: san Tommaso da Dante a de Wohl

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Nel Paradiso dantesco l'Aquinate appare tra gli spiriti sapienti, mentre ne La liberazione del gigante torna nel cuore del XIII secolo, in cui la minaccia più grande alla cristianità non è militare ma filosofica.

Cultura 22_12_2025

Il Doctor Angelicus che illuminò Dante
Nel 1226, nel castello di Roccasecca, nasce un giovane destinato a cambiare per sempre il volto della filosofia cristiana: Tommaso d’Aquino. Domenicano per vocazione, formatosi tra Parigi e Colonia, maestro nelle università più prestigiose del suo tempo, Tommaso conquista presto il titolo di Doctor angelicus. Le sue opere – dalla Summa theologiae alla Summa contra gentiles – diventano architravi del pensiero occidentale. Quando muore nel 1274, il suo influsso è già così profondo che Dante lo porterà con sé nella costruzione della Divina Commedia.

Il teologo che parla nel Paradiso
Nel poema dantesco Tommaso non è solo un riferimento dottrinale: è un personaggio vivo. La sua impronta si avverte nel Purgatorio, dove la dinamica dell’amore – che può deviare per oggetto, per debolezza o per eccesso – riecheggia la sua analisi morale. E nel Paradiso, fin dal primo canto, Beatrice riprende la sua visione dell’universo come ordine che tende a Dio.
Ma è nel cielo del Sole che Tommaso appare in tutta la sua autorevolezza. Dante lo incontra tra gli spiriti sapienti, in una corona di anime splendenti che cantano all’unisono. È lui a farsi avanti, a presentarsi con voce colma di carità, a introdurre Alberto Magno e soprattutto a narrare la vita di san Francesco nel celebre canto XI. Se in terra fu uomo discreto, in Paradiso diventa guida e narratore.

La bellezza come via alla verità
La filosofia del bello elaborata da Tommaso attraversa l’intera Commedia. Per lui, bello e buono coincidono nella forma, pur parlando a facoltà diverse dell’uomo: il bene all’appetito, il bello all’intelletto. Il bello è una proprietà dell’essere, accanto al vero e al bene, e si manifesta attraverso tre condizioni: integrità, proporzione e splendore.
È una bellezza che non si analizza: si contempla. Si impone allo sguardo con la sua armonia e la sua luce, e proprio per questo diventa via di conoscenza. Il piacere estetico, disinteressato, nasce dalla contemplazione e rimanda all’universale. Per Tommaso, fermarsi al particolare senza coglierne il significato è un inganno: ogni ente possiede una bellezza intrinseca, anche quando non siamo capaci di vederla.
Nella Commedia, questa visione diventa struttura poetica. La bellezza non è ornamento, ma strada: conduce l’uomo oltre sé stesso, verso la verità. Dante fa della filosofia tomista un linguaggio poetico, trasformando concetti in immagini, dottrina in canto. Così, attraverso Tommaso, la bellezza diventa il ponte che unisce l’intelligenza umana al desiderio dell’eterno.

Tommaso visto da de Wohl: il gigante liberato
Se Dante colloca Tommaso tra gli spiriti sapienti del Paradiso, Louis de Wohl lo riporta sulla terra, nel cuore drammatico del XIII secolo, restituendogli carne, voce e battito. Nel romanzo La liberazione del gigante, lo scrittore non si limita a raccontare la vita del Doctor angelicus: lo mette in scena come un uomo interamente determinato da un amore, quello per Cristo, che orienta ogni gesto, ogni scelta, ogni pagina scritta.
De Wohl non entra nel merito tecnico della Summa, ma mostra ciò che la genera: una mente che pensa perché ama, un’intelligenza che si inchina alla verità prima di cercarla. Il Tommaso del romanzo è il giovane che sfida la sua famiglia pur di seguire la vocazione domenicana; è il frate assorto che, nel mezzo di un banchetto reale, colpisce la tavola per fissare un’intuizione filosofica; è l’uomo che, davanti al Crocifisso, rifiuta ogni ricompensa tranne una: «Te, Signore».

La grande battaglia del XIII secolo
Il romanzo si svolge in un’epoca in cui la cristianità non è un concetto astratto, ma una realtà contesa. La minaccia più grande non è militare, bensì culturale: l’averroismo latino, che separa ragione e fede, rischia di scardinare l’unità dell’esperienza cristiana. Tommaso, purificando Aristotele dalle letture distorte, restituisce alla ragione la sua dignità e alla fede la sua intelligibilità. È questa la «liberazione del gigante»: liberare Aristotele dagli equivoci, e liberare l’uomo dalla tentazione di una ragione che non vuole più guardare il cielo.

Federico II, l’antitesi del santo
Accanto al santo, de Wohl colloca il suo opposto: l’imperatore Federico II. Geniale, affascinante, ma divorato da un io che vuole farsi dio, Federico incarna la ragione che si chiude, che non riconosce dipendenze, che si ammala di sé stessa. La sua parabola, che si conclude con una confessione amara – «ho commesso un solo peccato: volevo essere Dio» – diventa il negativo fotografico della vita di Tommaso. Dove il santo vede ordine, l’imperatore vede dominio; dove Tommaso riconosce un Altro, Federico riconosce solo sé stesso.

Un ponte verso il lettore di oggi
Il personaggio inventato di Piers Rudde, cavaliere inquieto, permette a de Wohl di mostrare come la lezione di Tommaso non sia riservata ai teologi. L’amore umano, la ricerca della felicità, il desiderio di compimento: tutto trova senso solo se radicato in un amore più grande. Tommaso non parla solo ai dotti, ma a chiunque cerchi una vita piena.



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