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LA PREGHIERA IN SAN PIETRO

Il Papa: «Per ottenere la pace bisogna disarmare i cuori»

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Papa Leone XIV ha presieduto l'11 ottobre la veglia di preghiera per la pace. Nel Giubileo della Spiritualità Mariana ha accolto la statua della Madonna di Fatima. Il vaticanista Gianfranco Svidercoschi spiega il ruolo centrale della Chiesa nel prossimo processo di pace.

Ecclesia 13_10_2025
Papa Leone XIV benedice la statua della Madonna di Fatima (La Presse)

Nel tardo pomeriggio di sabato il Papa ha presieduto la veglia di preghiera e il rosario per la pace nel mondo. Un'iniziativa che arriva al termine di una settimana storica per l'annuncio del presidente Donald Trump che ha convinto Israele ed Hamas a firmare la prima fase del suo piano di pace a Gaza.

A suggello del Giubileo della Spiritualità Mariana era presente in piazza San Pietro anche la statua originale della Madonna di Fatima portata in processione dalla vicina chiesa di Santa Maria in Traspontina. Prima della veglia, il Pontefice ha deposto la Rosa d'oro - simbolo della benedizione papale - ai piedi della statua e si è poi raccolto in preghiera. «A lei, madre amorosissima - ha detto Leone XIV introducendo la veglia - rivolgiamo la nostra preghiera perché custodisca in noi l'immagine del suo Figlio e, sotto la sua protezione, possiamo vivere da fratelli e sorelle, divenendo così, in un mondo lacerato da lotte e discordie, artigiani di pace».

L'evoluzione della questione mediorientale ha reso particolarmente azzeccata la collocazione di questo Giubileo della Spiritualità Mariana. Il Papa ha esortato ad essere «perseveranti e concordi» nell'«intercedere per la pace, dono di Dio che deve diventare nostra conquista e nostro impegno». La preghiera rivolta alla Madonna che insegna come sopportare «le infinite croci del mondo». Il Papa ha menzionato il Vangelo di Giovanni per ripetere l'ordine «metti via la spada» che rivolge ai potenti del mondo: «abbiate l'audacia del disarmo». Ma anche a tutti gli uomini  «per farci sempre più consapevoli che per nessuna idea, o fede, o politica noi possiamo uccidere». Leone ha ricordato che occorre  «disarmare prima di tutto (...) il cuore» perché «se non c'è pace in noi, non daremo pace».

La veglia di sabato è stata organizzata anche per commemorare i 63 anni dall'inaugurazione del Concilio Vaticano II. Un testimone di quella giornata (e delle successive) è Gianfranco Svidercoschi, decano dei vaticanisti e collaboratore di San Giovanni Paolo II, che 63 anni fa riuscì a «beffare» l'extra omnes infilandosi in un confessionale della Basilica di San Pietro dal quale assistette alla prima congregazione generale. Svidercoschi crede che Leone XIV debba attingere all'eredità del Concilio per parlare più efficacemente di pace. «In pochi hanno notato che il diciottesimo dei venti punti del Piano Trump per la pace a Gaza si parla di avviare "un processo di dialogo interreligioso, fondato sui valori di tolleranza e della pacifica convivenza, per cercare di cambiare mentalità e narrazioni di palestinesi e israeliani, sottolineando i benefici che possono derivare dalla pace"».

Alla Nuova Bussola l'ex vicedirettore de L'Osservatore Romano confida di credere che questo compito spetti alla Chiesa Cattolica. «In questo campo la Chiesa Cattolica ha più credibilità di chiunque altro grazie alla Nostra aetate e alle parole positive che vi si affermano a proposito sia della religione musulmana che di quella ebraica». Lo storico vaticanista consiglia a Leone XIV di utilizzare quella dichiarazione conciliare come «pagina da cui partire» perché la Chiesa Cattolica «essendo rimasta fuori dalle contese, può aiutare la riconciliazione delle comunità religiose che al loro interno hanno conosciuto radicalizzazioni in questi tempi».

Svidercoschi invece boccia l'intervista dello scorso 7 ottobre rilasciata dai canali ufficiali dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e che ha fatto arrabbiare Israele: «il contenuto poteva pure essere tutto giusto, ma sono stati sbagliati i modi e i tempi. La Chiesa deve trovare un'altra maniera di essere presente e quindi deve rinunciare a dichiarazioni "politiche" perché la diplomazia pontificia non è la diplomazia degli altri Stati». Il giornalista amico di Wojtyła si dice convinto che «la Chiesa Cattolica avrà un ruolo fondamentale nella ricostruzione al termine del conflitto mediorientale ma solo se insisterà sulla dimensione spirituale e sulla riconciliazione tra le due religioni, come ha insegnato il Concilio».