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LE PAROLE DEL PARTIGIANO

Il pacifismo incondizionato è nichilista

Maffeo Marinelli, partigiano di 97 anni, consiglia agli ucraini di arrendersi e afferma che “non c’è territorio per cui valga la pena uccidere o morire”. Ma ciò è falso, se ricorrono precise condizioni e quel territorio è la Patria ingiustamente attaccata, con il suo popolo, la sua cultura, la sua Fede. Se non c’è nulla per cui vale la pena morire, non c’è nulla per cui vale la pena vivere.

Editoriali 16_03_2022

E il partigiano intimò: “Arrendetevi!”. Ma il comando non era rivolto ai fascisti, bensì al popolo ucraino. Un filo-Putin? Macché, solo un irriducibile pacifista. Stiamo parlando di Maffeo Marinelli, 97 anni, uno degli ultimi partigiani ancora in vita. Intervistato dall’Ansa ha dichiarato: “Ai ragazzi ucraini che stanno combattendo dico di arrendersi. Solo se loro si salveranno, potranno salvare l’umanità”. Non chiede che nessuno vada in guerra, ma di certo gli ucraini no: “Guai pensare di andare tutti in guerra”.

Curioso che a chiedere la resa sia un ex combattente, tra l’altro arruolato tra i partigiani rossi che, come è noto, più che arrendersi spesso ne combinarono più di crude che di cotte (ma ovviamente non includiamo il Marinelli). Il Nostro chiede la resa incondizionata perché è certo che Putin si farà fuori da sé per mezzo di un misterioso piano divino: “Agli ucraini dico di finirla qui, smettete di combattere e fatevi da parte, ci penserà Dio alla vostra terra. […] Sono sicuro che [Putin] si eliminerà da solo. Arriverà un momento in cui sarà lui stesso a mettersi in ginocchio e chiedere di essere ammazzato. Non potrà continuare a vivere con questo fardello addosso”. Un po’ azzardata come strategia.

Poi fa capolino un altro motivo per cui è bene che gli ucraini depongano le armi: “So cosa significa stare in guerra, ma non c’è territorio per cui valga la pena uccidere o morire”. Dunque pare proprio che il Marinelli si sia pentito della sua militanza nei partigiani per salvare la Patria dai nazifascisti. È bene che l’Anpi lo sappia.

Il succo del discorso è sempre quello: ogni guerra, per il fatto stesso che è una guerra, è ingiusta (lo si sente dire anche nelle preghiere dei fedeli a Messa). Da queste colonne Stefano Fontana ha già spiegato che la guerra difensiva è invece lecita e a volte doverosa, perché difendersi è in sé un atto buono. Ciò non significa che sia sempre lecita. Occorre rispettare dei criteri, tra cui il principale è quello di proporzionalità (che include il criterio di necessità). Se ad esempio una nazione si rende conto che la guerra è persa, sarebbe inutile continuarla, il gioco non varrebbe la candela (oppure un valido motivo per continuarla per un certo periodo potrebbe essere quello di permettere la fuga dei civili). Questo sembra il giudizio di Vittorio Feltri sul conflitto in corso, il quale alla trasmissione L’aria che tira ha sentenziato: “Se Zelensky si fosse arreso il giorno dopo non sarebbe successo niente. Non puoi fare la guerra contro un gigante se sei un nano, è sicuro che la perderai. Quindi anche continuare a invocare degli aiuti significa solo prolungare l’agonia e non certo porre fine ai combattimenti. Io sono dell’idea che è meglio una resa onorevole piuttosto che una tomba”. Su Libero ha ribadito il concetto: “Vorremmo anche suggerire a Zelensky di non fare il bullo, lasci perdere. Meglio sconfitti che morti”. Ora, non abbiamo la stoffa degli analisti militari per concludere che l’Ucraina è sicuramente spacciata e che dunque si sta esponendo ad una carneficina di militari e civili inutile. Dunque non possiamo dare torto o ragione a Feltri.

Possiamo invece dare torto al Marinelli, seppur con tutto il rispetto che la sua età esige, perché è falso affermare “non c’è territorio per cui valga la pena uccidere o morire”, in cui la parola territorio significa Patria. Vale invece la pena di morire e di uccidere l’ingiusto aggressore per difendere la Patria, seppur nei limiti indicati dall’articolo di Fontana, perché è giusto difendere anche manu militari un intero popolo, le sue tradizioni, il suo portato culturale e soprattutto la sua Fede, ossia la sua identità.

Possibile che in questa nostra decadente modernità non ci sia più niente per cui valga la pena di morire e quindi di vivere? E sì, perché se non trovi un qualcosa che è più importante della tua vita fisica, vuol dire che non ci sarà nulla per cui vale la pena continuare a vivere. Lo ripetiamo: se non c’è nulla per cui vale la pena di morire, non ci sarà nulla per cui vale la pena di vivere. Ed infatti oggi l’unico motivo per cui è lecito morire è il dolore insopportabile che nasce proprio quando la vita perde senso. E la vita perde senso quando pensi solo alla conservazione, seppur nella sua forma migliore (leggi: benessere), della tua vita fisiologica. “Senso” significa direzione, scopo e quindi speranza. Se uno non ha più una meta, un motivo per vivere, la vita diventa in-sensata e dunque ha trovato l’unico motivo per morire. Perdere il senso della vita, vuol dire perdere il significato della stessa: vuol dire perdere la vita. E se il sale perde il suo sapore è buono solo per essere buttato via.

Il pacifismo incondizionato è frutto di una visione nichilista della vita dove non c’è nulla di così importante da esigere una difesa spinta al sacrificio di sé e dell’ingiusto aggressore. Una vita quindi priva di orizzonti ultramondani, di spessore morale, di gusto spirituale, di valori trascendenti ossia che trascendono la mera vita fisiologica (la vita nuda), una vita vuota o semmai ridotta ai minimi termini. Allora chi esalta la pace senza se e senza ma, non esalta la vita, bensì la morte. La resa incondizionata a chi attenta a ciò che dovresti aver di più caro, comporta a monte la resa di fronte all’amore per ciò che dà sapore alla vita. E una vita insipida non solo non sprona alla difesa della stessa, ma inclina alla sua dissoluzione. Per paradosso allora il pacifista diventa l’ingiusto aggressore della vita stessa.