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LA STORIA

Il martirio del clero polacco sotto il nazismo

Il 29 aprile in Polonia, su iniziativa dei vescovi, si è celebrata la Giornata del martirio del clero polacco, in ricordo delle persecuzioni naziste che causarono la morte di 2812 tra sacerdoti e religiosi e della liberazione, nel 1945 (dopo un voto a san Giuseppe), del campo di concentramento di Dachau. Solo pochissimi sopravvissero a quell’inferno, come mons. Majdański, che testimoniò il carattere anticristiano del nazismo e la fede di coloro che condivisero con lui quell’esperienza.

Ecclesia 30_04_2021

L’invasione della Germania di Hitler ai danni della Polonia (1 settembre 1939), che segnò l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, era finalizzata allo sterminio della nazione polacca per colonizzare le sue terre e annetterle al Terzo Reich. La Germania ha implementato gradualmente questi piani distruggendo l’élite intellettuale della nazione, appropriandosi delle risorse materiali, agricole e industriali polacche, sfruttando la Polonia come fonte di materie prime e manodopera a basso costo. Durante l’occupazione tedesca la gente veniva spostata forzatamente, arrestata durante le retate e uccisa.

Successivamente, cominciò un vero e proprio sterminio della popolazione polacca ed ebraica. Prima della guerra la popolazione della Polonia ammontava a 35 milioni di abitanti: alla fine della guerra ne rimasero 24 milioni. La persecuzione riguardò anche il clero. In diverse forme di repressione furono coinvolti 6565 uomini di Chiesa di cui 2812 morirono, tra cui 4 vescovi, 1863 sacerdoti diocesani, 289 religiosi, 149 seminaristi, 205 fratelli e 289 suore. Il 20 per cento dei sacerdoti diocesani fu assassinato durante la Seconda Guerra Mondiale, cioè un sacerdote diocesano su cinque perse la vita nella Polonia occupata dai nazisti tedeschi.

Il simbolo del martirio del clero polacco è il campo di concentramento a Dachau, vicino a Monaco, dove furono imprigionati in totale 2801 ecclesiastici di cui 1773 provenivano dalla Polonia: sono morti 1034, di cui 868 polacchi. Per questo motivo il 29 aprile, nel giorno della liberazione di Dachau da parte dell’esercito degli Stati Uniti (29 aprile 1945), su iniziativa della Conferenza episcopale polacca viene celebrata la Giornata del martirio del clero polacco durante la Seconda Guerra Mondiale.

Solo pochissimi sopravvissero all’inferno di Dachau. Tra loro c’erano anche sacerdoti ben conosciuti successivamente: il cardinale Adam Kozłowiecki, arcivescovo di Lusaka; monsignor Kazimierz Majdański, arcivescovo di Stettino-Kamień, padre Marian Żelazek, missionario, apostolo dei lebbrosi in India, e monsignor Ignacy Jeż (Benedetto XVI voleva onorarlo con la dignità cardinalizia, ma Jeż è morto alla vigilia dell’annuncio della nomina nel novembre 2007).

Chi scrive ha avuto l’occasione di sentire i ricordi di mons. Majdański nel 2004 (è morto nel 2007). Majdański, allora alunno del seminario di Wloclawek, fu arrestato il 7 novembre 1939 insieme con altri alunni e professori del seminario. Fu rinchiuso nel campo di concentramento di Sachsenhausen prima e Dachau dopo. All’ingresso del campo di Dachau, come anche ad Auschwitz, si trovava la scritta: “Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi). “Ma - come ricordava il monsignore - il lavoro disumano al freddo d’inverno e caldo d’estate, con insufficienti razioni di cibo, con percosse e umiliazioni doveva servire a distruggere l’uomo. Alla fine, quando la persona non era più in grado di lavorare veniva spedita con i cosiddetti ‘trasporti degli invalidi’ alle camere a gas. Nelle intenzioni di chi costruì i campi di concentramento i prigionieri dovevano uscire dal campo con il fumo del forno crematorio”.

Dai racconti di mons. Majdanski si capisce il carattere anticristiano del nazismo tedesco: “Pensavamo - diceva il monsignore - che fossero tornati i tempi di Nerone e Diocleziano, i tempi dell’odio verso il Cristianesimo e tutto quello che il Cristianesimo rappresentava. Il campo di concentramento era l’incarnazione della civiltà della morte: non a caso sulle uniformi dei tedeschi si trovavano i teschi! I nostri carnefici tedeschi bestemmiavano Dio, denigravano la Chiesa e ci chiamavano i ‘cani di Roma’. Ci volevano costringere ad oltraggiare la croce e il rosario. In fin dei conti per loro eravamo soltanto numeri da eliminare”. Per i sacerdoti fu una prova terribile: “Ci rimaneva l’alleanza con Dio, la preghiera recitata di nascosto, la confessione fatta di nascosto”. In questa “macchina della morte” i sacerdoti erano chiamati al sacrificio della vita, ad essere fedeli fino alla morte. Soffrivano anche tanto per l’impossibilità di celebrare la santa Eucaristia.

Mons. Majdański ricordava un’iniziativa di due sacerdoti, padre Stefan Frelichowski e padre Boleslaw Burian, che “crearono una specie di alleanza i cui membri si impegnavano a sopportare in modo più consono con lo spirito del Vangelo tutte le umiliazioni e le sofferenze del campo, e a rendere conto di tutto ciò alla Madonna alle 21 di ogni sera”. Padre Frelichowski, quando scoppiò l’epidemia di tifo, si offrì volontario per servire gli ammalati. Morì dando la vita per gli altri, come san Massimiliano Kolbe.

Le sofferenze dei prigionieri furono tante. Non soltanto il lavoro disumano, la fame, le malattie e il freddo ma anche gli pseudo esperimenti medici. A Dachau un certo professor Schilling sperimentava sui prigionieri la reazione dell’uomo alle varie sostanze che venivano iniettate nei loro corpi. Mons. Majdański fu una di queste cavie: “Prima di andare a sottopormi agli esperimenti avevo chiesto al mio professore del seminario di informare i miei parenti della mia morte e gli avevo lasciato il mio ‘tesoro’, due fette di pane vecchio. Se sono sopravvissuto è un vero miracolo”. (I ricordi di mons. Majdański sono stati pubblicati in Italia nel libro Un vescovo nei lager - Edizioni Ares).

Il 22 aprile 1945, i sacerdoti polacchi rinchiusi a Dachau, che avevano una grande devozione a San Giuseppe, giurarono che, se fossero sopravvissuti, avrebbero compiuto pellegrinaggi al santuario di S. Giuseppe a Kalisz. Il campo di Dachau fu liberato una settimana dopo (29 aprile 1945) dall’esercito americano e i sacerdoti sopravvissuti mantennero la promessa fino alla fine della vita di ognuno di loro.

Nel 1995, nel 50° anniversario della liberazione del campo, Giovanni Paolo II scriveva ai sacerdoti sopravvissuti a Dachau: “In un tempo di superbia e umiliazione, in un posto dove infuriava il male, siete rimasti saldi e fedeli. Nell’abisso della crudeltà e dell’odio, dove si è deciso di distruggere biologicamente l’uomo, di calpestare la sua dignità, siete stati coraggiosamente ed eroicamente gli unici testimoni dell’amore, del perdono, come araldi di una nuova civiltà basata sulla verità, la bontà, il rispetto per la vita e giustizia”.

Ricordando le vittime del nazismo anticristiano non dobbiamo scordarci il martirio del clero, anche il clero polacco che pagò un prezzo altissimo per la sua fedeltà a Cristo e alla Patria nell’inferno dei campi di concentramento.