Il governo britannico indaga (tardi) sugli stupri delle gang pakistane
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Gang di pakistani hanno violentato serialmente ragazze e ragazzine, spesso minorenni, a Rotherham e in altre quindici città inglesi. Chi indagava rischiava l'accusa di razzismo. Ora il governo avvia un'indagine, a quasi vent'anni dai fatti.

In queste ore, l’inquilino del numero 10 di Downing Street, dopo una clamorosa piroetta su se stesso, ha annunciato la prima vera inchiesta governativa a livello nazionale sulle ‘grooming gangs’ - ovvero le gang dello stupro pakistane che per anni hanno imperversato nel Regno Unito. La storia ormai è nota: tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Dieci del 2000, gruppi di islamici hanno abusato di migliaia e migliaia di ragazzine, per lo più minorenni, nella Gran Bretagna modello del perfetto multiculturalismo coperti dal politicamente corretto.
Si tratta di un caso che il premier Starmer conosce bene dal momento che, quand’era avvocato della pubblica accusa, aveva avuto casi del genere sulla scrivania. Quando però, complici una serie di post di Elon Musk a seguito di una battaglia condotta da politici locali e gruppi di cittadini, la questione è tornata, lo scorso gennaio, di dominio pubblico, Starmer s’è opposto ostinatamente alla commissione d’inchiesta con la scusa che avrebbe potuto ostacolare o rallentare i processi penali in corso. Ma le pressioni sul governo sono state tante e tali che Sir Keir senza alternative ha dovuto affidare alla baronessa Louise Casey un’ispezione sul tema senza il potere di indagine, ma limitata all’analisi e allo studio documentale. Pubblicata il 16 giugno, il primo ministro, per non rimediare un’altra brutta figura ed essere platealmente smentito dalla sua stessa esperta, ha deciso di anticipare i tempi e annunciare l’apertura di una inchiesta seria. La prima firmata dal Governo.
A gennaio, Sir Keir bollava come opportunisti quanti chiedevano un’inchiesta nazionale accusandoli di «salire sul carro dei vincitori e di amplificare le richieste dell’estrema destra». Oggi, che il rapporto devastante ha confermato come forze dell’ordine, servizi sociali e autorità locali abbiano per anni eluso o distorto le responsabilità legate allo sfruttamento sessuale minorile da parte di gruppi pakistani in decine di città inglesi, il primo ministro ritratta, «Per me questo è un modo pratico e di buon senso di fare politica».
Non si tratta di un’inchiesta giudiziaria, ma di una valutazione istituzionale volta a riformare un sistema paralizzato dalla paura di affrontare realtà scomode per timore di essere accusati di razzismo. Lo stesso timore che ha colpito tutti i governi conservatori che si sono susseguiti in questi decenni e che li ha portati a non indagare mai fino in fondo.
Il nuovo documento firmato Casey contiene 12 raccomandazioni e prevede una verifica tra sei mesi sui progressi dell’inchiesta, destinata a durare tre anni. L’obiettivo è raccogliere dati sistemici, coinvolgere i territori e proporre riforme legislative.
Ovviamente il tempismo non è casuale. Il cambio di strategia del premier è legato alle vicende di Ballymena. La settimana scorsa, la cittadina dell’Irlanda del Nord, è stata teatro di raid casa per casa a caccia di immigrati. Gli scontri sono stati così violenti da spingere i residenti a esporre bandiere inglesi per protezione. Gli abitanti di Ballymena erano scesi in piazza quando hanno saputo, dalla caserma, che i due quattordicenni accusati di molestie sessuali su una ragazzina, avevano fatto cercare un’interprete di lingua romena. Diversamente dall’Italia, nel Regno Unito notizie simili trapelano solo in modo indiretto, poiché il governo impone di omettere l’origine dei sospettati onde evitare proteste e violenze di piazza vista l’esasperazione diffusa.
Ma la realtà continua a battere propaganda e buonismo sugli immigrati clandestini, anche nella Gran Bretagna guidata dai laburisti di Keir Starmer. Dopo i disordini in Irlanda del Nord, e dopo le “condanne esemplari” richieste dal governo laburista per chi osa criticare l’immigrazione incontrollata, a costo di entrare in rotta di collisione con la comunità islamica, è dall’esasperazione che ricomincia l’inchiesta contro le bande di pakistani.
La cronaca di questi giorni sembra riportarci indietro nel tempo. Sono oltre vent’anni che Lousie Casey riceve incarichi dai governi. Il primo fu Blair, poi, nel 2015, Cameron la chiamò ad investigare per la prima volta sugli abusi islamici. «Cose terribili sono avvenute a Rotherham». Iniziava così, come in una fiaba lugubre, il primo rapporto della funzionaria Louise Casey sulla città zero per lo scandalo degli abusi pakistani. In quelle pagine si denunciava per la prima volta come uomini di origine pakistana fossero stati lasciati liberi di abusare di centinaia di ragazzine bianche, mentre chi doveva indagare taceva per paura di essere accusato di razzismo. Alcuni esponenti laburisti locali ammisero le proprie responsabilità, come Denis MacShane, che confessò «da lettore del Guardian e liberal di sinistra ho paura di affondare il barcone multiculturale».
La baronessa Casey da militante di Amnesty International e beniamina dei senzatetto è stata anche la prima a denunciare i danni dell’ideologia multiculturalista sostenendo che un giorno non troppo lontano si arriverà a vietare il Natale nel Regno Unito. Sarà stato l’aver visto da vicinissimo le minacce del politicamente corretto. O il trauma delle oltre 1500 ragazzine, spesso undicenni, abusate da islamici, ma oggi grazie a lei la storia inglese inizia un nuovo capitolo. E farà scuola per tutto l’Occidente.
Il caso venne portato per la prima volta alla luce da Andrew Norfolk, un giornalista del Times, morto all’improvviso lo scorso maggio. Dal suo primo reportage, pubblicato nel 2011, lo scandalo si è arricchito di particolari raccapriccianti. Quando iniziarono i primi processi, li seguimmo per scoprire una storia che nessuna della migliori (peggiori) serie Tv è mai riuscita neanche ad emulare: Rotherham, Oxford, e poi Bristol, Derby, Rochdale, Telford, Peterborough, Keighley, Halifax, Banbury, Aylesbury, Leeds, Burnley, Blackpool, Middlesbrough, Dewsbury, Carlisle, Liverpool, Manchester, più di quindici le città di una delle patrie per eccellenza del ‘multikulti’, il Regno Unito, appunto, in cui musulmani di origine pakistana e afghana andavano deliberatamente a caccia di bambine e ragazzine bianche colpevoli di essere bianche. Non interessava loro l’integrazione, ma, come nella migliore delle tradizioni islamiche, le città che adesso abitavano erano diventate Dar al-Arab, territorio da controllare. E quindi tutto era a loro disposizione.
Le ragazze che cercavano di opporsi agli stupri venivano picchiate, minacciate di morte, talvolta cosparse di benzina o scaraventate da veicoli in corsa. Ma anche le famiglie che denunciavano subivano ritorsioni tra incendi e minacce. Dall’altra parte il silenzio sordo di forze dell’ordine, magistratura, servizi sociali e rappresentanti politici (quasi sempre laburisti o liberal) che contavano sul voto delle minoranze e si sottraevano al proprio dovere per timore di fare i conti con le accuse di razzismo e islamofobia nella prigione culturale e mediatica del politicamente corretto.
Basti pensare che Ann Cryer fu isolata dal labour già nel 2002 per aver sollevato il problema; il giornalista Andrew Norfolk subì accuse di razzismo e minacce, mentre Sarah Champion fu espulsa dal Labour e premiata come “islamofoba dell’anno” per aver denunciato l’esistenza delle gang pakistane.
A dieci anni di distanza dai primi processi, sono stati condannati circa cinquanta pakistani. Gli ultimi sette proprio pochi giorni fa. Un paio erano stati deportati ancora sotto il governo di Theresa May dopo essere apparsi davanti a ben dodici giudici prima di venir rimandati nei loro paesi d’origine.
I fatti da cui riparte il Paese non sono stati solo il fallimento delle forze dell’ordine del Regno Unito. Ma il riflesso del collasso morale della nostra epoca pseudo-multiculturale e dei suoi doppi standard: uno per i nativi e un altro per gli stranieri presumibilmente vittime del colonialismo occidentale, e che quindi non sono mai responsabili delle proprie azioni.
Resta solo una domanda: che cosa tirerà fuori l'inchiesta governativa rispetto a tutto quello che già si sa?