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ESEGESI MODERN(IST)A

Il Gesù "poco cristiano" di padre Meier

Muore il biblista padre John Paul Meier, esponente di quella esegesi "riduzionista" (già denunciata da Leone XIII) che voleva limitare al massimo la divinità di Cristo: poco più che un personaggio storico, anzi un "ebreo marginale", nell'opera di padre Meier.

Ecclesia 22_10_2022

Il 18 ottobre è morto John Paul Meier, biblista e sacerdote americano. La sua morte ci obbliga a ripensare ai tortuosi percorsi dell’esegesi biblica negli ultimi due secoli e spiccioli, un tempo in cui la fede è stata scossa da ricerche che spesso andavano a contestare i dati di fede più importanti sotto l’influsso di personalità rilevanti come Alfred Loisy (1857-1940), Adolf von Harnack (1851-1930), Ernest Renan (1823-1892) ed altri.

Nel 1893 Leone XIII nell'enciclica Providentissimus Deus già menzionava coloro che ritenevano la Scrittura come sola fonte della Rivelazione disdegnando la sacra Tradizione, e poi metteva in guardia sui pericoli a lui contemporanei: «Ora la lotta è con i razionalisti, i quali, quasi figli ed eredi dei primi, basandosi parimenti sul proprio giudizio, ripudiano nel modo più assoluto persino questi stessi elementi della fede cristiana ricevuti dal padri. Essi infatti negano del tutto sia la divina Rivelazione, come l'ispirazione e la sacra Scrittura, e vanno dicendo che altro non sono se non artifici e invenzioni degli uomini, che non contengono vere narrazioni di cose realmente accadute, ma inutili favole o storie menzognere; così non abbiamo in esse vaticini od oracoli, ma soltanto predizioni fatte dopo gli eventi o presagi di intuito naturale; non presentano veri e propri miracoli e manifestazioni della potenza divina, ma si tratta o di fatti meravigliosi, mai però superiori alle forze della natura, o di magie e miti. I Vangeli poi e gli scritti apostolici sono certamente, dicono, da attribuirsi ad altri autori».

Ben sappiamo che tutte quelle idee che minavano all’integrità del deposito di fede non solo non sono scomparse, ma anzi sono entrate sempre più nelle idee di tanti, troppi esegeti e teologi e non solo, visto che un alto esponente dei gesuiti come il padre generale Arturo Sosa che in un’intervista a Rosso Porpora del 2017, rispondendo ad una domanda su quale valore assoluto bisognava dare alle parole di Gesù se esse vanno sempre e comunque ricondotte al loro contesto storico, così rispondeva: «Intanto bisognerebbe incominciare una bella riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù… a quel tempo nessuno aveva un registratore per inciderne le parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate, sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito…». E poi proseguiva su questa linea.

L’opera più conosciuta di John Paul Meier è Un ebreo marginale, pubblicata in Italia dalla Queriniana in cinque volumi. Già nella presentazione della casa editrice viene denunciato il carattere “innovativo” di questa opera ponderosa: «Il resoconto sobrio e ben ponderato di Meier sulla vita di Gesù è quanto meno sorprendente, come se quasi duemila anni più tardi considerassimo per la prima volta Gesù nel modo in cui devono averlo considerato i suoi contemporanei – “un ebreo marginale” – con tutte le implicazioni e le questioni sollevate da questo titolo deliberatamente provocatorio». Quindi, come abbiamo già ascoltato a iosa, ci viene praticamente detto che la Chiesa fino ad oggi non aveva capito nulla o quasi su Gesù e l’esegesi moderna ci dice che in definitiva di Gesù possiamo sapere nulla o quasi. È un’operazione costante nell’opera distruttiva che vediamo in opera in tanti moderni teologi, come Hermann Detering che in The fabricated Paul ci fa sapere che san Paolo non ha scritto le sue Lettere, forse le ha scritte Marcione e che anzi san Paolo forse non è proprio esistito.

Il padre Meier nel quarto volume della sua opera fa questa affermazione: «Questa prima distinzione fra ricerca sul Gesù storico e cristologia conduce naturalmente a una seconda importante distinzione – in effetti, la include. È la distinzione fra la nostra conoscenza su un ebreo palestinese del I secolo chiamato Yeshua di Nazareth e la nostra conoscenza di fede su Gesù Cristo che i cristiani annunciano come loro Signore crocifisso e risorto. A dire il vero, i cristiani credenti sostengono che queste due figure sono una sola e medesima persona in stadi differenti della sua esistenza o autorivelazione. Ma gli storici accademici, prescindendo necessariamente, in virtù del proprio metodo, dalla fede, devono sostenere che l’oggetto preciso della propria indagine, il Gesù storico, fu sempre, esclusivamente e interamente un ebreo del I secolo – senza vesti pontificali cristiane nascoste sotto il mantello giudaico, senza gloria della risurrezione riflessa retrospettivamente sui luoghi oscuri del ministero pubblico e della croce. Tutto ciò che uno storico, proprio in quanto storico, è in grado di conoscere è un particolare maschio ebreo circonciso proveniente dalla Galilea che, nei primi decenni del I secolo d.C., mentre compiva il suo ministero profetico, saliva regolarmente a Gerusalemme per osservare nel tempio le principali feste giudaiche – e anche alcune minori. Che tipo di ebreo fosse, dove si collocasse nella variegata mappa del giudaismo del I secolo, quanto possa essersi differenziato da quello che si potrebbe chiamare vagamente la "corrente principale" del giudaismo, sono tutte questioni su cui dibattere. Ma se c’è un lascito duraturo della cosiddetta terza ricerca, è la tesi che ci hanno fatto ben comprendere studiosi come Geza Vermes ed E. P. Sanders: Gesù fu anzitutto e soltanto un ebreo».

Ora, che uno storico debba basarsi su dati oggettivi penso possa essere ben accettato ma che uno storico di orientamento cattolico escluda l’elemento soprannaturale come se esso fosse qualcosa che noi “esseri razionali” non possiamo accettare rende semplicemente il cristianesimo una fantasia, un’invenzione che non è accettabile. Sui miracoli la posizione del padre Meier fu possibilista: «Il curioso esito della nostra indagine è che, considerata globalmente, la tradizione dei miracoli di Gesù è sostenuta dai criteri di storicità più fermamente di quanto non lo siano diverse altre tradizioni ben note e spesso accettate senza alcuna difficoltà sulla sua vita e il suo ministero (vale a dire, la sua condizione di carpentiere, il suo uso di abba nella preghiera, la preghiera da lui formulata nel Getsemani prima dell’arresto). Per dirla in termini drastici, ma senza troppa esagerazione: se la tradizione sui miracoli durante il ministero pubblico dì Gesù dovesse essere rifiutata del tutto come astorica, altrettanto bisognerebbe fare per qualsiasi altra tradizione evangelica su di lui».

Insomma, i miracoli in qualche modo sarebbero avvenuti ma altre cose nei Vangeli sono discutibili e si possono mettere in discussione, come la questione dei fratelli di Gesù e quella dell’ultima cena. L’opera del padre Meier è certamente importante e sicuramente non è priva anche di alcuni pregi. Possiamo sperare che a lui, come a tutti noi, l’ebreo marginale del suo libro possa finalmente spiegare che il Signore è Dio e uomo per la salvezza di noi tutti.