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REGNO UNITO

Il caso Stock svela i cortocircuiti del progressismo

Tiene banco oltremanica il caso di Kathleen Stock, filosofa femminista e docente universitaria sottoposta a richieste di licenziamento, linciaggi via social e aggressioni fisiche per aver ricordato in un libro l’importanza del sesso biologico e detto che gli uomini trans non sono donne. Una vicenda che inquieta per almeno tre aspetti, ma che reca con sé anche una nota di speranza.

Editoriali 14_10_2021

In Italia siamo, purtroppo, abituati a docenti universitari scortati perché minacciati, anche perché alcuni furono assassinati dal terrorismo rosso. Ma anche in tempi più recenti, negli anni Novanta, la polizia doveva presidiare le lezioni alla Sapienza di Renzo De Felice, a cui lanciarono una molotov in casa. Per il Regno Unito, invece, un docente universitario protetto dalla polizia, nonostante negli atenei britannici e in quelli statunitensi ne accadano da anni di ogni, è comunque un fatto grave, che ha spinto addirittura il ministro degli Esteri, Liz Truss, a difendere pubblicamente il docente minacciato.

Stiamo parlando di Kathleen Stock, docente di filosofia analitica all’Università del Sussex, prima oggetto di richieste di licenziamento (da parte di gruppi Lgbtq), poi sottoposta a un linciaggio via social, infine aggredita proprio fisicamente con autentici mob, cosa che ha portato la polizia a presidiare i luoghi in cui vive e si trova. Una personalità candida potrebbe pensare che si tratti di un membro del Ku Klux Klan o, per stare in ambito inglese, del British National Party, principale organizzazione razzista di estrema destra albionica. Niente di tutto questo (e che forse non giustificherebbe neppure quello che è accaduto, ma questo è un altro discorso).

No, Stock è un’accademica, di sinistra e progressista come ormai devono essere, ovunque, i docenti di dipartimenti di discipline umanistiche e di scienze sociali. Non è tuttavia una militante o una feroce ideologa, ed è intellettualmente onesta, cosicché ha riconosciuto quello che ogni persona di senso comune farebbe: che gli uomini trans non sono donne e che il sesso biologico è più “socialmente significativo” dell’identità di genere; in pratica, e per dirla rozzamente, il genere si può scegliere, il sesso no.

Ora non vogliamo addentrarci nella questione specifica, se le teorie di Stock siano più persuasive: per chi scrive sì, ovviamente, ma non è questo il punto. Il punto è che Stock ha scritto tutto questo in un libro (Material girls. Why Reality Matters for Feminism), una critica alla teoria del gender da un punto di vista femminista, un lavoro argomentato, ricco, sfumato, dialogante e anzi dal nostro punto di vista fin troppo generoso con i sostenitori del gender. E per avere avanzato una ipotesi nel proprio campo scientifico, si è scatenata una caccia alle streghe contro di lei.

Il caso Stock segna una ulteriore discesa agli inferi nel processo di decomposizione delle università occidentali. In un primo tempo, gli studenti fanatici e fanatizzati contestavano, nei campus americani, inglesi ma anche francesi, i docenti culturalmente e politicamente conservatori, per avere espresso le proprie idee al di fuori della cattedra. Qualcosa di molto grave, che urtava totalmente la libertà di parola e di insegnamento: ma la maggior parte dei loro colleghi non fecero nulla per difenderli, e anzi spesso appoggiarono il linciaggio. Poi è stata la volta dell’auto da fé di studiosi non necessariamente conservatori, ma semplicemente critici nei confronti dell’impazzimento del politicamente corretto.

Come nei noti versi falsamente attribuiti a Brecht, prima vennero a prendere i conservatori, poi vennero a prendere i moderati o gli apolitici, “un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto più nessuno a protestare”. Nel senso che con il caso Stock la sinistra, i progressisti, cominciano a divorarsi tra loro. E tutto questo in realtà in pochi anni. Secondo un processo ben noto fin dai tempi della Rivoluzione francese, di radicalizzazione spinta che porta a riconoscere nel proprio vicino ideologicamente il nemico più temibile. Alla fine di questo processo, arriva la grande reazione conservatrice, e poi il ciclo ricomincia.

La seconda novità del caso Stock è nella contesa in sé: la studiosa, che si definisce filosofa femminista, ha portato al più alto rilievo, sul piano culturale, la divisione che da anni vede contrapposti teorici del femminismo da un lato e quelli del gender dall’altro e, sul piano pratico, militanti femministe contro agit-prop dei movimenti transgender. È un primo, fortissimo, segno della debolezza del progetto culturale progressista: il quale, eliminando dall’orizzonte politico l’idea di genere umano con il suo portato antropologico, è fondato su un patchwork di identità separate tra loro, che finiscono inevitabilmente per confliggere tra loro.

La terza novità del caso Stock sta nel fatto che un docente è aggredito e minacciato non per opinioni espresse nella sfera pubblica ma per quanto scrive nei lavori scientifici. Siamo a un passo dal rogo dei libri, solo che attorno al fuoco ci sono le camicie transgender e Lgbtq e non quelle brune.

Vogliamo chiudere con una nota di speranza. Se la nostra ipotesi dei cicli di radicalizzazione è sensata, il politicamente corretto e il progressismo si sono spinti talmente oltre, come del resto era ovvio essendo delle forme di gnosticismo settario protestante (secondo la lezione di Eric Voegelin), che la reazione comincia a farsi sentire: nonostante il sindacato dei docenti universitari abbia preso le parti dei mullah transgender, l’Università del Sussex ha difeso Stock, così come voci importanti del governo, oltre ai quotidiani conservatori e liberali come Telegraph e Times (ma persino alcune firme del progressista Guardian). Bisogna toccare il fondo per risalire, e forse il sacrificio involontario di Stock non sarà stato inutile.