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OSSERVATORE ROMANO

Il cardinale Hollerich sposa la causa gay. Ecco perché sbaglia

Tutti sono chiamati alla salvezza, ma non significa che tutti si salvano. È necessaria la conversione, e il cardinale Hollerich, nell'intervista all'Osservatore Romano se lo dimentica: non si entra quindi nel Regno di Dio da convinti divorziati risposati e da persone omosessuali praticanti, ma da ex divorziati e da ex gay praticanti.

Ecclesia 26_10_2022

Il cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Comece, la Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea, ha rilasciato un’intervista il 24 ottobre scorso all’Osservatore Romano in cui tocca diversi temi, tra cui anche quello dell’omosessualità. In merito alla famigerata questione delle benedizioni delle coppie gay, così si esprime il cardinale: «Se rimaniamo all’etimologia di “bene-dire”, pensate che Dio possa mai “dire-male” di due persone che si vogliono bene?». E in un altro punto dell’intervista così si è espresso: «Non penso che ci sia lo spazio per un matrimonio sacramentale tra persone dello stesso sesso, perché non c'è il fine procreativo che lo caratterizza, ma questo non vuol dire che la loro relazione affettiva non abbia nessun valore».

Hollerich non è nuovo a queste uscite gay friendly (ne avevamo parlato nel febbraio di quest’anno). Come rispondere? L’omosessualità è una condizione intrinsecamente disordinata perché non rispetta l’ordo naturale, ossia le finalità intrinseche della natura umana, la quale porta un uomo ad essere attratto da una donna e viceversa (nell’articolo di febbraio spiegavamo nel dettaglio il significato di questa affermazione). Se l’omosessualità è condizione intrinsecamente disordinata ne consegue che anche tutti gli effetti che promanano da essa sono ugualmente disordinati: gli atti omosessuali, le relazioni omosessuali, gli affetti omosessuali, etc. Dunque, anche l’affetto omosessuale è disordinato, non è un valore come dice Hollerich, e come tale non può ricevere la benedizione di Dio, perché Dio non può dire bene di un male, sarebbe una contraddizione. Di conseguenza, non tutto ciò che si percepisce come bello è buono sul piano morale.

Hollerich inoltre ha affermato che «tanti nostri fratelli e sorelle, ci dicono che, qualunque sia l’origine e causa del loro orientamento sessuale, di certo non se lo sono scelto. Non sono “mele guaste”. Sono anche loro frutto della creazione. E in Bereshit si legge che ad ogni passaggio della creazione Dio si compiace del suo operato dicendo “...e vide che era cosa buona”».

Parrebbe quindi che l’omosessualità sia opera di Dio, ma per i motivi visti sopra non può essere: Dio non può creare il disordine, non può creare un qualcosa in contrasto con la propria volontà. Il cardinale Hollerich invece sostiene l’opposto perché giudica l’omosessualità come una condizione buona, in netta antitesi con il Magistero cattolico: Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2357-2358; Congregazione per la Dottrina della Fede, Persona humana, n. 8; Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, n. 3; Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, n. 10; Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, n. 4. Ed infatti il cardinale lussemburghese ha dichiarato che la dottrina sull’omosessualità deve cambiare.

Il presidente della Comece ha poi toccato il tema della salvezza: «Questa è la bella notizia! E voglio aggiungere: tutti vi sono chiamati. Nessuno escluso: anche i divorziati risposati, anche gli omosessuali, tutti. Il Regno di Dio non è un club esclusivo. Apre le sue porte a tutti, senza discriminazioni. A tutti! A volte nella Chiesa si discute dell’accessibilità di questi gruppi al Regno di Dio. […] Qui si tratta semplicemente di affermare che il messaggio di Cristo è per tutti!».

Occorre fare un distinguo: tutti sono chiamati alla salvezza, ma non tutti si salvano. Certamente anche il divorziato risposato e le persone omosessuali sono chiamati alla salvezza, ma per salvarsi il primo, perlomeno e non solo, deve vivere castamente e il secondo non deve assecondare le proprie pulsioni omosessuali. Non si entra quindi nel Regno di Dio da convinti divorziati risposati e da persone omosessuali praticanti, ma da ex divorziati e da ex gay praticanti, ossia da persone che hanno lasciato alle loro spalle il peccato mortale. Su questo San Paolo è esplicito: «Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio» (1 Cor. 6, 9-10. Cfr. anche Rm 1,24-28; Rm 1, 32; 1 Cor 9-10; 1 Tm, 1, 10). È vero che Gesù ci dice che le prostitute ci precederanno nel Regno dei Cieli, ma poi ne spiega il motivo: perché hanno creduto, quindi si sono convertite, hanno cambiato vita. Non basta la chiamata universale alla salvezza, occorre anche rispondere adeguatamente a questa chiamata.

E, infatti, se crediamo che tutti si salveranno al di là delle loro scelte malvagie, perché dovremmo convertirci? Anche se pecchi, Dio ti ama ugualmente e ti salva ugualmente. Da qui il passo è breve per concludere che se Dio ama Tizio che è ladro, Tizio si salverà comunque anche continuando a rubare. Ecco, allora, l’importanza di distinguere il fatto che Dio ci ama nonostante i nostri peccati dal fatto che i peccati contrastano con l’amore di Dio e, se mortali, precludono la salvezza eterna.

Dietro le parole di Hollerich si nasconde uno stereotipo molto comune in ambiente cattolico: Dio ti ama per come sei. In realtà Dio ama il peccatore, ma non il peccato. Più correttamente dovremmo dire che ama la persona che pecca, nonostante i suoi peccati. Quindi non ama il peccatore in quanto peccatore, ma ama la persona nonostante sia anche peccatrice. Dio non può che amare il bene e quindi non può che amare le parti buone del nostro essere: ama la bontà che trova in noi, non la nostra malvagità. Il Signore, perciò, non ama tutto ciò che siamo. Sotto altra prospettiva, ma giungendo alle medesime conclusioni, potremmo dire che Dio ci ama sempre come persone, ma siamo noi che con le nostre azioni ci allontaniamo dal suo amore.

La costituzione apostolica del Concilio Vaticano II Gaudium et spes a questo proposito appunta: «occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è macchiato da false o insufficienti nozioni religiose» (n. 28). Parole che fanno eco a quelle di papa Giovanni XXIII: «Non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre e anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità» (Pacem in terris, n. 83). Dio accoglie a braccia aperte il ladro, l’omicida, la prostituta, la persona omosessuale, l’adultero, ma non accoglie a braccia aperte il furto, l’omicidio, la prostituzione, l’omosessualità e l’adulterio.

Dio quindi ci chiede di abbandonare il peccato, ossia di convertirci. Se noi non vogliamo abbandonare il peccato è impossibile che Dio ci abbracci, ossia è impossibile che Dio perdoni una persona se questa non vuole essere perdonata, perché ricevere l’amore misericordioso di Dio non può che essere una scelta libera. Per accogliere l’amore di Dio e salvarci dunque dobbiamo essere degni del suo amore, cioè lo stato della nostra anima deve essere adeguato al suo amore. Dio scarica su di noi la pioggia del suo amore, della sua grazia, ma se noi apriamo l’ombrello del peccato, non una goccia di quell’amore potrà toccarci. Infatti, Dio non obbliga nessuno ad amarlo e a ricevere il suo amore.