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L'intervista

«I tradimenti, l’aborto e il buio. Poi ho incontrato Gesù»

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Una relazione extraconiugale sfociata in una gravidanza, l’aborto, la separazione seguita da altre macerie sentimentali e anche economiche. Poi un pellegrinaggio a Medjugorje, l’incontro con la Vigna di Rachele e la scoperta dell’amore di Gesù. La Bussola racconta la storia di Pina.

Vita e bioetica 25_10_2025

«Per molto tempo ho pensato che l’aver abortito mio figlio non avesse causato niente, perché ero una donna molto in carriera, molto pratica e, secondo me, avevo risolto il “problema”. In realtà mi sbagliavo, perché non ero capace di riconoscere quello che avevo fatto». A parlare, all’altro capo del telefono, è Giuseppina, oggi volontaria della Vigna di Rachele, un’opera internazionale che aiuta uomini e donne a guarire interiormente dalle ferite dell’aborto volontario.

Correva l’anno 1991. Giuseppina era una giovane donna, sposata con un uomo che stravedeva per lei. Insieme avevano già un figlio di circa due anni. Una coppia considerata perfetta, appartenente all’alta borghesia della loro città, nell’Italia meridionale. Da qualche tempo Pina aveva una relazione extraconiugale con un medico a cui si era rivolta, dietro consiglio della compagna di lui, per la cura della cellulite. «Ero andata da lui per motivi estetici, perché mi curavo il corpo in modo abbastanza esasperato». Pina si ritrovò a fare di tutto pur di vedere quell’uomo e stare con lui, sorprendendosi lei stessa di come riuscisse a far tutto di nascosto e a condurre una doppia vita. Il medico la mise incinta.

Lei entrò nel panico, non sapendo come gestire quella situazione. Scartata una prima “soluzione” che le avevano offerto delle persone vicine al medico (coprire la sua gravidanza e poi affidare il bambino ad altri), Pina pensò di fingere che si trattasse di una gravidanza frutto del matrimonio. Una sua cara amica, che viveva in un’altra città del Sud, la dissuase, dicendole che non poteva tenere un segreto di quel tipo e che quel suo figlio sarebbe stato infelice. Le diede anche il peggiore dei consigli: abortire. Pina, nata in una famiglia cattolica, cercò di resistere a quel consiglio, spiegandole che la Chiesa considera l’aborto un peccato. L’amica insistette, con l’argomento che quello era «solo un embrione»: «E mi disse che scientificamente non avrei ucciso nessuno». Fragilissima, Pina si fece convincere ad andare nella città dell’amica, che la ospitò a casa sua e le organizzò l’aborto in ospedale, con un medico di sua conoscenza. In quel modo nessuno avrebbe saputo nulla. Pina ricorda il senso di vergogna nel ritrovarsi nella stanza con altre donne in attesa di abortire il proprio figlio. «Quando poi uscii dalla sala operatoria, ero tramortita, non capivo bene, mi sentivo stuprata». Era il settembre del 1991.

Di ritorno a casa, Pina si sentiva ormai come un pesce fuor d’acqua. In breve, chiese la separazione. E poco tempo dopo, alla prima occasione utile, traslocò a Roma: «Ho programmato una fuga, perché sennò il padre di mio figlio avrebbe fatto di tutto per avere l’affidamento del bambino». Giunta nella capitale, Pina iniziò ad andare da una psicoterapeuta: due anni di terapia, ma senza mai toccare il tema “aborto”. La relazione segreta continuò anche a Roma, perché il medico l’andava a trovare periodicamente.

A un certo punto, Pina riuscì a dire basta a quella relazione. Più o meno nello stesso periodo, conobbe un altro uomo, originario dei Caraibi, anche lui con un figlio piccolo. Insieme avranno una figlia. A fine 1995 i due si sposarono in Comune e otto anni più tardi – dopo che Pina aveva ottenuto dalla Sacra Rota la dichiarazione di nullità, per un vizio di consenso, del matrimonio precedente – in chiesa. Un matrimonio misto, in realtà, perché il marito professava una religione sincretista. Sembrava l’inizio di una vita nuova, ma una nuova disillusione l’aspettava. «Non vedevo l’ora di sposarmi in chiesa perché così finalmente avrei potuto riprendere l’Eucarestia. Questa è stata una delle motivazioni del matrimonio e di cui diversi anni dopo parlai nel processo per la seconda nullità». Anche questo matrimonio, infatti, sarà dichiarato nullo.

Nel mezzo a quella seconda unione, Pina aveva continuato ad essere «spiritualmente irrequieta. Di tradizione ero cattolica, ma questo marito era sincretista, di fatto faceva magia nera e io credevo non vi fosse nulla di male. Una mia amica mi fece conoscere le “preghiere” di Yogananda e faceva pure gli oroscopi…». In quegli anni subì anche veri e propri disastri economici, fino ad essere licenziata.

Provvidenziale si rivelò un pellegrinaggio a Medjugorje, il primo per lei, fatto con la famiglia, dietro invito di un fratello. «Io penso che la Madonna sia stata la stella che mi ha guidato nel mio cammino di conversione», ci confida Pina. Poco tempo dopo il suo ritorno dal pellegrinaggio, nella sua chiesa arrivò un nuovo parroco. Lei si offrì di aiutarlo gratuitamente in parrocchia una volta a settimana. E lui le fece conoscere la Scuola di Evangelizzazione di Sant’Andrea: «C’è un corso che si chiama “Nuova Vita”, che ti aiuta a fare un incontro personale con Gesù».

Quello stesso parroco affisse in parrocchia un volantino della Vigna di Rachele, in cui si offriva la possibilità di guarire dalle ferite dell’aborto volontario. «Quel volantino e quella parola, “volontario”, mi andarono dritti al cuore. Fu come quando hai un bubbone e comincia a uscire tutta l’infezione… io un paio d’anni prima avevo confessato il peccato di aborto, mi era anche stata data l’assoluzione. Ma non avevo il coraggio di parlare dell’aborto con il nuovo parroco e così chiamai direttamente Monika (Rodman Montanaro, ndr)», la responsabile della Vigna in Italia. Era il 2014. In quello stesso anno Pina partecipò al ritiro della Vigna: «Mi cambiò la vita perché presi consapevolezza di questo mio essere morta insieme al mio bambino. Un pezzo di me, come donna, era morta con lui». Aggiunge Pina: «Quel ritiro mi ha dato la chiave di lettura per potermi perdonare e ha liberato completamente il mio cuore. E questo ha favorito il mio incontro totale con Gesù e mi ha donato una capacità d’amare che io fino allora non avevo avuto, perché ero molto cinica. L’unica eccezione erano gli altri miei figli, a cui mai è mancato il mio amore».

Al ritiro diede anche un nome al bambino a cui aveva chiesto perdono e da cui ora si sentiva perdonata: Michele. Negli anni, Pina era venuta a conoscenza – direttamente o indirettamente – che anche altri familiari avevano degli aborti alle spalle. Ma lei non era mai stata capace di rivelare il suo. Alla Vigna aveva perciò riconosciuto anche quei bimbi, vedendo «la loro vita mancata di uomini e donne e il disegno d’amore di Dio per loro, distrutto da una falsa e menzognera ragione di vita».

Dopo il ritiro con la Vigna, Pina fu chiamata a tenere una testimonianza alla Marcia per la Vita del 2015. E pochi giorni dopo il marito le disse che se ne andava di casa: «Aveva un’altra storia con un’altra donna. Ma anche lui aveva capito che ero cambiata, che avevo preso coscienza della mia vita e che tante cose, tanti compromessi, come ad esempio le cerimonie sincretiste che faceva coinvolgendo nostra figlia, non li avrei più accettati».

Oggi Pina vorrebbe gridare alle donne di non abortire e piuttosto di cercare aiuto, così da non cadere nel suo stesso errore. E mette in guardia dalle insidie del demonio: «Satana esiste e a un certo punto ha preso possesso della mia vita, per motivi X, tra cui chiaramente il concorso della mia volontà. Quando ti trova nella fragilità, lui comincia a “suggerirti” che non c’è nessun problema a tradire tuo marito, che tutto è lecito, ti fa vivere nella menzogna e non ti fa distinguere il bene dal male. Quando si arriva all’aborto volontario, è una sua vittoria completa, perché è sangue innocente. La mia vita era finita in un baratro, ma Gesù mi ha tratto in salvo con la sua misericordia».

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Il prossimo ritiro della Vigna di Rachele è in programma a Bologna, dal 14 al 16 novembre 2025. Per informazioni visita il sito www.vignadirachele.org



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